Il castello nella roccia: Andraz e la ‘Strada da la Vena’

Itinerario a piedi nell’Alto Agordino, nella valle del Rio di Andraz, in provincia di Belluno, con partenza e arrivo all’hotel La Baita (m 1630), situato al km 98.5 della strada statale 48 ‘delle Dolomiti’, fra Livinallongo e il Passo Falzarego.

Chi si trova a risalire la strada del Passo Falzarego, nell’Alto Agordino, non può trascurare l’inquietante vista di uno scoglio roccioso sul quale si ergono i ruderi di un castello. È talmente avvinto alla roccia – come l’unghia alla carne, direbbe il suo castellano – che è difficile distinguerne la struttura. Solo genti di montagna, temerarie e temprate nella fatica, possono aver concepito un simile arnese bellico.

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Il castello di Andraz

Da questa inattaccabile vedetta si controllavano, fra il XIV e il XVIII secolo, i transiti del ferro, estratto dalle miniere del Fursil, diretti a Bressanone. Di proprietà del vescovo della cittadina altoatesina assieme al circostante territorio di Livinallongo e Colle S. Lucia, il castello di Andraz – Buchenstein in tedesco – vigilava sul vicino confine con la Repubblica Veneta.

La ‘Strada da la Vena’, lungo la quale si trasportava il minerale grezzo, fu realizzata intorno al 1558, quando a Valparola s’impiantarono dei forni fusori. La materia prima proveniva dalle miniere del Fursil nella zona di Colle Santa Lucia. Occorreva una strada agevole e capace di reggere i carichi pesanti, ma che fosse anche rapida e sicura. L’opera fu intrapresa dai Madruzzo, la potente famiglia trentina che ebbe voce in capitolo sia nelle vicende economiche sia in quelle politiche del principato. In poco tempo la strada divenne una via di comunicazione commerciale privilegiata fra il Tirolo e la Repubblica Veneta. Come tale restò in uso per quasi due secoli.

Strada.della.VenaIn seguito, ma soprattutto dopo la cessazione delle attività estrattive, la sua solida struttura selciata fu ricoperta dal fogliame e lentamente dimenticata. La riscoperta, avvenuta negli anni Novanta del secolo scorso, non si è basata su documenti d’archivio ma si è avvalsa della testimonianza delle persone anziane che ancora tenevano nella memoria un nome e un tracciato, tramandato loro dai padri, generazione dopo generazione. Restaurata congiuntamente al Castello di Andraz, la Strada da la Vena è un percorso escursionistico attrezzato, di grande bellezza e di poca fatica. In alcuni tratti è stata riportata alla luce la pavimentazione, in altri la mancanza della sostanza storica è alleviata dai magnifici scorci panoramici sulla Marmolada, sul Civetta, sul Pelmo. Il paesaggio è alpino: boschi di conifere e pascoli con begli esempi di ‘tablà’ in legno (fienili) si alternano durante il percorso. La particolare condizione storica di sottomissione al vescovo di Bressanone, favorì la colonizzazione agricola nelle forme del maso, tipica dell’Alto Adige, grazie anche a popolazioni immigrate dalla Valle Isarco e dalla Pusteria.

La Strada da la Vena si copre in circa 6 ore, da Villagrande di Colle Santa Lucia fino al Castello di Andraz, sotto il passo di Valparola. Dell’intero tracciato si propone qui la parte terminale, inscritta in un anello che comprende, oltre al castello, anche parte di un più antico percorso, pure utilizzato per il trasporto del minerale.

Tempo di percorrenza: 2-3 ore. Dislivello: 310 metri. Segnavia. Cartelli indicanti la ‘Strada da la Vena’. Per chi: itinerario per tutti, su sentiero e mulattiera. Come: con buoni scarponcini, giacca a vento. Quando: da giugno all’inizio di ottobre. Dove mangiare e dormire: l’albergo La Baita (tel. 0436.7172) è in posizione ideale per l’escursione e dispone di buona cucina casalinga. Indirizzi utili: Union de i Ladin da Col, 32020 Villagrande di Colle S.Lucia (promuove l’itinerario della Strada della Vena e pubblica interessanti documenti di cultura locale). Per saperne di più: Autori vari, Il castello di Andraz e le miniere del Fursil, Marsilio, Venezia 1997.

Itinerario pubblicato su Sentieri storici d’Italia, Guide Outdoor Alleanza-De Agostini, Novara 2004. © 2016 Albano Marcarini.

Andraz.mapDal piazzale dell’albergo La Baita 1 (m 1649), immerso nel silenzio dell’abetaia, si segue un breve tratto della strada per il Passo Falzarego fino all’altezza al sesto tornante. Qui si imbocca la mulattiera selciata (cartello Valparola) che, superato il Rio di Andraz, s’inerpica verso il castello. Secondo i documenti sarebbe il percorso minerario più antico – la ‘Via del ferro’ – di probabile origine medievale. Si nota ancora parte del lastricato e spiccano, fra le altre, le pietre verde-azzurre degli strati del ladinico inferiore.

L’estrazione del minerale avveniva alle pendici del Monte Pore, allora denominato ‘Puchberg’ e anche Wersil, da cui Fursil. Qui si era infatti localizzata una vena di siderite manganesifera che si prestava particolarmente nei lavori di cesello in gioelleria o nelle produzione di lame per le spade. Il più antico riferimento scritto risale al 1177 ed è un decreto di Federico I Barbarossa che riconosce i diritti del monastero di Novacella sulle miniere. Queste, in seguito furono cedute al vescovo di Bressanone. La vicinanza con il territorio veneto causò ben presto frizioni e contrasti. Nel 1337, ad esempio, quando le miniere furono concesse a nobili locali, si iniziò a impiegare manodopera veneta e cadorina giustificando le pretese veneziane. Inoltre anche i boschi circostanti erano soggetti a un intenso sfruttamento per la fornitura di carbone di legna ai forni fusori, quasi tutti gestiti da valligiani veneti. Nel 1490 Papa Innocenzo III conferma i privilegi minerari agli altoatesini. Nel XVII secolo la miniera del Fursil constava di quattro gallerie, di cui una lunga più di un chilometro. L’attività era fiorente e organizzata secondo criteri avanzati. Tutti i cespiti finivano nelle casse vescovili, fino a quando, nel 1753, l’attività venne a scemare. Le cause dipesero dal diminuito ruolo di Venezia come principale acquirente del ferro del Fursil e, nondimeno, dal depauperamento delle risorse forestali.

D’un tratto, fatta una svolta, ci si trova dinanzi all’alta rupe del castello, circondata dai prati e da macchie di abete rosso e larice. Da questa posizione si comprende bene il ruolo strategico del fortilizio rispetto al percorso stradale.

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Il castello di Andraz

Il castello di Andraz 2 (m 1790), issato sul suo potente piedistallo roccioso, rifugge dai consueti schemi tipologici. In questo senso è un ‘unicum’ e ne accresce il valore e il fascino. Il grosso mastio, riferibile al XIV secolo ma già frutto di ripetute ricostruzioni (il primo atto che cita il castello risale all’anno Mille), è circondato alla base della rupe da una cinta muraria. Vi si accedeva per una stretta scala, mentre i rifornimenti venivano tratti con un argano ai piani più alti. Vi risiedettero le varie famiglie vassalle del principe-vescovo di Bressanone e, dal 1416 fino alla fine del XVIII secolo, un suo capitano di giustizia. L’aspetto attuale, pur con gli attenti restauri, è fortemente sminuito rispetto alle raffigurazioni di qualche secolo fa che lo davano ancora integro. Infatti fu duramente bombardato durante la Prima guerra mondiale e poi usato come cava per la ricostruzione del vicino villaggio.

Il restauro è stato condotto con particolare discrezione per non alterare la struttura residua del fortilizio. Si compone di una copertura in ferro e vetro inserita nel giro interno delle merlature. I vari piani interni, collegati da rampe di scale, saranno impiegati per allestimenti museali.

Poco più in basso, rispetto al castello e prossimo al rio, nel cosiddetto ‘prà dal fuorn’, si trovava un forno fusorio, probabilmente attivo fra il 1484 e il 1558, data dopo la quale fu spostato a Valparola.

Lasciando alle spalle il villaggio di Castello – tuttora il più alto delle Dolomiti venete a 1750 metri d’altezza – si prosegue su una stradina sterrata. Subito, a sinistra, si protende il percorso storico per Valparola sulla direttrice storica per Bressanone. Prima di giungere nella città vescovile la strada discendeva la Val Badia toccando Piccolino (sede di un altro forno) e il castello di S. Martino. Infine, valicando il Passo delle Erbe, si affacciava alla valle dell’Isarco. Il nostro percorso si mantiene invece in quota, lambisce un vecchio mulino e, subito dopo, la malga Castello, ricovero del bestiame inalpato sui Mont d’Andraz.

L’itinerario procede ora sulla ‘Strada da la Vena’, realizzata nel 1558 dal Cardinale Madruzzo per agevolare il trasporto del minerale verso i forni fusori ubicati nella Val Badia e sostitutiva della preesistente Via del Ferro, appena percorsa. Nel XVII secolo dal Fursil uscivano ogni anno fino a 10 mila ‘secchi’ di minerale, lavorati presso gli otto forni veneti dell’Agordino e del Cadore e presso quello vescovile di Andraz. Poi, per essere commercializzato, prendeva tre diverse direzioni: a sud, verso Caprile, il Cordevole, Belluno e quindi la via fluviale del Piave per Venezia; a sud-est, per la Forcella Staulanza, Zoldo e Longarone, da cui, di nuovo, per via d’acqua, a Venezia; a nord, verso Andraz, Valparola e Bressanone.

Si passa sull’opposto versante della valle, fra macchie sparse di pino cembro. Il percorso rimane a mezza costa, traversando la statale. Sebbene ridotto a sentiero sono ancora intuibili la sua larga sagoma originaria e tratti di selciatura. Dalle fitte fronde degli abeti si intravedono la rupe del castello e le case del villaggio. Sullo sfondo emergono le creste dolomitiche del Setsas e del Sass de Stria.

La ‘Strada da la Vena’ prosegue fino alle miniere del Fursil e a Selva di Cadore, ma occorrono alcune ore di cammino. Raggiunta una congiunzione con una pista forestale 3 è dunque opportuno tornare in fondovalle e risalire verso il punto di partenza.

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Colle Santa Lucia

Raggiunta la strada statale 203 4 si punta in direzione del piccolo villaggio di Cernadoi dove si riprende la vecchia mulattiera che taglia i tornanti della rotabile. Accanto alle case ci sono i ‘tablà’ (fienili) in legno, la fontana e gli orti che per secoli hanno provveduto all’alimentazione contadina. Spuntano grossi cavoli e le rape che stanno alla base dei ‘Casunziéi da Pastolà’, un prelibato piatto di pasta consumato alla vigilia dell’Epifania. Proseguendo sul sentiero, segnalato con tacche rosse e bianche, si torna infine all’albergo La Baita, da cui si era partiti.

Avendo tempo è consigliabile raggiungere in auto Villagrande di Colle Santa Lucia. Qui, nella Casa Chizzali Bonfadini, oggi restaurata, era ubicata la sede amministrativa delle miniere. La si individua facilmente per via delle magnifiche inferriate che proteggono le finestre fino al terzo piano. L’edificio, risalente alla fine del XVI secolo, è munito anche di un balcone chiuso secondo una tipologia molto usata nel Tirolo, detta ‘erker’.

LA STRADA DEI MORC

Nell’articolato disegno delle vie mulattiere, oltre a quelle adibite al trasporto del ferro, ve ne fu una del tutto particolare collegata al rito della sepoltura dei defunti. Per secoli, infatti, gli abitanti di Colle Santa Lucia usarono trasportare i loro morti al cimitero di Arabba, anche quando la comunità di Livinallongo, di cui Colle è parte integrante, si dotò di una chiesa con annesso cimitero. Il fatto si spiegherebbe con il mai rimosso legame dei colligiani con la zona dell’alto Cordevole dalla quale sarebbero discesi i primi coloni. La cosiddetta ‘strada dei morc’ era un percorso di mezza costa, parallelo alla Strada da la Vena, che toccava tutte le frazioni del versante solatio del Livinallongo per giungere, dopo 40 chilometri di percorso, al camposanto di Arabba. Il trasporto si effettuava in due giorni, pernottando nella frazione Palla, dove esisteva un porticato adibito alla posa del feretro, e si effettuava solo nella buona stagione. Nell’inverno i defunti erano conservati presso le loro dimore – il freddo li manteneva intatti – per poter effettuare il trasporto nella stagione successiva. D’altro canto notizie a riguardo di usanze simili esistono in varie parti delle Alpi, ad esempio, nelle colonie walser della Valsesia dove un solo camposanto serviva per più vallate, anche molto distanti, oppure al Passo del Gottardo dove ancora, lungo la storica mulattiera, si vede la cappellina dove si conservavano i corpi dei viandanti colpiti dalle disgrazie durante l’inverno.

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