L’antica Via Flaminia fu il collegamento più agevole fra Roma e la Pianura Padana, calcato da tutte le legioni che iniziavano le loro campagne di conquista nell’arco alpino e, successivamente, in Gallia e in Hiberia, preferendola all’Aurelia. Realizzata in soli due anni, dal 220 al 219 a.C., dal console Caio Flaminio, fu sempre mantenuta in efficienza lungo le sue oltre 200 miglia, pari a 295 km.
La via usciva dalla capitale restando per breve tratto comune alla Cassia, poi da questa se ne staccava per attraversare l’agro falisco, raggiungere l’Umbria e il Piceno. A Fano, dopo aver superato lo spartiacque appenninico al valico della Scheggia di moderata altezza (632 metri), seguiva la costa adriatica fino a Rimini. Qui si raccordava con altre strade come la Via Aemilia e la Via Annia. L’importanza della strada spinse gli ingegneri ad adoperarsi per la realizzazione di un tracciato tecnicamente perfetto, privo di tratti acclivi, il più possibile rettilineo vincendo con opere di eccezionale impegno le asperità naturali. Nella gola del Furlo (vedi https://sentieridautore.it/2015/11/20/la-petra-pertusa-alla-gola-del-furlo/) la strada correva scavata nella roccia e fu pure aperta una galleria per facilitare il transito, forse la prima della storia.
La fortuna della Flaminia dipese anche dai continui restauri cui fu sottoposta. Augusto, nel 27 a.C., rifece gran parte del lastricato, gettò il ponte sulla Nera e numerosi altri viadotti. I restauri di Vespasiano (77 d.C.) sono ricordati nell’iscrizione dedicatoria presso la Gola del Furlo, mentre altri riassetti sono attribuiti a Adriano e ai Goti. Non solo soldati e mercanti calcarono il suo basolato, ma in senso più generale la colonizzazione e la cultura romana si diffusero con essa. Servì anche da facile via di penetrazione per eserciti nemici, desiderosi di conquista: i Longobardi se ne servirono nel VII sec. interrompendo la continuità territoriale dei bizantini fra Roma e Ravenna; nel 1527 la strada fu battuta dai lanzichenecchi di Carlo V smaniosi di mettere a sacco Roma.
Dell’antica via consolare si conservano ancora ponti, tratti di basolato, sostruzioni, edifici connessi al traffico stradale. In particolare nel tratto fra Fossombrone e il confine fra Marche e Umbria, a monte di Cantiano, la realizzazione di una superstrada ha permesso di liberare il vecchio tracciato della Flaminia – quello ereditato dallo Stato Pontificio nel XIX secolo – dal traffico degli autoveicoli. In questo modo si possono percorrere una trentina di chilometri in tranquillità toccando man mano tutti gli importanti reperti della Flaminia a partire dalla celebre galleria della Gola del Furlo.
Punto di partenza: Gola del Furlo, località posta lungo la strada statale 3 a 7 km da Fossombrone e a 87 da Ancona. Si può lasciare l’auto a Furlo e retrocedere in bicicletta fino alla gola per un paio di km.
Punto di arrivo: confine con l’Umbria, poco dopo Pontericcioli, da cui si torna a Furlo per lo stesso itinerario.
Mezzo consigliato: bicicletta, e-bike. Distanza: 31.3 km, su strade asfaltate (l’ultimo tratto di 3 km su fondo sterrato). Dislivello: circa 300 metri.
Dove mangiare. A Cantiano, ristorante Tenetra, p.za Bartolucci, tel. 0721.788658. Indirizzi utili: Centro visite della Riserva del Furlo, Via Flaminia 37, Località Furlo (Acqualagna), 0721-700041.
L’itinerario inizia alla Gola del Furlo. Il fiume Candigliano scava un varco fra i monti Pietralata e Paganuccio. La situazione suggerì l’apertura di una galleria. Un’iscrizione celebra il compimento dell’opera, (76- 77 d..C.), sotto l’imperatore Vespasiano.
Proseguendo il direzione di Acqualagna si superano le case di Furlo. Dove la gola si apre, si raggiunge la chiesa di S. Vincenzo, bell’edificio romanico del 1271. Sulla ripa del Candigliano, l’alto rilevato stradale aveva lo scopo di riparare dalle alluvioni del fiume.
Ripresa la rotabile si seguono le indicazioni per Acqualagna. Oltre l’abitato ci si mantiene sulla vecchia rotabile nella direzione di Cagli.
Prima dell’ingresso a Cagli si deve però sostare per ammirare l’originario Ponte Mallio. La larghezza della sede stradale arriva a circa 9 metri; il ponte ha quasi 12 metri di luce.
Superato Cagli, con il suo interessante centro storico, ci si mantiene sul dismesso tracciato della Flaminia entrando nella stretta valle del T. Burano. La prossima sosta è al cospetto di un ponte su questo corso d’acqua, pochi chilometri prima di Cantiano. Si tratta del Ponte Grosso, sul quale transita la rotabile, realizzato in epoca augustea con due archi e una possente pila centrale
La via è rinserrata nella gola e trova un po’ di luce solo a Cantiano. Il paese è in parte retto su un’altura che la strada aggira accanto al torrente. Il tracciato si avvicina al confine con l’Umbria.
Poco prima di Pontericcioli la vecchia e la nuova strada confluiscono (prudenza!). Giunti nell’abitato, dopo la diramazione per Gubbio, si può però tornare, verso destra, su un tranquillo viottolo che ricalca l’originaria sede stradale romana. Si notano tratti di muri e basamenti, nonché un’altro ponte, pure a due archi.
Nel tratto successivo, procedendo in salita e sullo sterrato, si osservano altre opere di recente riportate alla luce: un chiavicotto, un lungo tratto di basolato, e altri muri di sostegno. La strada affrontava qui il valico della Scheggia che, per la sua modesta altitudine (632 m), aveva fatto propendere per il passaggio della Flaminia.
Come era fatta una strada romana?
La struttura delle tipiche ‘viae stratae’ si componeva di tre parti: una massicciata di base, una sezione intermedia di materiale eterogeneo, la pavimentazione di superficie. Quest’ultima, ovvero l’agger, era realizzata con grossi bàsoli di forma poligonale, affondati in un letto di sabbia e connessi con pietre più minute a formare una superficie compatta. Ai lati la via era delimitata da un bordo rialzato e fiancheggiata da due corsie pedonali (crepidines). La norma stabiliva una larghezza minima di 8 piedi (2,36 metri), ma con l’aumento del traffico si arrivò fino a 4-6 metri. Quando le caratteristiche del suolo non richiedevano una pavimentazione solida, bensì la sola inghiaiatura, la strada prendeva il nome di ‘via glaerata’.

Albano Marcarini, Ciclovia Destra Po, 52 pag., 1a edizione, 2019 – ISBN 9782940585380
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