Itinerario pedonale ad anello nei comuni di Baceno e Premia in Valle Antigorio (Verbano-Cusio-Ossola).

Ci sono dei misteri non ancora svelati. E proprio vicino alle porte di casa, nelle nostre vallate alpine. Uno di questi si trova nella Valle Antigorio, in Piemonte, poco distante da Domodossola. Si tratta di un enorme quanto raro ‘monumento’ di pietra, intorno al quale gli studiosi hanno avanzato solo timide ipotesi sulle sue origini e funzioni. La gente della valle, meno avvezza alle spiegazioni scientifiche, lo ha da sempre assegnato a quel genere di opere che solo un essere soprannaturale può concepire. Per questo lo chiamano con l’inquietante nome di ‘Muro del diavolo’. Ho ceduto alla tentazione pensando bene di invitarvi alla visita con una bella escursione della durata di un’intera giornata assieme a una serie di altre interessanti attrattive: forre, orridi e altri fenomeni geologici legati alla tipica natura glaciale di questa vallata alpina; molte chiese e chiesuole, lungo vecchi sentieri, che serviranno semmai a esorcizzare i vostri timori.
Partenza e arrivo: Baceno, località situata a 18,5 chilometri da Domodossola, raggiungibile in bus o in auto lungo la ex-strada statale 659 della Val Formazza. Domodossola, a sua volta, si raggiunge rapidamente da Milano con la ferrovia del Sempione o con l’autostrada A 26. Baceno si raggiunge in bus dalla piazza della Stazione di Domodossola con le autolinee Comazzi (tel. 0324.240333, http://www.comazzibus.com). La corsa giornaliera più comoda parte alle ore 9:20 a arriva a Baceno alle 9:56. Da Baceno si fa ritorno a Domodossola alle 16:22 nei giorni feriali e alle 16:37 nei festivi.
Lunghezza: 12.2 km – Tempo di percorrenza: 3 ore e 45 minuti – Dislivello:666 metri – Condizioni del percorso: sentieri, mulattiere, tratti di strade consorziali – Periodo indicato: da fine primavera a inizio autunno.
Dove mangiare: Pasticceria Fior d’Alpe, via Marconi 1, Baceno, 0324.62023-62190; Rifugio Monte Zeus, Crego (aperto tutti i week end da giugno a ottobre in permanenza dal 20/07 al 30/08, Natale, Capodanno, Carnevale e Pasqua), 0324 627827-3358132804; Trattoria Campagna, Vreampio, 0324.62199. – Dove dormire: Albergo Valentini, via Roma 55, Baceno, 0324.62015. Info: Pro loco Baceno, Via Roma, 56, 0324 62579, http://www.comune.baceno.vb.it
Itinerario pubblicato su Airone, ottobre 1994 – Aggiornato nel maggio 2016. ©Albano Marcarini, 2016
Dal centro di Baceno, seguendo via Marconi e dopo un’invitante sosta alla Pasticceria Fior d’Alpe, si giunge in breve alla piazza della chiesa, fra i più solenni e importanti edifici sacri della valle.
1. La chiesa parrocchiale di San Gaudenzio. È insolito come una facciata in pietra grezza possa essere al tempo stesso austera e famigliare, così prossima alla rustica poesia delle architetture alpigiane. Sarà forse per quella ciclopica immagine affrescata di San Cristoforo, sulla destra del portale, o per quelle piccole statuette dentro una nicchia, sopra il rosone, che raffigurano San Gaudenzio e Sant’Agabio, vescovi di Novara. O forse per la sua non eccessiva elevazione e per quell’ideale abbraccio che grazie alla scalinata forma con la piazza, ornata da un annoso sambuco. L’interno, da vedere se possibile, è tutto un profluvio di affreschi con santi personaggi in costumi d’epoca che sembrano ricreare situazioni quotidiane dove la sacralità si stempera nelle comuni vicende umane. Dal minuscolo embrione di una cappella, precedente al Mille, la chiesa si è sviluppata nel Trecento e più ancora nel Cinquecento con l’aggiunta delle navate laterali. L’aguzzo campanile risale al 1523.

Si scende per una gradonata (segnavia H00), accanto al cimitero, e, giunti a una stradina, si rasenta dal basso la rupe sulla quale sorge la chiesa avviandoci, dopo la fontana, sul sentiero per Uriezzo. Il primo tratto del cammino è un susseguirsi di piacevoli incontri: un’edicola sacra, due rustiche baite, un rudimentale abbeveratoio in pietra sotto una lunga e umida balza percorsa da uno stillicidio d’acqua. Ma osservate anche la sagomatura del sentiero ricavata nel vivo della roccia con scalini, selciature, nicchie. A un tratto si interseca la Via del Gries, percorso storico di antico collegamento fra l’Oberland bernese e la Val d’Ossola attraverso il passo del Gries; si segue verso destra un breve tratto di questo percorso per poi lasciarlo per seguire le indicazioni per l’Orrido Sud di Uriezzo. Lo si visita, seguendo la segnaletica, con un breve percorso in andata e ritorno.
2. L’Orrido di Uriezzo. Tutta la zona è ricca di fenomeni naturali dovuti alla lenta erosione fluvioglaciale. L’Orrido di Uriezzo sud ha la particolarità, pressocché rara, di poter essere percorso al suo interno. E’ una stretta e sinuosa forra di circa 300 metri dove si alternano una serie di ampie cavità subcircolari (caldaie), dovute all’azione operata dalle acque che hanno lavorato come un artigiano sulla dura roccia, lisciandola, curvandola, traforandola in più punti.
Dopo la visita si riprende il cammino sulla stradina sterrata avendo l’avvertenza di non salire fino al villaggio di Uriezzo, una manciata di case a ridosso di una rupe e al piede di verdi prati. Ben prima infatti un segnavia, verso destra, invita nella direzione di Crego, sull’altro versante della valle. Per arrivarvi però occorre superare la gola del fiume Toce. Lo si fa mediante uno spettacolare ponte sospeso a una altezza di 35 metri sul letto del fiume: il ponte di Balmasurda. L’angusto passaggio nasconde altri profondi orridi, fra il poderoso sbarramento di scisti granatiferi conosciuto con il nome di Sasso di Premia. E’ un vero e proprio gradino morfologico lavorato e lisciato dai ghiacciai dell’epoca quaternaria. Dopo di che inizia la ripida salita verso Crego (segnavia G06) che ci accoglie con il rifugio Monte Zeus.

3. La chiesa di Crego. Altra sorpresa dovuta all’estroversa genialità di Lorenzo Dresco, un prete asceta e artigiano che nella seconda metà dell’Ottocento volle fare, di una semplice chiesuola di villaggio, un pretenzioso tempietto. Ne è uscita una costruzione tutta circondata da un portico retto da colonnine di serizzo e sostenuta da un muraglione ove spiccano antiche lapidi funerarie.
Da Crego ci si avvia sulla strada consortile in direzione sud, verso Arvenolo, ignorando il sentiero per l’alpeggio di Aleccio. Da notare, sulle balze prative di questa parte della valle alternate a macchie di fustaia cedua, le stalle-fienili che si trovano vicino alla strada: l’abbondante impiego di strutture portanti in legno risente delle tecniche costruttive del popolo walser, le cui colonie, di lingua e cultura germanica, si insediarono in varie parti della vicina Val Formazza (Pomat) a partire dal XIII secolo. Dopo un buon cammino si giunge finalmente ad Arvenolo, l’alpeggio dove si trova il cosiddetto Muro del Diavolo.

4. Il Muro del Diavolo. Lo si scorge d’improvviso dietro una vecchia baita. E’ una sorta di imponente basamento megalitico che sostiene un ampio terrapieno. Le pietre, alcune di dimensioni davvero enormi (alcune lunghe fino a 5-6 metri per un peso di almeno 10 tonnellate), sono sovrapposte a secco senza leganti apparenti. Nella parte frontale si apre una ‘porta’, dal robusto architrave, e che forse nasconde camere interne ancora inesplorate. A cosa serviva una simile costruzione in una zona di boschi e pascoli ? Le spiegazioni più razionali oscillano fra un luogo fortificato e un edificio di culto pagano, entrambi di antichissima memoria. La tradizione orale, attribuendo al demonio il ciclopico monumento in forma di testata di un enorme ponte che avrebbe dovuto scavalcare la vallata, ne sottintende l’origine profana, colpito da anatema, maledetto e da cui tenersi lontani. Non si va oltre a queste, peraltro, elementari ipotesi. Servirebbero studi approfonditi, iniziati solo di recente e che fanno presagire, sotto la struttura perimetrale, una serie di ambienti a pianta complessa forse affini a certi dolmen bretoni o spagnoli. Una delle leggende più fantasiose racconta di grossi anelli di ferro affissi un tempo al muro, perché si diceva che subito dopo il ritiro del ghiacciaio qui vi fosse un grande lago e il muro un molo d’attracco per le barche dei Leponzi, i mitici abitatori di questa parte delle Alpi.

Lasciato il muro con non pochi interrogativi si può riprendere il cammino, proseguendo per la strada maestra che perde la sua crosta d’asfalto. Si sfiorano altre baite, tutte abbandonate, di toccante bellezza. Con la costruzione della strada, i vecchi sentieri gradonati che scendevano a valle si sono persi col rinvenire della vegetazione. Sarebbe opportuno recuperarli, se non altro in riconoscenza della fatica che fu spesa per la loro costruzione. Tocca per il momento proseguire lungo la strada. Si lascia a monte una seconda diramazione per Aleccio e si scende verso il solco della valle del Rio Antolina. Dal ponte lo sguardo è attratto dall’aguzza cresta della Colmine Piana che ci separa dalla selvaggia Valle dell’Isorno. I mandriani di Arvenolo praticavano il Passo della Forcoletta, a 2359 metri d’altezza, per raggiungere i pascoli estivi di questa e di altre vallate vicine, le cui parti alte, da tempi remoti sono di spettanza dei comuni antigoriani sebbene poste sul versante orografico svizzero.
Proseguendo verso Maglioggio, gettando lo sguardo sul versante dal quale si è appena scesi, si scorgono sparute baite e soprattutto le cosiddette ‘balme’, anfratti naturali, rifugio di capre domestiche e di caprioli. E’ netto il contrasto, fra questo e l’opposto versante della valle, meno declive e punteggiato dai nuclei che formano il comune di Crodo. Un sentiero consente di evitare la strada e porta direttamente a Maglioggio nel cui bosco si cela un castagno secolare di oltre 11 metri di circonferenza. Dalle case più basse del villaggio si diparte una bella mulattiera che taglia i tornanti stradali fino a Quategno dove si incrocia la
strada di fondovalle. Senza ripassare per ora il Toce si piega a destra e si risale la valle in direzione di Verampio, passando dapprima la località Cantoni. Si attraversa una pingue prateria accostando ben presto il piede del versante che qui si stacca in verticale con una possente bastionata di roccia, dove è evidente il lavorìo di modellamento glaciale. Più in fondo si giunge a un ponte, posto in prossimità della centrale elettrica di Crego.
5. La centrale di Crego. Lo sfruttamento delle risorse idriche della valle del Toce ebbe avvio all’inizio del secolo con la costruzione di diverse centrali che si distinsero, fra l’altro, per la loro ricercata architettura. In esse si simboleggiava, con decori e accenti stilistici spesso derivati dalle opere fortificate, la potenza di questa nuova (per quei tempi) risorsa energetica. La centrale di Crego, costruita intorno al 1915, sfruttava il soprastante bacino di raccolta mediante un salto in condotta forzata di 190 metri. L’energia prodotta veniva convogliata nel Novarese per alimentare le industrie della pianura.
Subito dopo il ponte si piega a destra e, alle prime case, si avvicina la Trattoria Campagna per affrontare quindi l’ultima lieve erta che riporterà a Baceno. Si passa dapprima, su un bel ponte in pietra, il torrente Dévero e si affronta poi, su un bel percorso selciato, la salita. Ad ogni svolto l’attenzione è rapita verso un particolare: ora un rustico, ora una cappellina votiva con un delicatissimo volto di Cristo alla chiave di volta, ora una nicchia con l’ingenua quanto espressiva raffigurazione della Madonna nera, datata 1820. Si guadagna in breve il bivio dal quale ci si era staccati in precedenza e percorrendo a ritroso il primo tratto dell’itinerario si raggiunge infine la chiesa di Baceno, stagliata sulla rupe e alla quale fa da magnifico fondale la piramide del Pizzo Cervandone.
(Si ringraziano per la collaborazione il professor Vanni Oliva, Tullio Bagnati, Roberto Bassa, Domenico Braito e il cane Aladino).
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