La fantastica Spoleto-Norcia

Itinerario in e-bike, mtb, gravel o a piedi lungo il primo tratto della ex-ferrovia Spoleto-Norcia, oggi convertita a pista ciclo-pedonale.

«Fra le ferrovie di montagna, la Spoleto-Norcia ha sempre rappresentato il massimo sforzo di tecnica dei tracciati; una specie di piccolo Gottardo. Forse perché fra le ultime ferrovie ad essere progettate, essa è anche la più ardita e difficile; tanto che a nessuno, oggi, potrebbe venire in testa di compiere ex-novo uno sforzo simile». Questa citazione di Giovanni Klaus Koenig, che fu tra i massimi esperti di ingegneria ferroviaria in Italia, esprime una legittima ammirazione per una ferrovia che non esiste più, ma che è rimasta nel ricordo di molti, la Spoleto-Norcia. Si potrebbe riflettere sullo smantellamento di questa e di molte altre linee secondarie, avvenute in un periodo di generale foga automobilistica, senza che si avvertisse la prospettiva di un loro rilancio come risorsa turistica. I pentimenti sono tardivi e non depongono a favore di ipotetici riscatti per le enormi spese cui occorrerebbe far fronte oggi in un Paese non ancora del tutto immune dalla febbre delle quattro ruote. Più plausibile, in alcuni casi ‘senza speranza’, come la compianta Spoleto-Norcia, riciclare il vecchio tracciato ferroviario come pista ciclo-pedonale, una greenway a favore della mobilità dolce e del turismo. Un intento perseguito da diversi anni dagli Enti locali e da Spoletina Trasporti, oggi confluita in Umbriamobilità, già concessionaria della ferrovia quando era attiva. Dopo l’acquisizione del sedime, operazione permessa grazie al vincolo posto dalla Soprintendenza ai Beni Culturali dell’Umbria, si è passati alla messa in sicurezza e al recupero delle opere d’arte e dei caselli, riconvertiti come strutture ricettive. Oggi la pista ciclabile Spoleto-Norcia è una realtà con centinaia di ciclisti e di pedoni che la percorrono quotidianamente. L’intero tracciato misura 52 chilometri. Prevedendo l’andata e il ritorno, gli si possono destinare due giorni pernottando nei B&B della zona. In questo itinerario ci limiteremo al tratto più esaltante, quello di valico, da Spoleto a Santa Anatolia di Narco che comprende la più lunga galleria ‘ciclabile’ d’Italia, di quasi due chilometri di lunghezza e una labirintica discesa verso la Valnerina con curve elicoidali, altri tratti in galleria, acrobatici viadotti.

Il tracciato della ex-ferrovia Spoleto-Norcia con le principali opere d’arte. Da A.Marcarini-R.Rovelli, Atlante italiano delle ferrovie in disuso, Istituto Geografico Militare, Firenze 2017.

Da Spoleto a Santa Anatolia di Narco.

Itinerario in mtb o gravel lungo la ex-ferrovia Spoleto Norcia, nella Valnerina, in Umbria. L’itinerario si può coprire anche a piedi.

Partenza: Spoleto, presso lo svincolo della SR 395 della Forca del Cerro. Spoleto si raggiunge in treno sulla linea Perugia-Orte-Roma.

Arrivo: Santa Anatolia di Narco. Da cui si può proseguire per Norcia (a 30 km) nell’altro tratto della ex-ferrovia, oppure, nella direzione opposta, lungo la Greenway della Valnerina fino a Terni (a 35 km), dove è possibile riprendere il treno per Spoleto o per Roma. Il ritorno da Santa Anatolia di Narco a Spoleto può  anche avvenire utilizzando i bus di Umbriamobilità: la linea E401 dispone di alcune corse pomeridiane con portabici. Info dettagliate e orari su: http://www.fsbusitalia.it/fsb/L’offerta/Linee-regionali/Umbria/Punti-Vendita/PVB_Spoleto gestione servizi bus e bus+bici;  https://www.umbriamobilita.it/servizio-di-trasporto-pubblico-locale/

Lunghezza: 17,9 km (dall’inizio alla fine del tratto su pista ciclabile).

Tempo di percorrenza: 2 ore (4 ore e 30 minuti a piedi).

Dislivello: 380 metri.

Condizioni del percorso: pista ciclo-pedonale protetta, su fondo stabilizzato o naturale; indispensabile disporre di torce elettriche per l’attraversamento delle gallerie.

Periodo consigliato: dalla primavera all’autunno.

Dove mangiare: Al Binario Giusto, nella ex-stazione di Santa Anatolia di Narco, 328.6661080, punto di riferimento per tutti i ciclisti con possibilità di noleggio bici.

Dove dormire: Hotel La Macchia, Località Licina 11, Spoleto, 0743 49059https://www.albergolamacchia.com/hotel/..

Indirizzi utili. Ufficio turistico di Spoleto, piazza della Libertà 7, tel. 0743.49890; Ex Ferrovia Spoleto-Norcia Museo, Via Fratelli Cervi 10, Spoleto, 331.9090893, su prenotazione; Museo della Canapa, Antenna dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, piazza del Comune Vecchio 1, Sant’Anatolia di Narco, 0743.613149, aperto martedì, giovedì, sabato dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18 (altri giorni su prenotazione, lunedì chiuso).

Noleggio bici: https://www.facebook.com/Terminallemattonelle  https://www.facebook.com/search/top?q=zafferano%20e%20dintorni 

Bibliografia: Aa.Vv, Strade di carta, di ferro, di terra, Spoleto 2007 (disponibile presso il Museo della ex-ferrovia).

ATTENZIONE! Prima di intraprendere l’escursione è bene accertarsi, presso i responsabili del Museo, dell’effettiva agibilità delle gallerie, il cui transito è talvolta precluso per motivi di sicurezza. Al momento (febbraio 2023), in particolare, risulta chiusa al transito la galleria di valico di Caprareccia. Nel testo vengono fornite le indicazioni per aggirare l’ostacolo. Umbria Mobilità, la società che gestisce il Percorso di Mobilità Dolce, ricorda a tutti che la visita lungo il percorso naturalistico ai sensi del regolamento è fatta a rischio di chi la effettua.

Traccia GPX disponibile su richiesta a info@guidedautore.it

Questo itinerario è stato pubblicato su Amicotreno nel giugno 1996 e nella guida Umbria, di “Itinerari di Amicotreno”. Nuova versione aggiornata per sentieridautore.it nel febbraio 2023.

©albanomarcarini 2023


Si prendono le mosse dalla stazione ferroviaria di Spoleto (alt. 304), dove in origine era posizionata anche la stazione della linea per Norcia. Si percorre Viale Trento e Trieste che conduce a Porta Garibaldi, accesso dell’antica Via Flaminia (sotto il piano della strada attuale si può ammirare il ponte Sanguinario, del I sec.a.C.). Superate le due porte gemine si entra nella Spoleto medievale e si imbocca la rettilinea via dell’Anfiteatro.

Spoleto. Strano destino quello di Spoleto, cittadina fra le più affascinanti dell’Umbria ma piuttosto disdegnata dai visitatori del passato. Il giudizio di Charles de Brosses, che viaggia nel 1739, è tagliente: «La città è situata su un’altura. La notte ci impedì di vederla; ma tanto, non ne vale la pena». Da Camillo Boito, che vi arriva nell’Ottocento, ci si aspetterebbe più clemenza, invece taglia corto: «Spoleto: città famosa per la sua eroica resistenza ad Annibale e per i suoi tartufi». Solo Goethe ripaga di questa indifferenza con la sua lunga e ammirata sosta di fronte al Ponte delle Torri. Oggi Spoleto trova riconosciuto ovunque il suo pregio monumentale oltre ad essere centro di cultura grazie al celebre festival artistico dei Due Mondi. Appoggiata a una prominenza del rilievo di Monteluco, la cittadina ha una storia di oltre tre millenni. Nel periodo longobardo esercitò la supremazia ducale su un vasto territorio umbro-marchigiano. Oggi conserva un patrimonio di monumenti tale da riempire un libro di storia dell’arte: monumenti classici della romanità, chiese paleocristiane, romaniche e gotiche, edifici della nobiltà papalina, istituzioni culturali ottocentesche. Fu rivestita da una duplice cinta di mura: la più antica risalente al periodo pre-romano e si protende per oltre due chilometri, la seconda delineata durante il XIII secolo. Non c’è tempo per citare tutte le attrattive della città, ma non tralasciate di soffermarvi in piazza del Duomo, alla quale sarete giunti dopo aver scalato la gradonata Via delle Mura Ciclopiche che si diparte dal fondo di Via dell’Anfiteatro. La piazza è una scenografica balconata sulla quale, oltre al Duomo, figurano il Palazzo della Signoria, la piccola chiesa di S. Maria della Manna (1528) e il teatro Caio Melisso. Il Duomo merita un’attenzione particolare. Simbolo della risorta Spoleto dopo la distruzione recatale dal Barbarossa nel 1155, l’edificio, consacrato nel 1198 da papa Innocenzo III, è una raffinata fabbrica romanica dall’adorna e maestosa facciata, affiancata da uno svettante campanile. L’interno rivela le profonde trasformazioni subite nella prima metà del ‘600. Fra gli oggetti d’arte degni d’attenzione si devono privilegiare l’affresco del Pinturicchio (Madonna e santi) alla prima cappella della navata destra, e il vasto ciclo, pure di affreschi, dell’abside del presbiterio, dovuti a Filippo Lippi e alla sua scuola (1467-69).

Il tempo stringe e c’è la frenesia di affrontare il percorso lasciando la città. Prima però è consigliabile fare una capatina al Museo della ex-ferrovia Spoleto-Norcia, allocato nella vecchia stazione. Comprende documenti, oggetti e immagini sulla storia di questa formidabile ‘ferrovia di montagna’. È anche un punto di riferimento per informazioni sulla rete di mobilità dolce dell’Umbria che comprende la ciclabile Spoleto-Assisi, la Greenway della Valnerina e il Sentiero degli Ulivi.

A questo punto, dal Museo ci si porta alla partenza della pista ciclabile. Occorre essere prudenti poiché si percorre un breve tratto di viabilità urbana con vari attraversamenti e rotatorie. Dal museo si segue Via Caduti di Nassiriya, accanto al vecchio scalo ferroviario, oggi area sosta camper. Alla prima vasta rotatoria si nota l’indicazione segnaletica per l’ex-ferrovia Spoleto-Norcia (prima uscita); raggiunta una seconda rotatoria si utilizza la seconda uscita sottopassando la ferrovia Perugia-Orte; infine, piegando a sinistra in direzione Norcia, s’incontra subito il simpatico totem con l’accesso alla greenway. Una bacheca informa sulla storia e le caratteristiche della ex-ferrovia che qui segnava già la progressiva 1+300.

La ferrovia Spoleto-Norcia. Come spesso accadde trattando di ferrovie, anche la realizzazione della Spoleto-Norcia fu preceduta da dibattiti, proposte, progetti che ne ritardarono di parecchio il compimento. Sebbene la ferrovia, nelle direzioni di Orte e di Foligno era giunta a Spoleto fin dal 1866, di una connessione verso l’isolata Valnerina si iniziò a parlare solo nel 1897, venendo a cadere tutte le precedenti iniziative che fin dal 1846 proponevano un collegamento diretto con Terni e, addirittura, con Ancona. Scemate le ambizioni il primo progetto spoletino porta la data del 1898, limitato al capolinea di Piedipaterno. Ciò fu però sufficiente per incoraggiare nel 1904 i comuni della valle, fra cui Norcia e Cascia, a sostenere un’ipotesi di ben più larga gittata, ovvero una linea che oltre Norcia si congiungesse addirittura con la progettata Antrodoco-Ascoli Piceno, dando così vita a un completo attraversamento appenninico. Ipotesi però troppo ambiziosa per i tempi e, in parte, sminuita dalla contemporanea istituzione di un servizio di ‘pirobus’, autoveicoli gommati dotati di motore a vapore, sulla strada Spoleto-Norcia, aperta nel 1856.

Il ‘pirobus’ in esercizio sulla strada per Norcia (archivio privato)

Nonostante la novità, celebrata con entusiasmo dalle popolazioni, furono lo sbilancio d’esercizio, la perdurante lentezza del viaggio – quasi 4 ore per coprire la distanza fra i due centri – gli impedimenti invernali e il conseguente quasi nullo vantaggio rispetto alle tradizionali diligenze a cavalli a giustificare le cause della sua soppressione nel 1905. Si tornò pertanto a discutere di ferrovia che, però, nei primi anni del Novecento, trovò la concreta minaccia di una tramvia che in partenza da Terni avrebbe risalito la valle del Nera fino a Norcia. Di fatto, la concessione ferroviaria ottenuta da Spoleto nel 1912 e la bontà del progetto presentato prima dall’ing. Carosso, nel 1909, e poi dall’ingegnere Erwin Thomann, misero fine a ogni ulteriore indugio. Ma, per vedere la prima motrice elettrica percorrere la linea, si dovettero attendere 14 anni a causa della guerra, degli insufficienti finanziamenti e del mutamento in corso d’opera del tipo di trazione, da vapore a elettrica.

La curva elicoidale, detta Il Giretto, presso il viadotto di Carrareccia (archivio privato)

Finalmente il 1° novembre 1926 fu dato avvio al tanto desiderato esercizio. «Per decenni – ricorda Paolo Capocci, promotore della rinascita della ex-ferrovia – questa nuova via di comunicazione fu per studenti, lavoratori, contadini, commercianti, pellegrini, viaggiatori, il modo più rapido, confortevole sicuro, ed utilizzato, per raggiungere i centri vicini: una coppia di treni nel tratto Serravalle Norcia venne aggiunta in occasione di fiere e mercati; nel corso degli anni ’50, si procedette all’ammodernamento del parco rotabile che raggiunse 5 elettromotrici, 8 rimorchiate 34 carri merci». Nel dopoguerra, ripristinate le strutture fortemente danneggiate, si pensò a un prolungamento della linea a Cascia, già ipotizzato in origine e motivato dall’importanza turistico-religiosa della località, che rimase però solo sulla carta facendo presagire un declino che di lì a poco sarebbe divenuto inarrestabile. Il 31 luglio 1968, nonostante vive proteste popolari, la Spoleto-Norcia chiuse il suo onorato servizio. «Questa ferrovia – ha commentato lo storico Adriano Cioci – è stata un raro esempio di come debba avanzare il progresso, che non è sempre sinonimo di riduzione di costi e tempi, di come la civiltà debba seguire le orme dell’uomo, senza superarle e mortificarle. Questa civiltà è riuscita a sopravvivere per anni, schiacciata poi dalla travolgente frenesia della modernità». I dati tecnici essenziali: scartamento di 0.950 metri, trazione elettrica a corrente continua a 2400 Volts, lunghezza di 52 km, pendenze massime del 45 per mille e curve con raggio minimo di 70 metri, 377 opere d’arte fra cui diversi viadotti e 13 gallerie, fra cui quella di valico, detta di Caprareccia, della lunghezza di 1936 metri, a 625 metri d’altitudine. Nove le stazioni e sette le fermate semplici. La distanza fra i due terminali della linea era coperta in circa due ore.

Si comincia finalmente a pedalare sul vecchio sedime prendendo quota con quasi insensibile pendenza. Difatti la linea si sviluppa qui con un tortuoso tracciato che asseconda le linee orografiche, fra piantagioni di ulivi e frutteti. Ma leggiamo la relazione di chi progettò la ferrovia, ovvero l’ingegnere svizzero Edwin Thomann: «Il tracciato gira attorno alla Villa Bellavista, attraversa la Valle Cortaccione, si sviluppa a mezza costa del Colle del Sasso; e onde raggiungere il punto più favorevole per valicare il monte che divide la vallata di Spoleto dalla Val di Nera, si svolge in una curva chiusa attorno al Colle Pastorella». Il viadotto di Valle Cortaccione (alt. 401), compreso fra due brevi gallerie di 50 metri, è una balconata panoramica sulla campagna della Valle Umbra. Fermandoci un attimo si possono individuare tutte le città: Trevi, Montefalco, Foligno, Spello fino ad Assisi. Dopo la seconda galleria, con rivestimento al naturale, la ferrovia proseguiva nella sua lenta ascesa aggirando un’altra collina, giusto dirimpetto al castello di Eggi, eretto alla fine del XIV secolo. 

Così scrisse un cronista che ebbe l’onore di salire, nel 1926, sul convoglio inaugurale: «La via taglia all’inizio, la roccia viva, sale verso burroni dominati da arditi viadotti che paiono alati, in un continuo succedersi di panorami che si aprono a destra verso la pianura e a sinistra verso le montagne di Cerro».

Ora agli ulivi si aggiungono le boscaglie di leccio, gruppi di pini d’Aleppo, ornielli e carpini. Le poche case di Matrignano stanno appena sopra la massicciata dove era ubicata una fermata. Il toponimo è troppo invitante per non pensare a una sua discendenza da un patronimo romano, forse due generali, Caio e Lucio Matrinio. Il borgo era posizionato lungo un’antica mulattiera che dalla piana di Eggi raggiungeva la Valnerina. La presenza nobile è data dalla Villa Alberini, realizzata nel 1783, il cui interesse è dato soprattutto dai non comuni soggetti dei dipinti coevi, che decorano gli ambienti interni; si tratta di scene grottesche e irriverenti verso il clero assieme a rappresentazioni di vita popolare. Da qui la linea presentava la prima complicazione orografica poiché per raggiungere la soprastante stazione Caprareccia (alt. 589) si dovevano guadagnare in poco spazio 50 metri in altezza, problema che fu risolto con la costruzione della prima curva elicoidale del percorso, attorno al Colle Pastorella. Transitando dapprima sotto e poi sopra il viadotto Caprareccia, una delle più belle opere della linea con le sue ampie arcate a tutto sesto per una lunghezza complessiva di 240 metri, si comprende subito lo sviluppo dell’ardita soluzione tecnica. La stazione Caprareccia (al km 7+819) serviva la frazione omonima e quella successiva di Vallocchia (km 8+574) il prospiciente Borgiano, disteso sull’alto di un colle. A questo punto (km 8+647), raggiunta un’altezza sufficiente (622 metri), la ferrovia doveva superare la cresta montuosa che la separava dalla Valnerina mediante la più lunga galleria: un rettifilo di poco meno di 2 chilometri. Oggi che le rotaie sono state asportate – si notano solo le mensole della catenaria – dà solo il brivido dell’avventura. Indispensabile una torcia frontale poiché l’interno è del tutto oscuro, tenendo traguardato il lumicino dell’uscita che si ingrandisce man mano che si procede. Un profondo scavo in trincea precede la veduta sul fondovalle della Nera e sul paese di Santa Anatolia. Riprende il nostro cronista: «L’oscurità delle gallerie ci inghiotte, gallerie che si susseguono e che noi sorpassiamo fantasticamente, mentre spuntano, tra il folto della boscaglia, i campanili delle chiesette affrescate, disseminate in questa plaga di verde che degrada verso il letto del Nera, impetuoso tra i vigneti di Scheggino e di Sant’Anatolia e le balze e gli olivi di Vallo».


VARIANTE NEL CASO DI ACCESSO IMPEDITO NELLA GALLERIA DI CAPRARECCIA.

Purtroppo l’attuale inagibilità (febbraio 2023) della lunga galleria di valico di Caprareccia, uno dei ‘must’ dell’intero percorso, penalizza un po’ il senso e lo spirito dell’escursione. Per aggirare questo ostacolo occorre dalla ex-stazione Caprareccia proseguire sulla strada Nursina (SS 395) per circa 2,5 km fino a Forca di Cerro (alt. 734), quindi deviare, a destra, su sterrato, per la località Tassinare. Qui con un raccordo su strada bianca comunale si arriva, dopo 3,5 km, al percorso della Spoleto-Norcia al km 11, all’uscita dalla galleria di Caprareccia. Per quanti procedono a piedi il tratto lungo la strada statale, sebbene quasi del tutto privo di traffico, dopo la costruzione della variante in galleria, richiede elementari norme di sicurezza: procedere in fila indiana sul lato sinistro della carreggiata, indossare un giubbino riflettente. In bicicletta la variante non comporta particolari problemi. Nel complesso la deviazione comporta un allungamento di 6.4 km (circa 3.5 km se si sottrae la distanza evitata lungo la galleria) con un dislivello supplementare di 180 metri.


Il portale d’uscita si trova a 617 metri d’altitudine, sopra il Fosso di Valleggiana; il fondovalle del Nera, segnato dalle ripe di salici e pioppi, dai prati e dai campi, distante in linea d’aria poco più di un chilometro, si trova 300 metri più in basso. Da queste cifre si rivela la capacità tecnica del progettista che grazie a quattro curve elicoidali, di cui tre in galleria, e diversi viadotti fu in grado di vincere il considerevole dislivello mantenendo la pendenza sempre moderata e costante. 

Il tracciato dai caratteri di ferrovia alpina, inizia dunque la lunga discesa in un paesaggio vegetale più condizionato dall’esposizione a sud, dove accanto al sempre presente leccio si uniscono le roverelle, i cerri, gli aceri in un’associazione che, in autunno, compone un variegato quadro cromatico. Per ben sei volte, a quote diverse, la linea asseconda la montagna impegnando le curve con tratti in galleria (la più lunga quella di Vallegiana, di 454 metri), popolate da colonie di pipistrelli. In bicicletta è il tratto più divertente. Di grande effetto il punto ove lo sbocco di una galleria avviene alla base del pilone di sostegno del soprastante viadotto. Sulla banchina si scorgono i cippi chilometrici. Si passano alcuni caselli (Tassinare, Grotti, S. Martino) che svolgevano servizio di fermata per i casolari dei dintorni. In un luogo imprecisato, su un cucuzzolo nei pressi della linea, si troverebbero i resti del castello d’Elsa. Secondo la tradizione locale esisterebbe una grotta che cela una chioccia con dodici pulcini d’oro, simile al prezioso pezzo di oreficeria longobarda conservato a Monza. Si narra anche che impetuosi soffi d’aria impediscano agli avventurosi di accedervi. Lentamente si arriva sul fondovalle: l’ultima galleria, di S. Martino, è chiusa e occorre impegnare un sentiero che si apre sulla sua destra, verso valle. Superato l’ultimo ponte sul Fosso Centelle, la linea si dirige in rettifilo al bivio di Santa Anatolia di Narco (alt. 289), dove si abbandona la pista ciclabile (km 19+018) e dove è posta la fermata dell’autolinea. Poco più avanti, proseguendo invece lungo la ciclo-pedonale, s’incontra il punto di ristoro ‘Il Binario giusto’.

Avendo tempo si consiglia di raggiungere, con una breve salita, Santa Anatolia di Narco, aggruppata su un colle. Riflette la posizione di un vecchio castello, soggetto nel XII secolo agli Spoletini, lungo l’antica strada di valle che transitava sulla sinistra del Nera. Vi restano tronchi di mura e l’ubicazione delle tre porte, mentre all’interno del nucleo storico lo spazio è stato colmato da abitazioni dei secoli successivi, alcune con qualche accenno di decoro. Nella Parrocchiale, dedicata alla giovinetta di nobile famiglia romana che fu martirizzata nell’anno 253 vicino a Rieti, si notano pregevoli affreschi del XIV secolo ma altre opere sono conservate nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, presso la Porta di levante. In particolare, dietro l’altare, una Madonna fra i santi Giacomo e Antonio, riferibile al Maestro di Eggi (metà del XV secolo). Da segnalare infine, sempre nel nucleo abitato, il Museo della canapa, coltivazione diffusa fino alla prima metà del Novecento sia in fondovalle sia in alta montagna. In Valnerina la canapa era seminata sulle sponde del Nera in fasce ripariali denominate “le canapine”. Oltre a un laboratorio didattico di tessitura, il Museo espone gli strumenti per la lavorazione e la tessitura, nonché una ricca collezione di manufatti tessili donati dalle famiglie locali. Fra le tradizioni fu a lungo viva, l’ultima domenica di maggio, la festa dedicata alla Madonna del Buon Consiglio durante la quale il parroco sorteggiava due ‘santesse’ fra le ragazze del paese. Il loro compito era di raccogliere la questua, in piccole somme o in doni in natura, con lo scopo di organizzare un solenne banchetto al quale erano invitate solo le donne, unica eccezione per il prete e il campanaro.


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