Itinerario a piedi con partenza a Valstagna e arrivo alla frazione Sasso di Asiago.
Oltre che un itinerario, questo è un gesto d’omaggio verso un’opera umana incredibile nel suo genere, la Calà del Sasso: una strada gradonata e lastricata – di ben 4444 gradini – che si aggrappa sulle scoscese pendici del Canale di Brenta in provincia di Vicenza. Fu realizzata alla fine del XIV secolo per consentire agli abitanti di Asiago, sul loro altopiano denso di boschi, di scaricare il legname a valle e di dirigerlo, lungo il fiume Brenta, verso Padova e Venezia.

In passato, le vie fluviali erano utilizzate per il trasporto delle merci più pesanti. In Veneto, oltre al Brenta, anche il Piave e l’Adige rappresentavano una via commerciale con porti, servizi e addetti al trasporto fra cui gli zattieri, coloro cioè che governavano sul filo della corrente, le grosse partite di legname grezzo. Il legname del Cansiglio, delle valli di Fiemme e di Fassa, dell’Altopiano d’Asiago serviva ai carpentieri veneziani per le opere navali e per quelle edilizie. Nelle regioni montane il taglio del bosco era spesso l’unica attività economica redditizia e consisteva nella cura del bosco e nel trasporto del legname ai mercati. Ogni comunità possedeva boschi, gestiti in forma collettiva, e ognuna poteva concedere, dietro compenso, il diritto del transito del legname altrui nel proprio territorio. Asiago, ad esempio, per andare dai propri boschi alle rive del Brenta doveva attraversare tre altri comuni, Gallio, Foza e Valstagna che traevano da questo trasporto una parte dei loro proventi. Per evitare un aggravio di spese, ogni comune cercava la via di comunicazione più diretta stando sul proprio. Da qui una serie infinita di rivalità e controversie, poiché spesso la scelta di una nuova via di discesa, come quella realizzata a un certo punto da Gallio lungo la forra della Val Frenzéla, comportava un danno per le comunità escluse. A dirimere la questione intervenne perfino Gian Galeazzo Visconti, signore dell’altopiano nel 1398, regolando gli interessi di ciascuno ma non accontentando in sostanza gli asiaghesi che, subito dopo, aprirono per conto loro una nuova via diretta fra la frazione Sasso e il territorio di Valstagna, denominata appunto Calà del Sasso. La strada fu costantemente utilizzata, tanto che nel 1491, quando si dovette metter mano ai primi restauri, la Repubblica Veneta decise di far partecipare alle spese tutti i comuni che la utilizzavano, vale a dire Gallio, Foza, Roana, Lusiana, Valstagna, oltre ad Asiago naturalmente.
Ma su queste belle mulattiere lastricate non transitava solo legname. Fino alla metà del secolo scorso, l’altopiano d’Asiago, con una superficie di oltre 44 mila ettari e circa 18 mila abitanti, era accessibile da questo e da soli altri tre impervi percorsi, di cui due del tutto simili (la Piovega di Sotto e la Piovega di Sopra nella zona di Enego) e il terzo una mulattiera diretta a Cogollo nella Val d’Astico. Le carrozzabili – prima fra tutte la cosiddetta ‘Via del costo’, fatta dagli Austriaci nel 1850 – e la ferrovia Piovene-Rocchette – Asiago nel 1909 misero nel dimenticatoio la rude Calà.
Dopo sei secoli la Calà del Sasso, opera ardita e ingegnosa si presenta quasi intatta – il recente restauro ha riparato i gravi danni dell’alluvione del 1966 – e si eleva, formidabile sull’acclive e selvaggio versante della montagna, avvolta nell’abbraccio della vegetazione che rende ancor più misteriosa la sua esplorazione.
Si svolge in gran parte sulla storica Calà del Sasso fino a raggiungere il bordo orientale dell’Altopiano di Asiago. Salvo il notevole dislivello altimetrico e qualche tratto infrascato, non presenta difficoltà. Valstagna si raggiunge in auto con la strada statale 47 della Val Sugana, da Trento o da Bassano del Grappa; in treno, la stazione più vicina è quella di Carpané-Valstagna (linea Mestre-Trento). Tempo medio di percorrenza: 3 ore e 30 minuti (più altre 2 per il tratto di ritorno in discesa sul medesimo percorso). Dislivello: 810 metri. Informazioni utili: acqua e provviste da consumare sul percorso; a Sasso, località di arrivo della Calà, si trovano bar, alimentari e un piccolo ristorante (Trattoria Sole, via Chiesa 17, tel. 0424.690010). Il sentiero è indicato con tacche Cai bianco/rosse (n. 778) ed è inoltre percorso dalla Via Tilman, itinerario escursionistico della Resistenza partigiana. Periodo consigliato: dalla tarda primavera all’autunno inoltrato; in estate evitare le ore più calde della giornata; il percorso è da evitare in caso di pioggia per il fondo sdrucciolevole. Per saperne di più: R. Chiej Gamacchio, L. Baldi, Guida all’Altopiano dei Sette Comuni, Ed. Panorama, Trento 1996 (l’itinerario 4 di questa guida contempla la salita della Calà e la discesa per altro sentiero dal Col d’Astiago fino a Valstagna; solo per escursionisti esperti); P. Rigoni, Altopiano d’Asiago, Cierre, Verona 1992.
Itinerario pubblicato su Sentieri storici d’Italia, Guide Outdoor Alleanza-De Agostini, Novara 2004. © 2016 Albano Marcarini.
Valstagna, (m 156) lungo il fiume Brenta, raduna il suo nucleo storico attorno a piazza San Marco, con il Municipio e un nobile edificio da cui campeggia un grosso leone alato. L’abitato ha sempre avuto la fama di porto fluviale delle merci provenienti dall’altopiano di Asiago, e di centro artigianale con segherie e laboratori per la produzione di cappelli in feltro. Non poteva essere altrimenti, considerata la strettezza dell’insediamento tra il fiume e le precipiti pareti della montagna, tant’è che in una relazione del 1502 si informava che il luogo non possedeva «alcun palmo di terreno» coltivo. Solo in seguito, grazie all’immane sforzo di rendere praticabili le balze con terrazzi artificiali si poté avviare la coltivazione del tabacco, sviluppata soprattutto nel XIX secolo.
Da piazza San Marco si sale verso Contrada Torre seguendo le indicazioni bianco-rosse del Club Alpino Italiano. Sono le case più alte di Valstagna, strette per difendersi dall’incombere della montagna. Si inizia a seguire l’incavo della Val Frenzéla, la naturale via d’accesso all’altopiano d’Asiago, portando per un breve tratto (circa 800 metri) l’itinerario lungo la strada provinciale Valstagna-Foza.
Giunti all’altezza del secondo tornante , (m 221; area attrezzata) si lascia l’asfalto e si segue lo stradello sterrato che prosegue nello stretto fondovalle. L’ambiente si fa più selvaggio e, per certi versi, inquietante: ripide pareti stillano acqua, trame di rampicanti le aggrediscono, mentre in alto lo specchio del cielo si fa via via più ristretto. Passata una briglia si giunge all’imbocco della Calà (m 270; uno sbiadito cartello lo segnala), nel punto cioè dove il legname scaricato dalla montagna veniva preso in consegna dalle ‘squadre’ di Valstagna e portato sul Brenta. Si inizia la salita.
“E’ lunga come il purgatorio, scura come il temporale, la scala che ti porta sull’Altopiano d’Asiago”, ha scritto su Repubblica lo scrittore-viaggiatore Paolo Rumiz. Subito si percorre un terrapieno da cui si colgono la sagomatura e la struttura dell’opera: lunghe rampe rettilinee (saranno 17 alla fine alla salita) o leggermente arcuate, larghe fino a 3 metri, alcune protese fino a 70-80 metri, ben sorrette a valle da sostegni in pietra. Ma è la divisione del selciato, di belle pietre calcaree, che incuriosisce: la parte verso monte è gradonata con una pedata regolare di circa 50 centimetri e un alzata di circa 10; quella verso valle si presenta invece lastricata e leggermente incavata – ‘cunettone’ – con pietre di più grosse dimensioni. La prima serviva al passaggio pedonale, la seconda alla discesa dei tronchi. Questa avveniva a gravità, forse facilitata da un sottile velo d’acqua scorrente sul fondo che in inverno poteva esser ghiaccio o neve compressa, e rallentata, o meglio spezzata, dalla congiunzione ad angolo acuto delle rampe. Si noti infatti come la testata a valle di ogni rampa abbia ancora un rialzo o un muretto che serviva a frenare la velocità dei tronchi. I tratti più acclivi hanno pendenze fra il 20 e il 25%.
Si prende rapidamente quota. La Calà segue una stretta fessura della valle fino a occuparne interamente l’alveo con la sua spessa lastricatura, pericolosamente viscida. Le pareti trasudano umidità e la vegetazione se ne avvantaggia con essenze quali muschi, felci, ombrellifere e rampicanti. A un tornante si passa accanto a un riparo in roccia con vaghi simboli sacri, cui fa seguito una frana che ha del tutto sconvolto il selciato. Poi riprende la successione dei tratti in ripida ascesa. Laddove il percorso attraversa il solco della valle si noteranno, protese nel bosco, delle protezioni spondali che servivano a convogliare l’acqua nello scivolo lastricato.

Si sale ancora di quota, lasciando il contorno dei castagni a quello dei faggi. A un’altro risvolto si incontra un’edicola votiva, dedicata a Sant’Antonio (m 615). Una scritta slavata indica la metà del cammino. Una tradizione ricorda come la Calà fosse anche chiamata ‘Strada dei quattro Rosari’ perché il tempo necessario a recitarli era pari a quello della salita. Una macchia di luce, quasi offensiva dopo tanta ombrosa protezione del bosco, indica un tratto restaurato con grande perizia, nei pressi di una sorgente. Subito dopo si osserva invece il tratto forse più spettacolare: la strada vince un notevole sbalzo di quota con due sole brevi rampe interamente sorrette da alti muri in pietra.
La salita sembra interminabile ma la pendenza si fa via via meno sensibile e consente di affrontare con il dovuto respiro l’ultima serie di quattro brevi rampe sovrapposte (quelle forse dal selciato meglio conservato) che fanno accedere al ripiano prativo della Val Scausse (m 938), il punto d’arrivo (o di partenza, in senso storico) della Calà del Sasso.
Seguendo la strada carrabile si fiancheggia un campo sportivo e imboccato, verso destra, il primo bivio si accede in poche centinaia di metri alla frazione Sasso di Asiago a sua volta divisa in vari piccoli nuclei, sparsi sulla verdissima pendice della montagna a quasi 1000 metri d’altezza. La via del ritorno ricalca quella dell’andata con il privilegio di riesaminare senza sforzo la bellezza della strada.
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