La montagna della cicogna nera

Itinerario lineare a piedi nel Parco naturale del Monte Fenera con partenza da Bettole-Valduggia e arrivo a Grignasco fra le provincie di Novara e di Vercelli.

Attualmente in Piemonte si contano quasi un centinaio di aree protette che coprono circa l’8% della superficie regionale, per un complesso di 190 mila ettari, a cui vanno aggiunti i parchi nazionali del Gran Paradiso e della Val Grande. Inoltre la rete Natura 2000 vi individua 168 Siti di importanza comunitaria e 4 Zone di protezione speciale che porteranno quella percentuale al 12%. Ma al di là del dato quantitativo è interessante rilevare che si tratta di aree effettivamente gestite e non solo genericamente vincolate. Vi sono Enti istituiti per questo scopo, dotati di risorse e strumenti legislativi per ben operare. Alcuni parchi sono noti e frequentati – come l’Argentera, l’Alpe Veglia, la Mandria, i parchi fluviali del Po e del Ticino, le garzaie del Sesia – altri invece sono delle vere e proprie scoperte, limitati a zone circoscritte che si caratterizzano per particolari fenomeni naturali. Uno di questi è il Parco naturale del Monte Fenera, situato all’imbocco della Valsesia, istituito nel 1987 su una superficie di 3378 ettari, con prevalenza di boschi cedui. Nei prati e nel sottobosco allignano 30 specie botaniche altrimenti rare in Valsesia, come l’olivella (Daphne laureola), il fior di stecco (Daphne mezereum), Daphne alpina, Iris graminea, e molte strane specie di felci, fra cui il capelvenere, la lingua cervina e Osmunda regalis. Ma soprattutto il parco salì agli onori della cronaca nel 1989 per la comparsa della rarissima cicogna nera, che dopo secoli di assenza venne a nidificare proprio nell’area protetta. 

Monte Fenera

Il Monte Fenera è alto appena 899 metri. Alla fine dell’Ottocento lo si riteneva un luogo misterioso. Stupiva agli occhi dei geologi la sua stratificazione che univa quattro differenti formazioni litologiche: scisti gneissici alla base, porfidi quarziferi nella prima parte mediana, dolomia e calcari nella seconda, arenarie e calcari neri sulla sommità. Si stabilì così che il Fenera era l’unico rilievo sedimentario della Valsesia. Si sapeva poi che sulle sue falde si aprivano cavità, disseminate di reperti attribuibili all’uomo di Neanderthal (50 mila anni or sono) e di resti della fauna del periodo: una mandibola incompleta di un Rinoceronte di Merk e denti di Ursus spelaeus, vissuto 70-80 mila anni fa. Oggi il Fenera è ritenuto fra le maggiori stazioni preistoriche dell’Italia nord-occidentale, in particolare modo per il periodo Paleolitico. 

Di questo parco, tutto da scoprire, si può proporre una facile escursione a piedi che ne segue il limite occidentale affacciato alla Valsesia, da Bettole a Grignasco. 


Da Bettole a Grignasco nel Parco naturale del Monte Fenera

Itinerario lineare a piedi con partenza da Bettole-Valduggia e arrivo a Grignasco fra le provincie di Novara e di Vercelli. Si svolge su sentieri e carrareccie campestri senza particolari difficoltà. Prima della soppressione della ferrovia Novara-Varallo, punto di partenza e di arrivo erano facilmente collegati. Ora per fare ritorno al punto di partenza si utilizza il servizio sostitutivo di autolinea gestito da Baranzelli. Per info e orari: https://www.baranzelli.it/OrariPDF/scolastici/novaravaralloarsco.pdf.

Lunghezza: 6,2 km circa. Dislivello: 300 metri.

Tempo medio di percorrenza (escluse le soste): 2 ore e 30 minuti.

Altimetria: un breve tratto iniziale di salita, poi saliscendi continui non particolarmente faticosi.

Segnavia. Sentieri segnati dal CAI di Varallo con tacche bianco/rosse: 769 da Bettole a Fenera San Giulio; 764 da Fenera San Giulio a Fenera Annunziata; 770 da Fenera Annunziata al bivio con il sentiero 780; 780 dal bivio ad Ara; 779 da Ara alle Grotte di Ara; 781 dalle Grotte di Ara a Grignasco. Alcuni punti dei sentieri potrebbero essere ostacolati da alberi abbattuti: usare prudenza.

Dove mangiare: Bar con ristoro Caret dal Furnacc, Via Cavour, Ara, 347.4981007.

Indirizzi utili: Ente di Gestione delle Aree Protette della Valle Sesia, Corso Roma 35, Varallo, 0163/54680, https://www.areeprotettevallesesia.it

Periodo consigliato: primavera e autunno.

Traccia GPX disponibile su richiesta a info@guidedautore.it

Itinerario pubblicato su Amicotreno, febbraio 1996. Versione aggiornata dopo il sopralluogo del 9 febbraio 2023.

©Albanomarcarini 2023


Bettole (alt. 327) è frazione di Valduggia, posta lungo la strada di fondovalle, in sponda sinistra del Sesia, la cui curiosità è data dalla sua chiesuola, fondata nel 1670 da un umile pastore bergamasco, evidentemente benestante e che si fece di ciò vanto apponendovi una lapide con il suo nome: Marco Antonio Christino. Prendendo come riferimento l’unico semaforo dell’abitato, si imbocca una gradonata (segnavia 769) che sale verso la montagna, passa il binario della ferrovia e raggiunge in breve la rotabile d’accesso a Fenera San Giulio  (alt. 414), minuscolo villaggio di poggio, che si scorge in alto una volta imboccata, verso destra, la carrozzabile. Fatti pochi passi (prima del tornante e senza raggiungere il villaggio; ma esiste anche la possibilità di entrare nel villaggio e raccordarsi più in alto all’itinerario) si entra nel bosco, seguendo a destra una traccia di sentiero (ora con segnavia 764) che costeggia l’altura di Robiallo. I più perspicaci potranno rinvenire, fra erbe e cespugli, i ruderi di un fabbricato edificato dai conti di Biandrate, antichi feudatari della valle. Nel 1304, quando il castello era passato nelle mani di Filippo della Torre, padrone di Novara, vi si rinchiuse l’eretico Dolcino sfuggendo le milizie venute a catturarlo.

Giunti a un bivio segnalato, si piega verso sinistra assecondando le pieghe dell’ombrosa valletta del Rio del Freddo (acquedotto) fino a salire, fra i castagni, sull’opposto versante. Le foglie cadute possono nascondere la traccia ed è bene badare alle tacche giallo/rosse segnate sui tronchi degli alberi. Superato un rudere, segno evidente dell’abbandono di questi territori un tempo abitati e ben coltivati, si accede a un ripiano prativo dal quale si ha una bella veduta del Monte Fenera, con la sua parete di roccia calcarea profondamente fessurata. E’ abbastanza frequente scorgere in volo i rapaci tipici di questi ambienti: la poiana, il falco pellegrino, il biancone. Al di là del prato si arriva in breve a Fenera di Mezzo o Fenera Lanfranchi(alt. 397), altro piccolo nucleo attraversato dal nostro cammino. Si scende un poco e, raggiunta una strada carrozzabile, si tiene a sinistra per giungere a Fenera Annunziata (alt. 387), ove sorgono una rustica e bella dimora a duplice loggiato, la Casa del Parco e una isolata chiesuola, sulla cui parete esterna una lapide riporta: “Giorgio Tosetto ha posto la prima pietra. Anno 1648”. Ora il segnavia reca il numero 770 ed è una vecchia mulattiera, chiamata “Strada dei buoi”, fra siepi di biancospino e pungitopo che sale ripida giusto alle spalle della Casa del Parco. 

Fenera Annunziata

Chi si sentisse affaticato può però optare per una più facile alternativa per raggiungere Ara. Dalla Casa del Parco di Fenera Annunziata, bisogna passare un cancelletto in legno e proseguire fra i prati fino al margine del terrazzo, quindi scendere a destra (cartello Ara) lungo un ripido sentiero scalettato. Si sbocca sopra le case di Ponte San Quirico: raggiunta la strada asfaltata, la si segue in salita passando accanto a un accesso di cava di pietra da cote. Poco oltre si arriva a un cascinale e proseguendo poi, sempre alla stessa altezza, lungo una carrabile, si accede al dolce pianoro prativo, detto Pianoni di Ara (il villaggio si profila davanti a voi), in passato intensamente coltivato a vigna, che fa da cornice all’abitato di Ara. Fiancheggiato il lavatoio si entra nell’abitato: tenendo a sinistra si raggiunge l’oratorio di S.Grato dove l’itinerario torna ad essere uno solo. I Pianoni di Ara era in passato luoghi di produzione del vino rosso di Ara che rivaleggiava con il Malconcio di Bertasacco, del villaggio poco distante. Erano vini agresti che mescolavano vari vitigni noti, come Barbera, Bonarda e Spanna, con altri rari o rarissimi come la Vespolinam il Greco, il Cilento, il Pangiò. Accanto alle vigne, oggi del tutto estinte, vi erano anche numerosi alberi da frutta (ciliegie, mele, pere) talmente prelibate da costituire una piccola economia per la comunità di Ara.

Se invece si resta sul percorso principale (770) si prende quota e si affrontano alcuni tornanti in vicinanza di una vecchia cava di calce che si scorge sulla destra. La pietra di calcare e di arenaria è sempre stata una delle risorse del Monte Fenera, cavata fin dai tempi antichi, grazie ai suoi molteplici usi: come pietra da costruzione, cotta per farne calce, come cote per affilare lame. Il fronte di cava che si scorge sulla destra del sentiero fu aperto nella seconda metà dell’Ottocento. Una minuscola decauville con vagoncini trainati da muli trasportava il minerale per la lavorazione al Fornacione, posto in basso, lungo la strada provinciale. Occorre superare un dislivello di circa 200 metri lungo il Vallone di San Quirico. A tratti la visuale si apre verso la valle e il Sesia con il suo ampio greto. Si scorgono in basso anche le case di Ponte San Quirico che stabiliscono il tradizionale confine della Valsesia e furono testimoni di un curioso fatto d’armi avvenuto nel 1520. 

Il bagno del Caccia.
All’inizio del XVI secolo Francia e Spagna duellavano per il possesso dell’Italia. Nel Piemonte la Francia ebbe diversi nobili partigiani fra cui il novarese Tiberino Caccia che agognava il possesso della Valsesia grazie alla protezione del maresciallo Lautrec, allora governatore di Milano. Non di questa opinione i valligiani che reclamavano da tempo la loro autonomia sulla scorta di un patto, redatto nel 1415 con Filippo Maria Visconti, e che essi ritenevano ancora pienamente valido. Quando il Caccia «con numerosa e splendida comitiva s’incamminò verso la Valsesia, onde prendervi possesso» trovò ad attenderlo, giusto sul ponte di San Quirico, una scolta di valligiani i quali gli chiesero il perché della sua presenza. Questi, senza il minimo timore, disse che era venuto a conoscere il suo nuovo feudo, al ché i Valsesiani risposero che se davvero egli voleva prenderne possesso doveva dapprima prendere possesso del suo fiume. Difatti afferratolo di forza dal suo cavallo, fu scaraventato nelle fredde acque del Sesia fra l’esultanza della popolazione.

Infine si incrocia il sentiero 780 che si segue verso destra. Poco più avanti una deviazione di 150 metri a sinistra si raggiunge la chiesa di San Quirico (alt. 577), edificio protoromanico in solitario abbandono: vi restano solo i lacerti delle murature. Tornati sui propri passi si prosegue ora con il segnavia 780 (direzione Ara) che s’insinua su un pianeta al di sopra della falesia di Ara, nota parete di arrampicata. Dopo aver trascurato a sinistra il sentiero 767 diretto alla Colma, si scende ad Ara (alt. 452). La discesa richiede prudenza per alcuni passaggi fra roccette. Questo villaggio ha sempre vissuto di economia propria: viti e alberi da frutta (fra cui prelibate pere); calce e pietrame dalle vicine cave. Le sue origini, che sarebbe fin troppo facile assegnare all’epoca romana per via del toponimo, sono invece più recenti, forse della fine del XIII secolo, dovute a un alluvione che sommerse il precedente abitato, posto sulle rive della Sesia. Era abitudine dei locali, in un passato ancora non lontano, scendere in processione al fiume per ricordare il triste evento. Si entra ad Ara all’altezza dell’oratorio di S. Grato, con il suo portico e la piccola navata, sul fondo della quale campeggia un dipinto di impronta popolaresca con S.Bernardo (a destra) che tiene incatenato un diavolo, S. Grato a sinistra e la Madonna con il Bambino al centro. L’itinerario prosegue lungo il fianco destro della chiesuola, am volendo si può fare una breve digressione nel villaggio dove si trova anche un bar-ristoro con alimentari. Lungo via Martiri della Libertà, si scorgono negli edifici, lacerti di murature più antiche; anche la forma dell’abitato (un’asse principale con molte vie a pettine) rammenta il primitivo impianto medievale. Ripresa la via si segue lo stradello (segnavia 779-781) che porta alle Grotte di Ara, precedute da un alto ponte in pietra, risalente al XV secolo, sul Credo di Magiarga. Si può scendere al torrente e raggiungere il suggestivo arco naturale di roccia che lo scavalca ma non si può accedere all’interno delle grotte per motivi di sicurezza.

Il torrente si apre la strada fra orride pareti d’erosione, scuri abissi, fra stillicidio d’acque, manti di folto muschio, lunghi ciuffi di scolopendria, folti e delicati tappeti di ciclamino. Superato il ponte si vince una ripida erta e giunti sul primo pianoro, fra annosi castagni e qualche panca per la sosta, si lascia a sinistra l’evidente traccia (segnavia 779) che si dirige a Bertasacco e a Mollia d’Arrigo, per seguire sulla destra il segnavia 781 che si addentra nel bosco detto ‘del Tasso’. Il sentiero segue il versante idrografico sinistro del Croso di Magiarga: da qualche squarcio fra le fronde degli alberi, si scorge ancora l’opposto abitato di Ara. Superato dall’alto il margine di una vecchia cava rinaturalizzata, il sentiero, fra diffuse concrezioni calcaree, prende leggermente quota dirigendosi verso l’insellatura oltre la quale si apre la conca di Grignasco. È un tratto suggestivo, dove la vegetazione, alimentata dall’alto grado di umidità e anche dalla mitezza del clima (in inverno si registrano qui le temperature medie più alte della vallata), si sviluppa con vigore; gradatamente al castagno subentrano il nocciolo, il carpino, l’acero campestre, la roverella, l’orniello. Negli alberi più senescenti è facile trovare i segni del lavoro del picchio, qui presente in diverse varietà quali il Picchio rosso minore, il Picchio verde, il Picchio muratore; gli arbusti e i cespugli sono invece l’habitat favorito dello scricciolo e della capinera. La direzione del Parco ha intrapreso interventi volti all’evoluzione naturale del bosco ad alto fusto; inoltre ha provveduto a riaprire e a mantenere percorribili i vecchi sentieri di collegamento fra le frazioni. Quando al bosco prendono spazio i primi lembi coltivi è ormai prossima la vicinanza a Grignasco, punto di arrivo dell’itinerario. 

Picchio nero

La località, già nota per le sue industrie tessili, conserva alcuni edifici religiosi di un certo interesse. Entrando nell’abitato, discendendo lungo l’acciottolato di via Fasola, si accosta, sulla destra, l’antica chiesa di San Graziano le cui parti decorative più antiche risalgono al XV secolo, mentre più in basso, ormai nel centro del paese (piazza Viotti), fa bella mostra di sé, la ricercata architettura barocca della Parrocchiale dell’Assunta, concordemente ritenuta il capolavoro dell’architetto torinese Bernardo Antonio Vittone, che, progettandola nel 1750, seppe unire il rigore delle proporzioni a ingegnose soluzioni scenografiche come la scalinata con fontana, l’alternarsi delle pareti piane e concave, le curiose finestre a ventaglio del tamburo. L’interno, a pianta esagonale, è adorno di opere pittoriche settecentesche, decori a stucco e altari in marmi policromi, opere di artisti varesini.

Un’ultima citazione artistica va rivolta alla chiesa di Santa Maria delle Grazie che, poco distante, rivela al suo interno due splendidi cicli di affreschi: uno quattrocentesco, attribuito alla bottega di Tommaso Cagnola; l’altro datato 1543, opera del pittore novarese Angelo De Canta. 


Albano Marcarini, I SENTIERI DELLE CINQUE TERRE, Ediciclo 2023, pag. 144

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