Lucinasco, una lucertola al sole

Itinerario pedonale nei comuni di Lucinasco e Chiusavecchia, nella riviera ligure di Ponente.

«L’olivo è un albero che piace al pensiero, perché rende fede di un clima ove di rado il mercurio scende a tre gradi sotto il punto di congelazione. La sua verzura perenne dà letizia nell’inverno ai colli ch’ei veste. E quel pallido verde delle sue foglie riesce parimenti grato allo sguardo ove coll’olivo si alternano piante d’un verde più carico e più vivace». Così annotava un viaggiatore ottocentesco in cammino lungo la terra che allora si denominava Liguria marittima.

Lucinasco
Lucinasco

Il paesaggio dell’uliveto terrazzato contraddistingue ancora diverse parti della Riviera di Ponente, soprattutto le vallate retrostanti Imperia e Diano Marina. La mia ricerca comincia da un colle, nella Valle Impero, sopra il quale si distende come una lucertola al sole, il villaggio di Lucinasco.

L’ULIVO

Le olive che pendono dai rami sono della varietà taggiasca. Nel Medioevo a Taggia i monaci benedettini di Santa Maria del Canneto iniziarono questa pregiata coltivazione. In seguito la coltura si estese all’agro Dianese e poi all’intera fascia litoranea fra Nizza e Imperia. La raccolta del frutto avviene all’inizio di novembre percuotendo i rami con una pertica. È la fase dell’abbacchiatura. Le olive vengono contenute in una rete adagiata ai piedi dell’albero. Dopo essere state mondate e selezionate si mandano al frantoio e macinate nel ‘gombo’, una vasca di pietra contenente una grossa ruota verticale in pietra girante sul suo asse. Dalla pasta pressata si ottiene l’olio.

Oneglia, sulla costa, era il porto dove l’olio partiva per le destinazioni più lontane, oppure caricato sui muli era trasportato oltre le Alpi e verso la pianura.

A Lucinasco, nell’Ottocento, si producevano più di 2000 barili d’olio all’anno. Oggi nel paese lavorano alcune aziende a carattere familiare, con prodotti oleari di alta qualità. Si tratta di un paesaggio ben mantenuto e dove non si sono abbandonate le pratiche tradizionali in grado di non alterare la chioma degli alberi, al contrario di quanto accade invece con le colture intensive che adottano alberature più controllate.

Va inoltre citato il Museo Lazzaro Acquarone. Alla sede di Lucinasco, con una sezione etnografica, si aggiungono diverse ‘antenne’ segnalate e collocate nel territorio comunale, riferite a singoli reperti della civiltà dell’ulivo.

Punto di partenza e arrivo: Lucinasco. Lunghezza: 9 km Tempo di percorrenza: 3 ore. Dislivello: 380 metri circa. Segnavia: segni bianco/rossi e pali indicatori delle località. Come si arriva. In auto si esce al casello Imperia Est dell’autostrada A10 Genova-Ventimiglia. Si prosegue per 11 km lungo la statale 28 in direzione Pieve di Teco fino al bivio per Lucinasco (altri 4 km). Lucinasco. La buona tavola: Trattoria Da Etta, nel carrugio mezzano, tel. 0183.52367 – 339.5486479, menu a 28 Euro. Il buon riposo: Agriturismo Belvedere, via Cesare Battisti, tel. 0183.291992 – 0338.4415562. I buoni prodotti. Olio di oliva e derivati: Azienda agricola Abbo Dino, via Roma 2, tel. 0183.52411; Frantoio Abbo Elio, via Roma 16, tel. 0183.52458. Museo Acquarone: aperto da aprile a settembre, nei giorni festivi dalle 10 alle 11 e dalle 16 alle 18; feriali e altri periodi su prenotazione allo 0183.52534. Internet: www.comune.lucinasco.im.it

Itinerario pubblicato su BELL’ITALIA, novembre 2011.

Lucinasco.map

Lucinasco è a 499 metri di quota, in una felicissima situazione climatica. Conta 287 abitanti e l’invidiabile titolo di ‘Villaggio ideale d’Italia’, conferitogli da Airone. Una lieve altura, nel mezzo dell’abitato, indica il luogo del non più esistente castello, ma che fu all’origine di questo insediamento. Sotto, lungo tre carrugi paralleli a quote differenti, si dispone il caseggiato. Due chiese si fronteggiano: a levante la parrocchiale di S. Antonino, di stampo barocco, contenente le opere di Lazzaro Acquarone (1540-1613), scultore locale; a ponente l’oratorio di S.Giovanni Battista, destinato a Museo di Arte sacra con altre opere dello stesso artista. Accanto alla parrocchiale vi sono i locali del Museo della civiltà contadina, dove, fra le altre cose, si conserva un frantoio ‘a sangue’ così detto perché si muoveva mediante la fatica di un animale.

Lascio l’abitato seguendo le indicazioni per il laghetto di S.Stefano. Lo raggiungo in pochi minuti lungo la strada di crinale, non mancando le vedute panoramiche sulle Alpi Liguri, verso il non distante Colle di S.Bartolomeo. Nelle acque del laghetto si riflette la chiesa di S. Stefano, edificio quattrocentesco, originaria parrocchiale di Lucinasco. Gli stemmi dei conti di Ventimiglia e dei Doria, raffigurati nella lunetta del portale, mi ricordano chi furono un tempo i potenti della valle.

Ora devo rispettare le indicazioni per la chiesa della Maddalena. Una stradetta si appoggia alla montagna, poco sopra il limite fra gli uliveti in basso, e il bosco ceduo in alto. Procedo sotto le chiome degli alberi per circa 40 minuti fino a guadagnare lo sprone dove fra annosi castagni, si cela, in splendido isolamento, la chiesa della Maddalena. È grande. Ha forma di basilica a tre navate, la facciata a capanna, un rosone centrale e un largo portale: sull’architrave si legge la data di costruzione, 1480. A destra è murato un bassorilievo con figurine arcaiche. Il paramento esterno dell’edificio è corso da una fila di archetti pensili, alcuni con peducci a figurazioni umane e animali.

Olivastri577 copia
Il campanile di Olivastri

Adesso dalla strada si passa al sentiero, sempre dentro al bosco. È un cammino che mi conduce sul dorso della pendice, rivolto verso la Valle Impero. Un bivio segnala a destra le direzioni di monte. Io rispetto quelle di valle e scorgo già, fra gli alberi, alcune case. Sono quelle di Olivastri, un villaggio il cui nome mi avverte di essere tornato nel paesaggio dell’ulivo. Vi faccio ingresso dopo aver disceso una mulattiera a gradini. Stretti vicoli e molti segni della fede popolare: capitelli, un paio di oratori, la bella chiesa dallo svettante campanile a cipolla.

Devo fare attenzione al segnavia poiché mi consente di evitare la strada asfaltata ripercorrendo le vecchie ‘creuse’ fra gli ulivi. Mi dirigo nel fondovalle e infine confluisco nella stradina che punta verso Borgoratto. Mi fermo un momento sul ponte del Rio Maddalena per osservare, al di là dell’Impero, il borgo di Chiusavecchia col ponte in pietra e la soprastante chiesa della Madonna dell’Uliveto, inevitabilmente legata alla tradizionale vocazione agricola della valle.

Salgo a Borgoratto: entro passando accanto a un alto muro dal quale pendono i frutti della zucca; esco avendo apprezzato i putti che decorano, in modi barocchi, la facciata della chiesa di S.Pancrazio.

Uliveto578 copiaManca un ultimo sforzo. Tornare a Lucinasco lungo la vecchia mulattiera, più gratificante della pur bella carrozzabile. Sale dritta sulla pendice e taglia i terrazzi. Talvolta ai muretti a secco si sostituisce la nuda roccia, placche di scisti e noduli nerastri di ardesie. Ogni terrazzo, non più largo di 4-5 metri dispone di una lunga fila di ulivi, di grosse dimensioni, certamente vetusti. Il ripiano sotto gli alberi si utilizzava un tempo a pascolo. In antico era consuetudine, in inverno, far discendere gli animali dai pascoli montani a quelli, più miti, prossimi al mare. La transumanza avveniva lungo i crinali, sulle cosiddette ‘vie marenche’. Si praticava un duplice uso dei fondi, basato sulla raccolta e la trasformazione delle olive e sul pascolo ovino invernale. Anche qui, modesti esempi di fede  mi accompagnano nella salita fino a quando scorgo le prime case del villaggio.

La collina si presenta a piramide. Il paese svetta sulla cima appiattita. I fianchi sono scaglionati, cinti da gradini di pietra e terrazze di ulivi. Dal fondovalle fino al paese. Una foresta di chiome argentee, senza soluzione di continuità. Salendo in auto verso il villaggio, lungo la provinciale 30, si coglie bene l’impressionante aspetto di questo ‘bosco a ulivi’, sostenuto dalla forza delle pietre a secco. Nel complesso si tratta di oltre 55 mila piante.

Le ‘fasce’ 

Non c’è monumento al lavoro umano più incredibile delle ‘fasce’ liguri. Il forte pendio e l’erosione dei suoli ha costretto i contadini a un’immane sforzo di sistemazione del terreno. Terra su terra, sasso su sasso si sono architettati ripiani sovrapposti per frenare lo scivolamento e aprire lembi di campagna. «Il versante si riduce così ad essere tutto scalarato – scrisse un secolo fa lo studioso Gaetano Rovereto – e rotto in tanti ristretti gradini, di altezza ineguale, che si allungano con irregolarità, cingendo il rilievo come le curve di livello di una carta topografica». 

Le fasce sono sostenute da muri a secco, dove la parte superiore coltivata è detta ‘lenza’, il caso più comune da Lucinasco. In altri casi la fascia è sostenuta da un’alta zolla erbosa e viene detta ‘zinna’ o ‘proda’. Quando il declivio è minore e la fascia più ampia ecco la ‘cianna’. Un caso particolare è la ‘lunetta’, un muro di sostegno a forma di mezzaluna che circonda una fossa riempita di terra per ospitare un ulivo. Di tanto in tanto, appoggiata al muro di sostegno, si intravede una ‘casella’, costruzione tronco-conica tutte in pietra, usata per deporre gli attrezzi.

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Albano Marcarini, La ferrovia delle meraviglie, Brossura, pag 176, con foto, mappe, acquarelli e tracce gps scaricabili, Alzani editore, Pinerolo 2015, 15,00 € – Acquista su www.guidedautore.it

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