Passo San Marco e Strada Priula sono come il cacio sui maccheroni. Indissolubili. Senza la strada non esisterebbe il passo e viceversa. A quasi duemila metri, nel cuore delle Orobie, questo valico è stato al centro di interessi politici ed economici. Almeno per alcuni momenti della storia, fra il XVI e il XVII secolo, quando Venezia e la Repubblica delle Tre Leghe grigie si spartivano queste montagne. Una rilevanza tale che il valico, fino a quel momento chiamato ‘Colmo di Morbegno’, cambiò nome e diventò Passo San Marco, in onore del patrono e della città di Venezia che fortemente aveva voluto questa nuova via di comunicazione.
Adesso al San Marco la neve se n’è andata. L’inverno ha ceduto il passo e ha riportato l’uomo. Auto, moto e biciclette affrontano la salita. Molti si fermano ai rifugi, alla storica Ca’ San Marco e al più recente San Marco 2000. Scendono, si guardano intorno, il tempo di un bel respiro e poi infilano le gambe sotto al tavolo a pregustare polenta e salamelle. Bè, un tempo non era proprio così.
Non era così al tempo della Strada Priula, alla fine del Cinquecento. Allora, a Ca’ San Marco c’era una lucerna accesa. C’erano due guardiani, vigilanti o annoiati non lo so. So che stavano lassù a controllare i traffici, a battere la neve, a riscaldare gli infreddoliti, ad accudire le bestie. Era mestiere ingrato. Venivano da terre lontane, li aveva ingaggiati il Podestà di Bergamo, tale Alvise Priuli, che non poteva permettere che la sua opera, la sua strada, fosse incompiuta. Anche nell’inverno, sotto la neve, da lì si doveva passare per dimostrare a tutti, agli Spagnoli e ai Grigioni, che Venezia faceva sul serio. Che il leone di San Marco non stava solo sul mare, sulla prua del Bucintoro, che se voleva tagliava di netto la montagna… con buona pace dei Milanesi che taglieggiavano i mercanti sulla via del lago, dalla parte di Lecco.
Fu per questa ragione, si dice, che fu fatta la strada, per impedire che le merci dirette da Bergamo ai paesi d’oltralpe pagassero dazio passando per lo Stato di Milano. Merci d’ogni genere: «balle di lana, seta di Cambrai, pellami di ogni sorta, corame, rame, stagni, pietre ollari, formaggi e altri grassini della Valtolina, bestiame da beccaria…», come riportano i documenti. Altri sapevano però che in ballo c’erano interessi più grandi, accordi di potenze, scambio di armati… faccende che non si potevano dire in giro e che meno strada facevano, meglio era. E poi cacca, tanta cacca di mucca, che diventava salnitro e serviva a fare la polvere da sparo.

Per i grandi traffici Passo San Marco servì a poco. Servì a impressionare i potenti facendo balenare chissà quali rivolgimenti economici con la sua apertura. Già dopo pochi anni i Milanesi, con buona pace di tutti, rivedettero le loro pretese fiscali e tutto tornò come prima, calcando le vie di sempre, più facili e meno impervie. Ma la strada veneta restò per i bergamaschi un’opera quasi leggendaria. Poco importava se ce n’era una più antica. Si chiamava Mercatorum e faceva quasi lo stesso percorso. Poco importava se poi, alla fine, di vera strada il Priuli ne costruì ben poca, utilizzando gran parte di quelle esistenti. La sola idea che Venezia, così lontana, pensasse alla valle del Brembo dava a tutti un senso di importanza. Per la prima volta la montagna, al di là di Mezzoldo, non era una barriera ma un ponte verso la Valtellina, verso il Nord, i Grigioni, la Germania. C’era da sentirsi fieri.
Alvise Priuli aveva voluto una strada veloce, come quelle degli antichi Romani, senza troppe curve, diritta, che non facesse perdere tempo. Così si tagliarono fuori dei paesi. Cornello ne soffrì più di altri. Se ne stava accoccolato su uno sprone della valle, e per arrivarci occorreva salire un centinaio di metri. Giudicati inutili per una strada che doveva essere ‘internazionale’. Così si dice che Cornello decadde e forse, con il senno di poi, è stato un bene perché se oggi l’ammiriamo per la sua bellezza lo dobbiamo proprio a quella strada che non è mai arrivata.
Anche Averara, nell’alta valle, si sentì tagliata fuori. Lei che aveva tutto per essere un centro di mercato. Sotto la sua via porticata, un raro esempio di saggia urbanistica, si potevano stallare i cavalli, depositare merci, scambiarle se occorreva, mangiare e dormire. Ma la strada della Val Mora era giudicata aspra e faticosa, soggetta a slavine, poco esposta al sole. Esattamente come oggi, che si fa fatica a seguirla, fra la costa del monte e il rumoreggiare del torrente. Il Priuli ritenne meglio passare per Mezzoldo. Piazzò lì la sua dogana e, stando accostato al monte ma in una situazione più felice, si infilò su per l’Alpe di Ancogno, o di Ancona come si chiamava allora, e, poi per lo stretto crinale, puntò al passo. Sotto mise la Casa cantoniera, riparata dai venti, e sopra, un alto cippo in pietre che servisse da segnale e da monumento. Lì stava il confine fra Venezia e i Grigioni. Ma questi ultimi, che la strada la sopportarono più che volerla, imposero ai Veneziani di sistemarla anche dalla parte loro, almeno fino a Dosso Chierico, che poi ad Albaredo ci avrebbero pensato i valligiani, così buoni e capaci, e poi quelli di Morbegno.

Un uomo ha fatto a piedi la Priula a quei tempi e ne ha lasciato una traccia scritta. Un uomo di chiesa. Non aveva molti denari. Si dice fosse giunto in Italia dall’Inghilterra con una camicia e un solo paio di scarpe. Tornando verso la sua patria passò di qui. Si chiamava Tommaso. Leggere del suo viaggio è gustoso e ci rende edotti di un’altra funzione della strada di San Marco, cioè di essere stata una via di libertà, di tolleranza religiosa. Il nostro uomo quando si trova a Bergamo, in procinto di partire, chiede indicazioni sulla via da seguire. Si rivolge a un frate che gli esprime forti dubbi sull’idea di passare per il Lago di Como: «…sarebbe pericoloso – scrive – perchè c’era un castello situato presso il lago, che era occupato da una guarnigione spagnola (si tratta del Forte di Fuentes); se fossi passato di lì, mi avrebbero preso e messo sotto inquisizione non appena avessero capito che ero inglese e calvinista. Mi avrebbero torturato con estrema crudeltà e alla fine avrebbero anche potuto spingermi ad abiurare. E se non avessi voluto farlo mi avrebbero messo a morte e scorticato in modo acerbissimo e terribile. Così per il buon consiglio di questo onesto frate, io presi una strada per i monti che mi evitò l’Inquisizione Spagnola». Si trattava evidentemente della Strada Priula.
Anche se poi ebbe a recriminare sulla manutenzione. «Quando si entra in valle – scrive ancora – il cammino è piacevole, ma dopo aver fatto un sedici miglia, diviene molto faticoso e difficile sia per la ripidità, sia per i sassi estremamente duri che stanno piantati nella più grande parte della strada.» Viaggia nel 1608, vale a dire neanche vent’anni dopo l’apertura della strada. E ancora: «A Piazza desinai con certi schiavoni, i quali mi raccontarono che 5 giorni prima a 8 miglia da lì erano stati catturati 30 banditi. Si appostavano in certi punti nascosti per depredare i passeggeri.» Decise di affrettare il passo. A Mezzoldo partì alle 6 del mattino del 20 agosto e verso le otto di sera giunse a una terra chiamata Campo, «23 miglia più avanti, nell’ubertosa Valle Tellina».

Ripercorrere la strada di San Marco a piedi si può anche oggi, senza le preoccupazioni del nostro Tommaso. Sarebbe bello se per una volta ci imponessimo il desiderio di metterci in cammino, come si faceva un tempo. Caricarsi lo zaino, stringere i lacci alle scarpe, spegnere gas e luce, chiudere la porta di casa e non scendere in garage, ma incamminarsi lungo la via, salutare gli amici al bar e andare diritto, fino dove a piedi non si è mai arrivati. E una volta lì, continuare ancora, uscire dalla città, fino a vedere le cose da un’altro punto di vista, dai prati, dentro i boschi, lungo un sentiero. E poi accorgersi che quel posto, che in auto raggiungi in dieci minuti, a piedi hai impiegato ore, e ti stupisci di essere contento per questo. E questo ti dà la forza di andare avanti, anche se non sei allenato, anche se le gambe cominciano a pesare. Sei fiero di te stesso quando alla sera arrivi magari a Zogno, dove mai avresti pensato di dormire tanto è vicino da casa tua. Ma sei in viaggio e pensi di essere invece già molto lontano quando guardi sulla cartina spiegazzata la strada che hai fatto. Mangi e dormi. Ti addormenti presto perchè sei stanco, ma è quella stanchezza che pesa un po‘ sul corpo, niente affatto sullo spirito. E già pensi alla strada di domani, e se ci sarà il sole, e quali cose vedrai, e dove ti fermerai, e chi incontrerai… Andare da Bergamo a Morbegno passando per le montagne. Si può fare.
UNA STRADA PER LE GREGGI E PER IL SALNITRO
Ancor prima della strada di San Marco, i pastori utilizzavano i valichi orobici per condurre le greggi ai pascoli estivi sulle montagne elvetiche. Uno dei percorsi più frequentati, studiato da Anna Carissoni, partiva da Parre, in Val Seriana, luogo di raduno stagionale, e con un percorso trasversale lungo la Val Dossana, le pendici del Pizzo Arera, e l’alta Val Brembana raggiungeva Passo San Marco per avviarsi poi, lungo la Bassa Valtellina, verso la Val Mesolcina e la Val Calanca da una parte, verso Thusis e la valle del Reno dall’altra. In un luogo della Val Calanca, detto il ‘Pas de la scritüra’, esiste una rupe dove per consuetudine i pastori in transito incidevano nome e data. Fra le attività indotte dalla pastorizia si annoverava la produzione del salnitro, ingrediente base, con lo zolfo e la polvere di carbone, per la preparazione di polvere da sparo. Veniva ricavato dall’impasto di terra e di escrementi animali e si può intuire la sua importanza in periodi dove le armi da guerra contavano più degli intrecci diplomatici. Venezia contava molto sull’importazione di salnitro dai Grigioni (circa 300 quintali all’anno) e sulla sua produzione nella Val Brembana.
Passo San Marco (m 1985)
Comuni di Averara (BG) e di Albaredo per San Marco (SO). Il valico è chiuso nella stagione invernale.
Dove mangiare e dormire. Sul versante bergamasco, appena sotto al valico, sorgono due noti rifugi: Rifugio Passo S. Marco 2000, Località La Cola, Mezzoldo, tel. 0345.86020 – 0345.86017; Ristorante Ca’ S. Marco, nella ex-cantoniera veneta, tel. 0345.86222, aperto tutti i giorni da maggio a dicembre (il sabato e la domenica in inverno). A Ponte dell’Acqua, l’ Hotel Ristorante Rossi, tel. 0345.86028. Ad Albaredo (versante valtellinese del passo): Ristorante La Flora, via delle Orobie 97, tel. 0349.0844005 – 338. 6779961; Locanda Ca’ Priula, via Brasa 14, tel. 0342.616434.
Le buone cose. Sugli alpeggi intorno al passo si produce il famoso ‘bitto, il più pregiato dei formaggi valtellinesi. Ad Albaredo per San Marco lo si può acquistare al Caseificio Alpi Bitto, via S. Marco 97/a, tel. 338.6779961 – 335.7085054, dove troverete anche il ‘matusc’, tipico formaggio del villaggio. Assieme al caseificio si trovano un panificio (per la classica ‘bisciöla’) e un ristorante. Il caseificio fa parte della cooperativa Latteria Sociale Valtellina che dal 1969 riunisce gran parte delle latterie turnarie della valle distribuendo prodotti di alta qualità: www.latteriavaltellina.it
Per saperne di più: A. Marcarini, La Strada Priula e la Via Mercatorum, Lyasis, Sondrio, 2009, Euro 14.
SALITA CICLISTICA AL PASSO SAN MARCO LUNGO LA PROVINCIALE 9
(versante bergamasco) – Partenza: Ponte dell’Acqua (1257 metri) – Arrivo: Passo San Marco (1985 metri) – Distanza: 8,5 km – Dislivello: 730 metri – Pendenza media: 8,63%
La salita ‘classica’ al Passo San Marco sul versante bergamasco, lungo la strada provinciale 1, inizia a Piazza Brembana. Ci si arriva da Bergamo seguendo la bella pista ciclabile della Val Brembana, lungo il tracciato ex-ferroviario. Nella cartina è raffigurato il tratto terminale è più impegnativo del percorso, da Ponte dell’Acqua al passo. Da Piazza Brembana a Mezzoldo, il profilo altimetrico è poco impegnativo: sale da 525 a 798 metri su una distanza di 9,4 km. Ma già nell’attraversamento di Mezzoldo le pendenze iniziano a farsi sentire con punte del 10-12%. Qualche tratto meno avvertito portano il ciclista a Ponte dell’Acqua, al piede della muraglia orobica. Qui la strada, conclusa la risalita della valle, si arrampica sul versante montuoso con una serie di 10 tornanti, non sempre consecutivi. Pendenze massime vicine al 13%. Il fondo è buono, la sede stradale ampia e ben disegnata, ma quasi sempre esposta al sole, specie nell’ultimo tratto, al di sopra della vegetazione arborea. Oltre al Rifugio Madonna delle Nevi, un buon punto di sosta, se non si vuole affrontare in un solo respiro la salita, è il Rifugio San Marco 2000, a circa 1,5 km dal passo, o, mediante una deviazione, la storica Ca’ S. Marco. Sul valico, oltre al monumento commemorativo e al panorama, non si trova altro. Sul versante valtellinese la lunga discesa di 26,3 km porta a Morbegno, da cui, in treno, è possibile fare ritorno a Bergamo, con cambio alla stazione di Lecco.
SALITA PEDONALE AL PASSO SAN MARCO LUNGO LA STRADA PRIULA
(versante bergamasco) – Partenza: Ponte dell’Acqua (1257 metri) – Arrivo: Passo San Marco (1985 metri) – Tempo di percorrenza: 2 ore e 40 minuti km – Dislivello: 730 metri Segnavia: cartelli marroni indicanti ‘Strada Priula’.
La strada storica inizia a monte del Ristorante Rossi, presso Ponte dell’Acqua. Si tratta di una mulattiera selciata che si inerpica sul fianco della montagna e con alcuni risvolti raggiunge il costone prativo dell’Alpe Ancogno, incontrando una prima casera a quota 1657 con il tipico porticato per il ricovero notturno del bestiame e una seconda a quota 1767 nel punto dove la Priula incrocia la provinciale. La salita è agevole e consente ampie visuali verso la testata della valle di Mezzoldo. La casera Ancogno Vago (per ‘vago’ si intende ‘all’ombra’, ovvero il contrario di ‘solivo’, ‘al sole’) è posta sul crinale che divide la Val Mora dalla valle di Mezzoldo. Al tornante della provinciale si stacca di nuovo, sulla sinistra, il selciato della Priula, ben conservato. Pochi metri per raggiungere il successivo tornante. A pochi passi di distanza sorge il Rifugio Passo S. Marco 2000. La Priula punta ora verso Ca’ San Marco, abbandonando la provinciale. Il percorso passa appena sopra lo storico rifugio (c’è un bracciolino gradonato che si ricollega) e taglia in diagonale il versante puntando verso il culmine da cui si eleva il cippo dedicatorio. Ci si imbatte anche in un altro cippo: reca il numero 56, che sono i chilometri di distanza da Bergamo (alla fine, sul passo, saranno, per l’esattezza, 56.300) Poche decine di metri di salita e si guadagna Passo San Marco, a 1985 metri d’altezza, già confine, fino alla fine del XVIII secolo, fra la Repubblica Veneta e i Grigioni, oggi fra le provincie di Bergamo e di Sondrio.
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