Itinerario a piedi sul versante idrografico sinistro della Valle del Serchio, Garfagnana, all’altezza di Castiglione di Garfagnana, lungo il tracciato storico della Via Vandelli, proveniente dall’Emilia.
«La via che battemmo, era la via Vandelli – ricorda Prospero Fantuzzi nella relazione del suo viaggio fatto in Toscana nel 1833 – un tempo anche discreta, ma non atta a carrozza, ora poi trascurata e rustica per i sassi rotolanti e dispersi. Queste salite lunghe e disastrose le feci a piedi, in parte per mio talento» (1). La Via Vandelli fu realizzata fra il 1739 e il 1752 attraverso l’Appennino e le Alpi Apuane, da Modena a Massa. Aveva lo scopo di offrire allo Stato Estense uno sbocco tirrenico dopo che l’unione matrimoniale avvenuta nel 1741 tra Ercole Rinaldo d’Este e Maria Teresa Cybo, aveva garantito una continuità territoriale dalla Pianura Padana alle coste della Versilia. Il progetto e l’opera, di non facile realizzazione considerati gli aspri passaggi montuosi, furono affidati al matematico Domenico Vandelli, il quale si impegnò a fornire al proprio regnante una strada interamente carrozzabile e di uso commerciale. L’impresa riuscì a metà, nel senso che la strada fu costruita ma il suo calibro, specie nei tratti più difficili, non consentì mai il passaggio di carri e carrozze come gli Estensi avrebbero desiderato. Inoltre la successiva apertura, dopo il 1766, della più comoda e diretta Via Giardini-Ximenes, al passo dell’Abetone, rese meno opportuna l’ardita strada del Vandelli. Essa non fu però del tutto dimenticata, specie dalle popolazioni locali che, probabilmente colpite dalla grandezza dell’avvenimento, tramandarono il suo ricordo utilizzandola a lungo per il traffico minuto. Uno dei tratti meno conosciuti e più discussi in sede realizzativa per via dell’interferenza con il territorio della Repubblica di Lucca, tradizionale oppositrice della presenza estense in Garfagnana, riguarda il versante appenninico da S. Pellegrino dell’Alpe (alt. 1525 m.) a Castelnuovo in Garfagnana (alt. 270) sul displuvio fra le vallate del Sillico e dell’Esarulo. L’ambito comunale di Castiglione in Garfagnana, cui apparteneva l’importante varco viabilistico di S. Pellegrino e gran parte del tracciato fin quasi a Pieve Fosciana, risultava infatti essere – e risultò a tutti gli effetti fino al Congresso di Vienna del 1815 – un’enclave lucchese nel contesto dei domini estensi. La realizzazione della via fu dunque preceduta da lunghe vertenze sull’ubicazione dei confini e sulle loro possibili rettifiche in un clima fra apparente concordia e sottesi sospetti. «Un vento impetuosissimo – ricorda ancora il Fantuzzi – all’uso degli Appennini spirava in questi boschi e, allorché fummo sulla cima presso l’alta vetta sopra San Pellegrino, alla bella veduta e rallegrante delle montagne le Panie e della Tambura, il vento dominava sì che durai non poca fatica a restarmi in piedi, giacché non era per me possibile il restare a cavallo. Fortuna era che la mia consorte mi aveva munito il cappello di due cordicelle che, d’altronde, il vento me lo avrebbe portato sino alle stelle». Purtroppo ai giorni nostri una parte dell’originario tracciato è andata perduta sia per abbandono, sia per la costruzione della strada provinciale 71, a tratti sovrapposta alla strada del Vandelli. Ciò ha determinato un certo disinteresse in coloro che nella pratica dell’escursionismo si appassionano agli itinerari storici. Il sopralluogo che abbiamo condotto in luogo tende a rivalutare, con qualche inevitabile licenza logistica, questo tratto dell’antica via, oltremodo ricco di spunti storici e delineato entro un suggestivo contesto ambientale e paesaggistico.

Prima di avventurarci sul cammino occorre spiegare la geografia politica del territorio in questione, com’era cioè la Garfagnana intorno alla metà del XVIII secolo. In quei lontani tempi la valle del Serchio, era divisa fra possessi fiorentini, lucchesi e del Duca d’Este, con qualche bizzarria di confine come quella, appunto, che isolava la lucchese Castiglione entro il territorio modenese. A Castelnuovo era fissata la sede del Governatore Ducale, competente sulle quattro vicarie della valle. Le dedizioni spontanee agli Estensi da parte di molti comuni della Garfagnana, prima fra tutte le comunità di Sillico e di Bargecchia, erano iniziate nella prima metà del XV sec. con la speranza di sgravarsi dai pesanti balzelli fiscali imposti da Lucca. Solo Castiglione, con Minucciano, rimase fedele a Lucca pagandone il prezzo con pesanti assedi, come nel 1602 e nel 1613, che spiegano il poderoso impianto fortificato del borgo, tuttora leggibile con i suoi torrioni e le murate. In seguito, a partire dal 1618, il possesso estense della Garfagnana fu definitivamente riconosciuto da Lucca dando avvio a lungo periodo di pace che oltre allo smantellamento delle numerose fortificazioni poste su questi labili confini comportò anche una rinnovata collaborazione per lo sviluppo delle vie di comunicazioni fra i due Stati. Il progettato andamento della nuova strada correva, da S. Pellegrino dell’Alpe fino in fondovalle, entro il territorio di Castiglione e i lucchesi manifestavano spesso la loro preoccupazione «non avendo(si) alcun riscontro da i nostri cartoni in che luogo precisamente sia questa strada»(2). Sebbene non guerreggiato, il confine attorno alla metà del XVIII secolo mostrava parecchie approssimazioni a causa di abusivi spostamenti dei termini o per la dubbia interpretazione delle mappe disponibili. Inoltre per agevolare il tracciato, rispetto alla precedente mulattiera, erano necessarie da parte del progettista estense delle varianti di percorso tutte individuate all’interno dell’altrui Stato. D’altra parte il vantaggio economico di una nuova via di comunicazione poteva essere interpretato positivamente da entrambi i governi auspicando così un pacifico accordo. Si ha notizia che dopo ripetuti incontri, nel mese di luglio 1750 il Vandelli e il Serantoni, ingegnere lucchese, giunsero alla stesura di una dettagliata carta che fissò gli estremi del tracciato e la ‘dimostrazione’ dei confini. La ‘risoluzione’ congiunta che approvò l’accordo pervenne nell’agosto dello stesso anno mentre diverse squadre di operai – ‘savoiardi’ perché particolarmente abili in tal genere di lavori – erano già sui cantieri. In essa sono contenuti anche gli estremi per un collegamento fra la Via Vandelli e il territorio lucchese, una sorta di bretella che da Castelnuovo Garfagnana scendeva la valle del Serchio fino al territorio di Gallicano. Una serie di alti cippi in ‘pietra serena’ siglati F.III.D./1750 (Francesco III Duca di Modena/1750) stabilirono da quel momento in modo duraturo i nuovi limiti territoriali.
Due illustri personaggi mi hanno preceduto nella ricognizione di questo percorso: nel 1905 Cesare Sardi (S.Pellegrino delle Alpi, in ‘Rassegna Nazionale’, anno XXVIII, 1906, maggio-giugno); nel 1961, Giovanni Bortolotti (in ‘Guida dell’Alto Appennino Modenese e Lucchese’, Tamari, Bologna 1961).
Punto di partenza. San Pellegrino in Alpe (alt. 1525). Un servizio estivo di bus in partenza da Castelnuovo consente di raggiungere due volte al giorno S. Pellegrino. Info: www.clapspa.it – Punto di arrivo: Pieve Fosciana – Distanza: 11,5 km. Dislivello: 1150 metri in discesa. Tempo di percorrenza: 3 ore Percorso: mulattiera storica, sentiero, piste forestali e tratti su asfalto lungo la moderna strada provinciale (traffico scarso). GPS: traccia ottenibile su richiesta a info@guidedautore.it – Segnavia: tacche bianco-rosse nella prima parte, poi inesistenti. Seguire con attenzione la cartina. Dove mangiare. A S.Pellegrino in Alpe, oltre ai locali ristoranti per turisti, si possono avere provviste per una colazione al sacco. Dove dormire. La Taverna del Pellegrino, Via Vandelli 10/bis – San Pellegrino in Alpe, 0583.649074-333.6892692
www.tavernadelpellegrino.it – Da fare in più. Sia in Emilia, sia in Toscana esistono lunghi tratti segnalati della storica Via Vandelli. Da segnalare, in particolare, il tratto di salita da Resceto al Passo della Tambura, nelle Alpi Apuane; il tratto certamente meglio conservato, di spettacolare impianto. Per saperne di più: i due volumi della mostra sulla Via Vandelli tenuta a Modena nel 1986: La Via Vandelli, Strada Ducale del ‘700 da Modena a Massa, Artioli Editori, Modena 1987.
© 2016 Albano Marcarini.
La descrizione del percorso
Per comodità la descrizione attuale dell’itinerario avverrà nel senso della discesa, da S. Pellegrino dell’Alpe (alt. 1525) fino a Campori (alt. 369). Un servizio estivo di bus in partenza da Castelnuovo consente di raggiungere due volte al giorno S. Pellegrino. La lunghezza totale è di 11,540 km, 4,240 dei quali sull’attuale strada provinciale, la restante parte sul percorso originario o su altri percorsi secondari alternativi all’asfalto. Nel primo tratto l’itinerario è indicato con le tacche bianco/rosse del Cai, ma non risulta numerato. Il tempo di percorrenza è ovviamente personale, a seconda degli interessi di ognuno, ma, in media si possono mettere in conto circa 3 ore di cammino, nel senso della discesa. La cartina riporta in rosso l’indicazione del tracciato da seguire.
Si prendono le mosse sotto l’oscuro passaggio selciato dell’edificio dell’Alpe di San Pellegrino 1. Sulla sinistra si accede alla chiesa che conserva le venerate spoglie dei santi Pellegrino e Bianco. L’insieme delle costruzioni rende ancora bene l’idea del luogo di transito e di sosta, con le osterie, l’alloggio dei viandanti, l’ospizio dei frati. Lo ‘spedale’ di S. Pellegrino pare sia sorto intorno all’XI sec. per ospitare i viandanti allora instradati sulla Via Bibulca, un cammino transappenninico di origine preromana. La curiosità amministrativa è che una parte degli edifici e metà della chiesa – e addirittura una metà delle spoglie dei due santi – appartengono al comune emiliano di Frassinoro e, in precedenza, allo Stato estense. Si verificava così una stranissima situazione per cui San Pellegrino risultava essere un ‘enclave’ estense inserito nel più vasto territorio di Castiglione, a sua volta ‘enclave’ lucchese interamente circondato dai domini estensi. Usciti sulla spianata posteriore la visuale si allarga a comprendere una larga porzione della valle del Serchio e la lontana cornice delle Alpi Apuane. Un’occhiata alle spalle permette invece di cogliere la singolare struttura dell’edificio, con i due corpi di fabbrica affiancati e il massiccio campanile. Al margine basso della spianata due croci indicano la via da seguire. Scesa fra le erbe una balza si giunge accanto alla moderna rotabile. Non la si segue per ora. Uno stinto cartello – sarà l’unico lungo tutto il percorso – ci ricorda la titolazione della via. Ci si inoltra per uno stretto sentiero che corre parallelo, ma più in basso, rispetto alla strada carrozzabile. Consente di raggiungere le prime case sotto S. Pellegrino, oggi in parte riattate, ma con elementi che ricordano la loro vetustà. La più significativa è Ca’ di Palma (alt. 1405) 2, con il corpo di fabbrica parallelo alla rotabile in guisa di edificio al servizio dei viandanti con sottostante stallaggio. La dignità architettonica è sottolineata dalle cornici dei portali e dalla chiave di volta formata da una pietra tagliata a cuspide. Questa tipologia, detta ‘fabbrica’, si ripeteva in altri luoghi lungo il percorso in quanto stabilita per il servizio della strada da gestori privati che ne avevano avuto concessione dal governo.

La maggior parte delle comunicazioni fra il Modenese e la Garfagnana, strette da ragioni economiche oltre che politiche, transitava per S. Pellegrino, attraverso la Foce delle Radici (alt. 1528 m.) o attraverso l’attigua Bassa del Saltello (alt. 1599). Luogo esposto ai venti e alle nevi invernali, coperto allora da una fitta selva, detta Romanesca, e afflitto, come tutti i luoghi di passaggio, da bande di briganti e predoni. Non è un caso dunque se la protezione di un santo ‘viandante’ come Pellegrino si sia resa necessaria per assicurare almeno spiritualmente la sicurezza del cammino. Già nel 1281 si erano fissati accordi per il libero transito di merci: panni lana che da Modena avevano come meta il porto di Pisa; drappi, seterie, bestiame che da Lucca raggiungeva la Pianura Padana (3). Il percorso non doveva essere facile. Il cronista Giovanni Sercambi notava le difficoltà che una spedizione del Comune di Lucca aveva dovuto affrontare nel febbraio 1396, la quale avendo «cavalcato fino a Santo Pellegrino dell’alpe con numero grande di fanti et eprsone com pale che spalavano la nieve, e non potendo valicare l’alpe per la fortuna del tempo et della nieve, funno costrecti ritornare a rieto. E in nel ritornare, alcuno morì in nella nieve di freddo»(4). Un primo miglioramento del tracciato doveva essere avvenuto proprio nel XIV secolo quando, sotto il dominio di Spinetta Malaspina, Castiglione ottiene il beneficio del riattamento della mulattiera per S. Pellegrino, con la probabile realizzazione del noto ponte ad arco sul fiume Esarulo (5). Innumerevoli poi le occasioni di pellegrinaggio verso l’alpe, dopo che la fama del santo prese a diffondersi nell’intera Lucchesia: processioni di centinaia di fedeli inforcavano lo scabro cammino in salita per raggiungere le devote spoglie. Ma altre corrispondenze storiche, relative a possessi matildici nelle pievi della Garfagnana o al fatto che il suo avo Sigifredo era originario della Lucchesia e che la stessa Matilde era scesa in Toscana nel 1105 attraverso San Pellegrino, fanno retrodatare la frequentazione di questo cammino almeno al XII secolo. E se saranno comprovati come etruschi i resti di un villaggio, rinvenuto nei pressi di Pieve Fosciana, ai piedi del valico, si potrebbe addirittura ipotizzare quella di S. Pellegrino come una delle possibili vie di penetrazione etrusche nella piana del Po.

Il successivo tratto del cammino, abbandonate a Ca’ di Palma le indicazioni, pure bianco/rosse, del Garfagnana Trekking che raggiunge Castiglione lungo la Valle dell’Esarulo, prevede un breve tratto sull’asfalto fino alle case del Tendaio (alt. 1350) 3. Seguendo qui l’accesso alla casa più antica, passando dinanzi ad essa e proseguendo poi sul lato a valle del crinale si intercetta, con qualche fatica, la trincea di un cammino, oggi del tutto sconnesso ma certamente accreditabile a periodo antico. Discende la pendice e si riporta sull’asfalto subito dopo la cabina dell’acquedotto, all’altezza del cippo del km 11 e a pochi passi dalle case della Costa (alt.1254) 4. Dalle case parte uno stradello che si mantiene sul fianco destro del crinale (la rotabile sta a sinistra) e procede per buon tratto, seguendo una palificazione elettrica, fino a confluire in una strada sterrata, di servizio agli isolatissimi casali dell’alta valle dell’Esarulo. Mantenendo la direzione verso sud-ovest si torna sulla provinciale, questa volta all’altezza del km 10, giusto all’altezza di una modesta cappella (alt. 1190) 5. Di nuovo, dopo pochi passi, si lascia l’asfalto e si torna a contornare il crinale sul fianco destro, in ombra, su una larga anche se sconnessa carrareccia. Non è affatto certo che sia l’originaria Vandelli, anzi è probabile che essa, in questo tratto corresse dove ora corre la provinciale. Ma una sorpresa ci coglie dopo aver divallato al Colle di Pedro (alt. 1200) 6 riportandoci sul versante opposto. Qui infatti, il cammino, segnalato da tacche bianco/rosse, si imposta lungo una breve ma significativa della via settecentesca (in questo tratto la rotabile moderna corre parallela, ma poco più in basso). È un tratto con la vegetazione ad arbusti e le rocce affioranti, la struttura viabile è retta a valle da un forte muro, presenta una bella selciatura. A un tratto si nota anche un nicchia nella roccia sul lato destro con l’immagine della Madonna e la data ‘1854’. La Vandelli e la precedente mulattiera furono battute per secoli coltivando gli stretti rapporti fra i due versanti dell’Appennino, uniti non solo per ragioni politiche. Se dunque obbligati erano i passaggi di militari e funzionari ducali, più dipendenti dalle economie dei due territori erano i raccoglitori di castagne, i mercanti di strada e quelli di bestiame, nonché gli scambi fra personaggi di un certo livello culturale come precettori, notabili, avvocati e anche, come nel caso di Prospero Fantuzzi, di precursori del turismo.


Poco prima dell’insellatura della Crocetta (alt. 1085; per tradizione punto di sosta dei viandanti per la presenza di una rupe che avrebbe recato incise le impronte delle ginocchia di Pellegrino in preghiera), la vecchia via riconfluisce nella moderna che ora sarà obbligo seguire per lunga mena (circa 1.4 km). Fortunatamente il traffico è scarso. La via procede vicino al dorso del M. Verrucchiella, una delle varie prominenze del lungo contrafforte che scende verso la valle del Serchio. Le mappe antiche rivelano che qui la Vandelli proponeva addirittura due percorsi, l’uno alternativo all’altro, detti ‘la Calda’ e ‘la Fredda’, da impegnare rispettivamente durante l’inverno e durante l’estate lasciando in mezzo la vetta della Verrucchiella. Un singolare e funzionale modo di intendere i cammini a seconda della loro esposizione ai venti, al gelo, alle nevi. Era questa la zona della Gran Selva, «per i fitti boschi che la coprivano e che albergavano anche orsi» scrive il Bertolotti. Con una curva decisa a 90° la provinciale punta di nuovo a sud e raggiunge poco dopo il vetusto e abbandonato edificio de La Loggia (alt. 987) 7; era evidentemente uno spaccio di alimenti come si nota dal purtroppo distrutto mezzo davanzale anteposto all’accesso vetrato. Dopo il cippo del km 7 la strada si biforca: la provinciale punta a destra e raggiunge Chiozza, cospicua frazione di Castiglione in splendida posizione; l’originaria Vandelli invece a sinistra in questo rispettando il criterio, già noto in passato, che le ‘strade di grande traffico’ dovessero evitare l’attraversamento degli abitati. Lo stradello, asfaltato, tocca infatti poche case isolate fra enormi alberi di castagno che sono la ricchezza botanica della Garfagnana. Poi, giunto in località Pensierino (alt. 933) 8, si riduce a sterrato proseguendo nella discesa, sempre piuttosto sensibile tanto che qui si incontrano due ravvicinati tornanti, affrontabili solo a piedi.
La strada ha ormai raggiunto l’orizzonte dei coltivi e dei castagneti. Un ultimo lembo di pineta s’incontra lungo la dorsale del Monte del Grottone, sempre sul tracciato originale della Vandelli, cui fanno seguito due tornanti dalle tracce cementate che incontrano più in basso la provinciale (alt. 625) 9, qui riapparsa dopo aver deviato su Chiozza. Attenzione ora poiché attraversando la strada s’intravede un varco fra il guard-rail e la vegetazione della banchina. Si tratta della continuazione della via, nel primo tratto un po’ infrascato, ma poi, dopo una cinquantina di metri, splendidamente scoperto e intatto, con delle belle ‘canaline’ in pietra per il deflusso delle acque e una solida struttura selciata, della larghezza di circa 2.50 metri. Siamo intorno a quota 820-800 ed è certamente il tronco meglio conservato della via lungo il nostro itinerario. Più in basso si deve tornare sulla provinciale per superare le case di Pellizzana (alt. 781) 10, quindi dove la provinciale curva a destra si procede su una secondaria che, subito, manda a destra un altro tratto della Vandelli originaria, sempre molto vicina alla linea del crinale e studiata con un andamento più diretto e, ovviamente, più acclive, rispetto alla moderna rotabile.
Dopo le case di Pellizzanetta (alt.735) 11 si torna su fondo naturale con altri due brevi tornanti che riportano, più in basso, a raccordarci con la strada provinciale. Le topografie del secolo scorso, e anche la ‘tavoletta’ al 25 mila dell’Istituto Geografico Militare aggiornata al 1941, indicano ancora bene la Vandelli nel tratto terminale fino a Campori. Purtroppo oggi le cose stanno diversamente e, oltre all’incidenza della moderna rotabile, i tratti superstiti sono stati inglobati nei coltivi. Se si vuole insistere si può abbandonare la provinciale ancora in due tratti: il primo è poco dopo il cippo del km VI/2, presso una palina del bus, dove uno stradello manda verso un casale e poi discende a curve nelle pertinenze prative dello stesso fino a tornare sulla provinciale circa a quota 575; e l’ultimo, solcando un bellissimo declivo di prati e vigne, partendo dal tornante appena sopra le Case S. Maria (alt. 550) 12 per reimmettersi nella provinciale al cippo del km 1.
Infine Campori (alt. 419) 13 che la moderna strada aggira contrariamente alla Vandelli che lo traversa partendo dal piazzaletto della chiesuola. Secondo l’Angelini questo era il luogo, all’inizio della salita, per chi ovviamente proveniva in senso contrario al nostro, dove si radunavano le mercanzie e si organizzavano le carovane. Inoltre i monaci di San Pellegrino tenevano qui una ‘cella’, ovvero un piccolo luogo di assistenza ai viandanti. Campori, attinente a Castiglione, era anche l’ultimo abitato lucchese prima di tornare nei possessi estensi. Il lungo rettifilo da Campori a Pieve Fosciana (alt. 376) 14 è comune alla vecchia via e alla moderna che qui incontra, da destra, l’ex-statale 324 proveniente dalla Foce delle Radici e da Castiglione. La discesa effettuata nel 1818 dal Duca Francesco IV, penultimo dei sovrani estensi a governare su Modena, ci è utile poiché fornisce il puntuale dettaglio dei tempi e delle distanze impiegate nel percorso. Sentiamolo: «Non giunsimo a San Pellegrino che alla 1 ora, vi visitammo il Santuario poi ci scaldammo e alle 1 e tre quarti ne ripartimmo scendendo a piedi il monte ove dopo mezzo miglio finì la neve. Sono 8 miglia da San Pellegrino a Castelnuovo, cioè 6 di discese e due da Campori per Pieve Fosciana a Castelnuovo. Passammo per Chiozza alle (omissis) e giunsimo alle 3 e tre quarti a Campori…» (6). Dunque solo 2 ore per coprire il nostro stesso percorso, e in inverno. Complimenti Duca!
- Per la presente ricognizione mi sono basato sulle seguenti fonti ‘primarie’: Lorenzo Angelini, La Via di S. Pellegrino, in ‘Viabilità, traffici, commercio, mercati e fiere in Garfagnana dall’antichità all’Unità d’Italia’, Atti del convegno di Castelnuovo di Garfagnana, settembre 2005, Aedes Muratoriana, Modena 2006; L. Angelini, Storia di San Pellegrini dell’Alpe, Pacini Fazzi, Lucca, IIIa ed. 1996; G. Bortolotti, Guida dell’alto appennino modenese e lucchese, Tamari, Bologna, IIa ed. 1961; M. Pellegrini, F.M.Pozzi, La Via Vandelli, strada ducale del ‘700 da Modena a Massa, Vol. II, Artioli, Modena 1989.
1 . Prospero Fantuzzi, Viaggi geografici II, 1839, ed. Antiche Porte, Reggio E., Reprint 1988
2. Dichiarazione del Consiglio Generale della repubblica di Lucca (1738) citata in ‘Le differenze di confine fra Lucca e Modena e la Via Vandelli detta del Broglio’ di Guglielmo Lera. Il saggio è contenuto nell’esaustivo volume ‘La Via Vandelli: strada Ducale del ‘700 da Modena a Massa’, op.cit.
3. Lorenzo Angelini, La Via di S. Pellegrino, op.cit., pag. 153.
4. G. Sercambi, Le croniche di Giovanni Sercambi lucchese, I, Lucca 1892, cit. in L. Angelini, La Via di S. Pellegrino, op.cit., p. 153.
5. Cfr. Storia di Castiglione, opuscolo a cura della Proloco di Castiglione della Garfagnana, 1990, p. 3.
6. Cfr. A. Cenci, La Garfagnana estense nei viaggi ottocenteschi di S.A.R. Francesco IV, in ‘Viabilità, traffici, commercio, mercati…’, op. cit.
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Albano Marcarini, La Strada Priula, Lyasis, 2009, 144 pag. a colori con mappe, foto e acquerelli. Brossura con copertina plastificata – Formato: 11 x 16,5 cm – 14,00 € – Acquista
La prima parte del tracciato descritto non è la via Vandelli, è una mulattiera antecedente la Vandelli. Da San Pellegrino alla località La Fabbrica il percorso della via Vandelli è lo stesso dell’attuale SP71, poi devia sulla sx in località Col di Pedro, dopo la descrizione è corretta.
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Egregio sig. Mauro
la ringrazio per la sua precisazione. Forse nella descrizione non sono stato sufficientemente chiaro ma nell’introduzione (La descrizione del percorso) ho segnalato la cosa e cioè che, ove è possibile evitare la strada provinciale, si suggeriscono percorsi secondari alternativi che evidentemente non corrispondono all’originaria Vandelli. Inoltre prima di arrivare al Colle di Pedro ho scritto esplicitamente che il cammino fin lì fatto: “ Non è affatto certo che sia l’originaria Vandelli, anzi è probabile che essa, in questo tratto corresse dove ora corre la provinciale.”
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