Itinerario a piedi nell’entroterra di Savona, nella Valle del Letimbro fino allo spartiacque del Colle di Cadibona.
Un sentiero nascosto alle porte della città, un angolo di natura a due passi dalle spiagge, un trekking ferroviario singolare e divertente. Ecco almeno tre ragioni che vi spingeranno a esplorare la breve ma davvero suggestiva valle del Letimbro, nell’immediato entroterra savonese. Una bella camminata a piedi, con moderati dislivelli, da affrontare in autunno o anche in una bella giornata invernale. Si tratta di risalire il corso di questo torrente, talvolta nel suo letto, più di frequente lungo le sponde, fin quasi alle sue sorgenti avendo un bosco secolare sulla sinistra e una spettacolare ferrovia sulla destra. Con questi due compagni farete molta strada e, sebbene opera della natura l’uno, dell’uomo l’altra, potrete conoscerli e apprezzarli entrambi.
Il ‘Bosco di Savona’, oggi ‘Foresta demaniale di Cadibona’, venne in possesso della città fin dal 1192 e servì per l’approvvigionamento di legname per i cantieri navali. Solo dopo il XIV secolo si consentirono alcuni insediamenti colonici nell’omogenea cortina di alberi ad alto fusto, gli stessi casolari che oggi punteggiano, piuttosto malridotti, le falde della montagna. Il bosco si è ridotto col tempo, ma oggi con l’abbandono delle campagne sta riprendendo i suoi spazi e in alcuni punti risulta quasi impenetrabile.
La ferrovia è il tratto iniziale, la «rampa sud» per così dire, della linea Savona-Torino, aperta nel 1874, integrata nel 1954 dalla sussidiaria Savona-Altare-San Giuseppe. É una successione continua di alti rilevati, gallerie e viadotti che permise al porto di Savona di vincere il suo isolamento e la sofferta subordinazione al porto di Genova. Osservare queste gigantesche opere significa ricostruire un poco, e cercherò di farlo senza noia, le vicende delle comunicazioni fra Savona e il Piemonte. Sì, perché assieme alla ferrovia si noteranno anche altri mezzi di comunicazione, come una strana ferrovia funicolare aerea e le altre strade (l’autostrada, la vecchia rotabile napoleonica) che superando il facile Colle di Cadibona hanno dato uno sbocco commerciale alla bella città del Priamàr.
Da Santuario ad Altare lungo la Valle del Letimbro
Itinerario lineare a piedi con partenza e arrivo alla stazione Fs di Santuario (linea Savona – San Giuseppe di Cairo) e arrivo alla stazione Fs di Altare (linea Torino – Fossano – Savona). Si sviluppa su piste forestali, sentieri e, in parte, lungo il greto sassoso del torrente Letimbro, in luoghi selvaggi e isolati. Necessarie buone capacità di orientamento. Alcuni tratti in estate potrebbero risultare infrascati. Non adatto ai bambini. Non salire sui viadotti ferroviari e non entrare nelle gallerie!
•Lunghezza: 11,3 chilometri. •Tempo di percorrenza: 3/4 ore.
•Dislivello: 525 metri. •Equipaggiamento: scarpe dalle suole robuste e impermeabili, un antipioggia, provviste alimentari, scorta d’acqua. •Segnavia: tacche rosse con il numero 1, fino al fondo della valle; poi inesistente.
•Periodo consigliato: dall’inizio dell’autunno all’inizio della primavera; il percorso non è praticabile in periodi successivi a forti piogge. •Dove mangiare: nessuna possibilità di ristoro sul percorso, rifornirsi di viveri e acqua a Santuario.
•Informazioni pratiche. Durante l’estate il primo tratto dell’itinerario, da Santuario al ponte dell’Acquabona, potrebbe risultare infrascato. In tal caso è opportuno proseguire in bus da Santuario fino al capolinea dell’Acquabona e iniziare da lì l’itinerario.
•Per saperne di più: G. Melis, L’alta valle del Letimbro, Savo Oppidum Alpinum Trekking Club, Savona 1994; Autori vari, I 120 anni della linea ferroviaria Torino – Savona 1874 – 1994, Dopolavoro Ferroviario di Savona, Pinerolo 1994.
Mappa di maggiori dimensioni e traccia gps disponibili su richiesta a info@guidedautore.it
©Albano Marcarini, 1998/2017. Pubblicato su Amicotreno, agosto 1998. Aggiornamento speditivo del 2017.
Il breve tronco di ferrovia che separa Savona da Santuario permette una prima fugace osservazione del paesaggio della valle del Letimbro, qui molto diverso dall’aspetto che troveremo più avanti. É una valle stretta, dal fondo piatto, occupata quasi interamente dal letto del torrente. L’urbanizzazione savonese vi si spinge dentro, aggredendo alcune vecchie frazioni, come Lavagnola, disposta lungo la sponda sinistra del torrente (vi sarebbe da ammirare il suo vecchio ponte medievale con l’attigua cappella di San Martino). Sulle prime balze delle colline s’abbarbicano lembi di coltivi, fasce dove fra olivi e ortaggi allignano piante vistose come le agavi, le yucche, i fichi d’India.
Dalla stazione Fs di Santuario (alt. 119) si raggiunge, con pochi passi, il celebre complesso monumentale intitolato alla Madonna della Misericordia, luogo di culto e di pellegrinaggio conosciuto anche oltre i limiti naturali della Liguria.

1. Il santuario di Nostra Signora della Misericordia. Alla costruzione del santuario, avvenuta fra il 1536 e il 1540, è legata un’apparizione miracolosa, ma nella realtà il motivo va cercato nella necessità di un sostegno di fede per far superare a Savona l’oscuro periodo conseguente alla sottomissione genovese (1528). Già la piazza antistante la basilica appare signorile e degna di una cornice urbana, con la bella fontana di Antonio Ponsonelli (1708) e i leziosi palazzi dell’ospizio annesso al complesso. La facciata della basilica, dovuta a Taddeo Carlone (1610-11), si dilata molto nell’ordine inferiore, ma si raggruppa attorno alla triplice finestra in quello superiore. È il modello delle chiese barocche, con il vivace alternarsi dei marmi e della pietra rosa del Finalese, che prende a prestito i disegni delle migliori chiese romane del periodo.
L’interno mostra un ritorno a schemi tardo-gotici, dovuti al lombardo Pace Antonio Sormano, autore del progetto originario. Diverse e notevoli le opere d’arte contenute. Solo alcuni spunti: alla seconda cappella della navata destra, Natività della Vergine, di Orazio Borgianni (inizio del XVII secolo), di grande effetto realistico per la giustapposizione delle scene e i toni di luce caravaggeschi; nella terza cappella della navata sinistra, Visitazione, altorilievo in marmo già attribuito a Bernini, ma più probabilmente opera di Stefano Maderno, qui collocato nel 1665.
Se il cammino non ci facesse fretta bisognerebbe attardarsi nell’annesso Museo, che raccoglie oggetti d’arte sacra dal XVI al XIX secolo, ma bisogna rimandare a occasione migliore. Si proceda dunque, a fianco della basilica, per via Monteprato uscendo dall’abitato. Dopo il sottopasso della ferrovia si piega a destra e si risale, su sterrato, la valletta del rio Loriano. In breve si giunge a scavalcare il corso d’acqua: nella vegetazione si scorge un ponte ritenuto ‘saraceno’ e utilizzato dal vecchio acquedotto di Savona. Subito dopo si apre uno slargo dove bisogna prestare attenzione (vedi ingrandimento A nella carta): si lascia la strada sterrata e si imbocca a sinistra uno stretto sentiero (non la vicina mulattiera!), indicato su un sasso con il numero 43, che sale ripido il versante fra la fitta macchia sempreverde. Con qualche indugio, dovuto al frequente intersecarsi dei sentieri, si mantiene la direzione di crinale, giungendo dopo circa 30 minuti all’insellatura di Ca’ di Barbé (alt. 295). Il caseggiato, in abbandono, fu utilizzato come convento di monache.

Si attraversa la strada asfaltata e si scende su sterrato sul versante opposto. Di fronte si scorge la valle del Letimbro che, fra poco, si inizierà a risalire. La strada infatti scende notevolmente tornando nel fondovalle, proprio al cospetto del bel viadotto in muratura dell’Acquabona, originariamente in travata metallica come tutti i ponti della linea Savona – Torino. Si può abbreviare per un sentierino che scende proprio sotto la prima arcata.
Giunti al bivio di Acquabona (alt. 143) si imbocca la stradina asfaltata per Isola, entrando nella valle del Letimbro. Il torrente si perde in sinuosi meandri. La strada resta poco più alta, ma non tanto quanto la ferrovia, che sovrasta la valle. Di tanto in tanto s’avverte l’eco di qualche pesante treno merci che alla fine si scorge fra una piega e l’altra della montagna. Si lascia una prima strada che scende a sinistra alle poche case di Fraccioso; al secondo bivio invece, si lascia la direzione di destra (per Sant’Agata) e si scende con due serpentine (ma si può seguire anche la vecchia mulattiera che accorcia la via) a lambire il letto del Letimbro. Alcuni segnavia gialli con la scritta 1A ci accompagneranno per lungo tratto.

Qui si inizia a seguire il greto, passando e ripassando infinite volte a guado le basse acque del torrente. Nelle pozze più profonde sguazzano anatre, gallinelle, germani. Si affianca il villaggio di Isola. Altri guadi portano a ridosso di Cascina Montegrosso (alt. 212), già citata come stazione di posta sulle antiche vie dirette al Colle di Cadibona. Di fronte si erge il poderoso viadotto San Bartolomeo, elevato di 47 metri sul terreno, lungo 260 metri.
2. Strade e ferrovie. Il santuario di Savona, sempre affollato di pellegrini, indirizzava nel fondovalle del Letimbro diversi percorsi stradali. Le grandi strade dirette dalla costa verso il Piemonte correvano però sui crinali, fra una valle e l’altra: la ‘Via Antiqua’, che dalle alture di Legino metteva al Colle di Cadibona e ad Altare; la ‘Via di Montemoro’, dove nel 1178 si costruì un ospizio per viandanti, indirizzata fino a Cantagalletto nella valle del Letimbro ma poi indirizzata verso Montemoro appunto, dove si innestava alla precedente; la ‘Strada Savonensis’, tracciata sul crinale a levante del Letimbro, diretta a Montenotte e ad Acqui.
La ferrovia fu la prima infrastruttura moderna che attraversò questi luoghi fino allora selvatici. É difficile immaginare, a distanza di quasi 150 anni, lo sconvolgimento che essa provocò, ma si consideri ad esempio la quantità dei movimenti di terra (quasi 300 mila metri cubi), delle murature di sostegno (44 mila metri cubi), l’estensione dei cantieri e delle vie d’accesso, delle impalcature con i relativi diboscamenti. Centinaia di operai furono chiamati a raccolta per un lavoro pesante e certamente mal retribuito.

La vicenda della Torino-Savona fu alquanto sofferta. Osteggiata dai genovesi fin dal 1851 per l’eventuale danno che avrebbe arrecato al loro monopolio dei traffici diretti verso il Piemonte, la sua realizzazione, procrastinata a lungo, fu infine avviata intorno al 1868. Prima però di vederla realizzata dovettero passare ancora sei anni e ben tre diverse ditte concessionarie, cadute negli impicci di gestioni deficitarie, di gravi ritardi, di svariate inosservanze nell’esecuzione dei lavori. Il 28 settembre 1874 entrarono finalmente all’esercizio la tratta da Savona a San Giuseppe di Cairo (19.9 km) e le due diramazioni per Bra (km 75.3) e Torino (via Cavallermaggiore), per Acqui e Alessandria.
Il porto di Savona uscì da quel momento dal suo isolamento e rinvigorì la sua funzione di scalo carbonifero e minerario; la ferrovia rivelò però subito grossi limiti. Le eccessive pendenze imposero convogli di limitate dimensioni con doppia o tripla trazione, mentre a Savona la promiscuità fra la ferrovia litoranea, giunta in città nel 1868, e lo scalo marittimo generava congestioni e ritardi nelle operazioni di composizione dei convogli. Si iniziò subito a parlare di raddoppi, linee sussidiarie o direttissime. La soluzione fu diversa e singolare ma avremo modo di parlarne al momento opportuno.
Per ora continuamo nella nostra marcia. Si passa due volte sotto il viadotto San Bartolomeo, lasciando nel tratto intermedio la diramazione per Trincata che risale il rio Canova. Tornati dalla parte del Letimbro, l’ambiente si rinserra e s’incupisce. Non incontreremo altri abitati fino ad Altare. Diversi sentieri s’innalzano ai fianchi della nostra traccia di fondovalle: vanno tutti trascurati. Giunti però al bivio segnalato «di Val Porcheria» (alt. 230; vedi ingrandimento B della carta), prima di continuare a seguire il fondovalle, si può compiere una breve deviazione a sinistra, sulla larga carrabile che sale in direzione di Cadibona. Dopo le prime curve infatti si giunge sopra l’imbocco di una galleria ferroviaria, da cui si gode un bello scorcio sui binari che scavalcano la tributaria valle del Lodo.
3. Il ‘mulo dei Giovi’. Purtroppo non vedrete più transitare l’elegante motrice elettrica E 550, un po’ ingenerosamente soprannominata ‘mulo dei Giovi’, che fece l’epopea delle tratte di valico appenniniche. Costruita a partire dal 1908 nelle officine di Vado Ligure, funzionante a corrente alternata trifase, essa fu qui impiegata dal 1914 dopo l’elettrificazione della linea. Piccola ma potente, del peso di 63 tonnellate, poteva trainarne 190 a 45 km/h su pendenze del 35 per mille. Per contro la più moderna locomotiva a vapore del periodo poteva trainarne 170 con la stessa pendenza ma a una velocità di soli 25 km/h.

Scattata magari una foto al momento del transito di un treno, si torna al nostro percorso. Il paesaggio è variato, le vedute dal fondovalle nient’affatto monotone: ad ogni piega del versante s’intravede un tratto di valle, sempre ammantato dai boschi, o un manufatto della ferrovia, ora un ponte, ora un muro di sostegno, ora una massicciata. Anche la vegetazione muta d’aspetto: nonostante si sia saliti di poco rispetto al mare, siamo già nel dominio del faggio. Ontani e carpini invece s’appressano all’acqua, com’è loro abitudine.
Ma a questo punto non voglio più interrompere la vostra marcia con queste un po’ scontate digressioni. Continuate sul fondovalle: a un certo punto fra i ciottoli del letto, poi di nuovo nel bosco, fra ruderi di cascinali, sotto altri ponti della ferrovia. Dopo buon tratto arriverete al termine del percorso. É segnalato in giallo sul tronco di un albero, poco prima di un crocicchio di sentieri. Sulla destra, al di là del torrente, se la vegetazione lo consente, potrete scorgere i ruderi della stazione Sella (alt. 280). Sembra cosa da poco ma in realtà, quando era in funzione, era dotata di una sottostazione elettrica, di raccordi e ampi piazzali per raccogliere la lignite convogliata tramite funicolare dalla vicina miniera di Cadibona. Subito dopo, la ferrovia entra nella galleria di valico, lunga 2255 metri.
Ora non perdetevi d’animo. Si tratta di affrontare un breve tratto di salita per uscire dalla valle e trovare la strada che vi condurrà ad Altare. Continuate oltre l’albero che fa da segnale, trascurando la traccia che scende sulla destra. Ben presto si passa un ennesimo guado. Sopra di voi si stendono i cavi di una ferrovia aerea: fissate il grosso traliccio che si erge sul versante di destra e raggiungetelo seguendo una traccia di sentiero in ripida salita. E’ anche possibile fare un giro più largo e meno faticoso (vedi ingrandimento C della cartina).

All’altezza del traliccio si incontra una sterrata che torna sul versante della valle del Letimbro, di fronte alla stazione Sella, ma già a una certa altezza. Percorrendola si raggiunge uno spiazzo dove si osservano gli impianti e due lunghe campate della ferrovia aerea Savona – San Giuseppe di Cairo.
4. La ferrovia aerea. Fu questa la soluzione adottata per ovviare ai limiti d’esercizio della Savona – Torino. Da Savona proveniva, e ancor’oggi proviene seppur in misura ridotta, tutto il combustibile necessario alle industrie pesanti piemontesi, in particolare il carbone. La ferrovia aerea servì a questo scopo in modo celere e funzionale. All’inizio fu pubblicizzata come grandiosa. Così ne parla, ad esempio, la guida ‘Liguria’ del Tci nel 1938: «Questo impianto funiviario iniziato nel 1913, completato nel 1936, è collegato a Savona con 4 gru a ponte per sbarco rapidissimo (un piroscafo da 10 mila tonnellate è scaricato in 24 ore) e risolve nel modo più moderno i problemi delle scarse aree portuali in Liguria, dello sbarco e dell’inoltro del carbone. Al ritmo di un piroscafo al giorno, il combustibile viene convogliato a San Giuseppe da due linee funiviarie, sostenute da 415 piloni, sulle quali corrono 1200 vagonetti (capaci ciascuno di una tonnellata di carbone e susseguentesi a 70 metri l’uno dall’altro). Il tragitto di 17.5 km è compiuto in un’ora e 35 minuti; la capacità di trasporto è di 300 tonnellate all’ora. Alla stazione d’arrivo a San Giuseppe si notano: il deposito a terra capace di 400 mila tonnellate che è servito da 900 metri di “linea sospesa” su viadotto in cemento armato e da 3 grandi ponti trasbordatori; i 48 silos per complessive 5000 tonnellate, ed infine il vasto parco ferroviario da cui possono essere spediti 700 vagoni di carbone al giorno».

Nonostante la ferrovia aerea non tutti i problemi del disimpegno del porto di Savona furono risolti, tant’è che si dovette ben presto avviare la costruzione di una linea sussidiaria alla Torino-Savona, intento peraltro già abbozzato dal 1923 ma, fino al 1954, mai completato. Il tronco Savona-Altare-San Giuseppe, 21.8 km elettrificati, non seguirà il Letimbro, bensì la parallela valle della Lavanestra, più a ponente. Un’altra importante tappa nel potenziamento della direttrice savonese sarà l’apertura della bretella Ceva – Mondovì – Fossano, avvenuta nel 1933. Il riordino degli impianti ferroviari di Savona, con l’arretramento della stazione, si concluderà invece nel 1977 con notevole incidenza sugli sviluppi urbanistici della città.
La strada sterrata volge ora su se stessa e percorre nella pineta un tratto di crinale. Alla fine si perviene alla Cascina Costa del Pino (alt. 454), punto di spartiacque appenninico, meno di un chilometro a levante del Colle di Cadibona.
5. Alpi o Appennino? Ho detto spartiacque appenninico ma in realtà la dizione è inesatta. Fin dai banchi della scuola sappiamo che il Colle di Cadibona stabilisce il confine orografico fra Alpi e Appennino. Pochi forse sanno che tale confine, dopo infinite discussioni, fu ufficialmente decretato nel 1892 da un Congresso geografico nazionale. Bene. Studi più recenti, basati su prospezioni geologiche, hanno detronizzato il Colle di Cadibona a favore di una linea divisoria posta più a levante, sull’asse Sestri – Voltaggio. In tal modo le Alpi hanno guadagnato circa 5O chilometri in più di sviluppo a detrimento dell’Appennino.

Fatti pochi passi oltre la cascina, si esce sulla strada provinciale 12 che, verso sinistra, conduce a Altare (alt. 405), punto d’arrivo dell’itinerario. Una piacevole alternativa per quest’ultimo tratto prosegue su sterrato rispettando dalla Costa del Prato il segnavia dell’Alta Via dei Monti Liguri in direzione del Colle di Cadibona, da cui di nuovo a Altare.
6. Altare. Paese del vetro e degli artigiani vetrai secondo una tradizione introdotta nell’XI secolo dalla Francia. Nella cosiddetta ‘Università del vetro’ si distinguevano i “monsù”, abilitati alla nobile arte, e i semplici paesani contadini. Esposizioni e seminari di studio, oltre a un’attiva produzione artigianale, mantengono viva l’arte vetraria. Il paese conserva scorci pittoreschi, belle chiese barocche e qualche simpatico villino dagli accenti eclettici.
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