Itinerario a piedi da Menaggio a Rezzonico lungo l’antica Strada Regina per il Sasso Rancio.
La Regina è la primitiva strada che seguiva la sponda occidentale del Lago di Como dalla città capoluogo fino alla Valchiavenna e, per prolungamento, fino ai passi dello Spluga e del Settimo. Ritenuta di origine romana, fu potenziata e curata specialmente nel Medioevo sottoforma di funzionale mulattiera ben selciata e gradonata. Alcuni suoi tratti, come quello che seguiremo in questa escursione rimase in uso fino al 1902 quando già, altrove, circolavano le automobili.
Lunghezza: 9.7 km. Tempo di percorrenza: 3 ore e 30 minuti (escluse le soste). Dislivello: 410 metri. Altezza massima: 348 m – Segnavia: tacche di colore bianco/rosso, ma sporadiche. Condizioni del percorso: mulattiera selciata, salite gradonate e qualche breve tratto di asfalto.
Punto di partenza: Menaggio. Menaggio si raggiunge con la Navigazione lariana, sia in aliscafo, in circa 40 minuti, sia in battello in 2 ore e 10 minuti; o con l’autolinea C 10 Como-Colico della SPT in un’ora e 15 minuti. Punto di arrivo: Rezzonico. Il ritorno da Rezzonico avviene con la stessa autolinea.
Orari di visita dei monumenti: chiesa di S.Maria a S.Maria di Acquaseria, aperta durante le funzioni religiose; fortezza romana di S.Maria, sempre visibile; Castello di Rezzonico, non visitabile. Indirizzi utili: Ufficio turistico di Menaggio, piazza Garibaldi 8, tel. 034.432924.
Dove mangiare. A Loveno: Trattoria la Vecchia Magnolia, Via Plesio 6, tel. 0344.30567. Ad Acquaseria: Trattoria Creme Caramel, Via Molino Nuovo 7, tel. 0344.50356; Ristorante Da Luigi, Via Statale 59, 0344.517052. A Rezzonico: ristorante Lauro, Via Carlo Alberto 51, tel. 0344.50029; Trattoria dei Platani, Via Statale Regina 41, 0344.50139.
Traccia gps disponibile su richiesta a info@guidedautore.it

Il punto di partenza è fissato in piazza Garibaldi, il centro di Menaggio (alt. 201), affacciato a lago. Risalendo subito Via Calvi (su una facciata, a destra, sono immorsate alcune lapidi di origine romana) si raggiunge la chiesa di S.Stefano, parrocchiale. Si segue ora la via a fianco dell’edificio religioso (Via Caronti) per raggiungere subito la trasversale Via Leoni fra le vecchie case del borgo. La Strada Regina di origine medievale passava sul retro della chiesa (anzi sul davanti essendo allora orientata diversamente). Ragione vorrebbe che l’antica strada proseguisse quasi rettilinea, oltre il torrente Senagra alla volta di Nobiallo, come fa presagire l’attuale percorso.
Invece no. Gli studiosi dell’antica Regina sostengono che la strada medievale transitava a monte, alla base di Borgo Castello e sotto le prime balze rocciose, passando il Senagra e salendo in direzione di Loveno, esattamente come faremo noi. Tutto ciò per evitare lo sprone a nord di Menaggio, precipite sul lago.
Da Via Leoni pertanto, si tiene a sinistra e si risale la gradonata Via Castellino da Castello passando dinanzi ad alcuni pregevoli portali (al numero 3, datato 1731, e al numero 7). Giunti alla biforcazione posta dinanzi al ninfeo dell’asilo Mantero, si segue subito a destra lo ‘Stréciùn’, uno stretto viottolo chiuso da muri di cinta. In breve si perviene al ponte sul torrente Senagra (alt. 214), detto «di Cheglio». Risale al Trecento e fu forse citato negli Statuti medievali (1335) che descrivono le tratte manutentive della Strada Regina. Il luogo è suggestivo: le acque scrosciano da una cascatella; l’arcata sulla gola è protetta da un’edicola votiva e da una cappellina intitolata alla Madonna di Caravaggio; più avanti si imbocca un’altra rampa gradonata che, come dice la targa stradale, invita verso Loveno.
Varcando il torrente tieni presente quanto disse il Giovio a proposito di queste acque, «cui si vollero attribuire molte guarigioni massime per mal di gambe, ma gli osservatori trovaron quelle acque freddissime e lievi senza mistura alcuna di minerale». Resta da dire del toponimo ‘cheglio’: con tutta probabilità deriva da ‘quaglio’ e, ancora prima, da ‘quai’ che nella parlata locale significa ‘torrente’. In latino, ‘acqualis’ significa ‘che porta acqua’.
Si guadagna la strada provinciale (Via Nazario Sauro): la si inforca in salita, verso destra. All’altezza dell’Hotel Loveno (alt. 260) conviene utilizzare un passaggio gradonato che fa da scorciatoia; poi si torna sulla strada, si rasenta l’oratorio di S.Rocco e si riprende la bella salita pedonale, ovvero l’originaria mulattiera per Loveno che sbocca all’ingresso dell’abitato, a fianco della Trattoria della Vecchia Magnolia (alt. 319). Il tempo di una sosta all’ombra della magnolia secolare di Loveno, magari un caffè o un panino e poi di nuovo in cammino, lungo Via Fabio Filzi che manda verso il lago. Le nostre memorie medievali sono per un attimo distolte dalla splendida villa in stile floreale al numero 37.
Incrociata per l’ultima volta la provinciale per Plesio, si imbocca la mulattiera detta ‘della Ghidolda’ e finalmente, dopo tanta salita, si inizia a scendere. Nobiallo e il suo bel campanile romanico sono in vista dinanzi a noi. L’unico essere che potrebbe sbarrarvi la via è la fantomatica ‘cavra del Cincirunbel’, animale spaventoso che frequenta spesso questi anfratti e per il quale il popolino confezionò una bella cantilena: «Mi sunt la cavra d’ol Cincirunbel, senza corna e senza pell, cunt la corda tirada al coo: chi ven dent i mangiaroo!».
La bella mulattiera selciata s’interrompe all’improvviso e occorre utilizzare la rampa della strada di cantiere della galleria stradale per scendere a Nobiallo. Un drastico contrasto e un ripristino ambientale a dir poco discutibile che fra l’altro ha distrutto una vecchia miniera di gesso, già ricordata alla fine del ’700 dall’Amoretti, dovuta a una vena che qui affiora dalla valle del Senagra.
Nobiallo (alt. 201) è in riva al lago. La piazzetta dove s’incrocia l’antica Regina è pittoresca. Il campanile della chiesa dei Ss. Bartolomeo e Nicolò chiama un attimo al suo cospetto a causa della sua evidente inclinazione, avvenuta durante la costruzione. Si cercò di porre rimedio lì per lì, riallineando il davanzale della cella campanaria e troncando l’elevazione a mezz’altezza con un tettuccio a quattro falde.
Una dicitura sulla facciata della chiesa indica ‘Via Regina’ ed è il segnale che conferma di essere finalmente sull’antica strada. Oggi è una viuzza lastricata che, stretta fra le case, sfiora la pendice del monte, lasciando la rotabile di lungolago poco più in basso. Il ponte che prelude alla rampa del Sasso Rancio è fra i più belli di quelli rimasti sul tracciato dell’antica Regina. Risale alla seconda metà del XIV sec. ed è denominato ‘della Madonna’ perché fa accedere al santuario della Madonna della Pace (alt. 240). Un’acclive gradinata guadagna il terrazzo dove s’innalza il santuario, attorniato da edicole sacre. Al piede della gradinata che sale al santuario è collocato un cippo che indica un confine comunale: quello di Plesio, datato 1667. Ma potrebbe anche riferirsi al limite di competenza di quel comune per quanto concerne la manutenzione della strada.

La storia del santuario ha del singolare: fu eretto nel 1658 in occasione della Pace dei Pirenei, firmata fra Francia e Spagna. Il Lario, come tutto il Milanese, era spagnolo e probabilmente molti soldati comaschi militavano in quell’armata. L’influenza di questa dominazione ha lasciato molte tracce sul lago, basti pensare a Manzoni e al suo romanzo. Fino a pochi anni fa la processione del Giovedì Santo a Gravedona, ricca di pathos, addirittura con qualche accenno di fanatismo, veniva detta del ‘Sant Inter’, corruzione dallo spagnolo ‘Santo Entierro’, ovvero del Cristo Morto.
Il passaggio del Sasso Rancio risale forse al periodo medievale. Risulta citato negli Statuti del 1335 e fu utilizzato fino al 1902, quando fu aperta la rotabile lungolago. Fu l’unico modo di raggiungere per via di terra l’alto Lario. Il ‘sasso’ è un accidentato e arido scoglio a strapiombo sul lago che contringeva i viandanti a una faticosa salita con momenti di vero pericolo. «Tale è quivi la sua angustia e la ripidezza e il pericolo, che se un piè in fallo tu metti, ti sfracellano le inique ripe, pria che le profonde acque ti diano sepolcro». Ne seppe qualcosa una squadra di cavalleria cosacca al servizio del generale Bellegarde che transitandovi nel 1799 ebbe a subire gravi perdite. Avrebbe dovuto dar retta al Vignati, instancabile collaudatore di strade, che all’inizio del ’500 aveva messo in guardia sulle difficoltà del percorso consigliando un itinerario ‘alto’, passante per la sella di Breglia. Di questo tracciato alternativo, probabilmente utilizzato da Romani, nessuno ha potuto dare un’accurata descrizione, ma solo indizi: toccava Loveno, Logo, Plesio, Breglia poi, giunto al culmine intorno agli 800 metri d’altezza, scendeva aggirando la Val di Greno, raggiungeva Carcente e Semnago e infine tornava a lago nei pressi di Rezzonico.
Ora conviene non distrarsi, perché il cammino sul Sasso Rancio (alt 348) richiede prudenza. «Il colore tra il rosso e il giallo, derivato dalle ferruginee parti ond’è impregnata la roccia, hanno fatto imporre a queste scoscese balze il nome di Sasso Rancio», precisa il Bertolotti. Affrontando il tratto più aspro e selvaggio si possono studiare i tanti espedienti utilizzati per rendere più sicura la disagevole mulattiera: scalini intagliati nella roccia, un lungo muretto sul versante sporgente a lago, slarghi per consentire l’incrocio degli animali, una pendenza che in taluni tratti supera il 25%.

La rupe aggira la punta della Gaeta: lì ben appartata come si confà a una discreta nobile signora, sta la Villa Ambrosoli, opera di Gino e Adolfo Coppedè, specialisti nei primi decenni del Novecento di tale genere di architetture a metà fra la villa e il maniero medievale. Se ne trovano un po’ ovunque sulle rive dei nostri laghi, tutte più o meno simili: a Sarnico, a Bolvedro (appena prima di Tremezzo), a Lugano. Ce n’è una bellissima a Nervi, sulla Riviera. Servivano ai danarosi industriali del periodo ad elevarsi di lignaggio anche senza possedere sangue nobile.
Il nostro cammino ora si complica un poco; qualche tratto è inselvatichito; dai massi potrebbero spuntare serpenti, spero che vi siate premuniti. Come? Basta andare a Premana, dall’altra parte del lago, nel giorno dedicato a S.Paolo, il 29 giugno, e bere dell’acqua benedetta preparata con polvere di serpi. Si rimane preservati dai morsi per un anno intero, rammentando la miracolosa salvezza del santo, la cui mano era stata addentata da una vipera. Scherzi a parte, i serpenti hanno più paura di noi di quanto noi pensiamo di aver paura di loro. Interessante invece notare, appena iniziata la discesa, una canalina scavata nella roccia che traversa il sentiero e lì accanto una roccia con una scritta incisa. Si capisce molto poco: solo alcune lettere… DI…E…L…A

Giunto sopra un improvvido villaggio residenziale, e discesa la parte più ostica del percorso, si prosegue sempre lungo la costa del monte. Infine, con uno scalone, si scende sulla vecchia rotabile, qui sostituita da una variante in galleria e resa ciclabile. Si procede lungolago per circa 200 metri, fino a tornare sull’attuale strada statale; la si segue con prudenza lungo la banchina. Ma sono poche decine di metri perché all’imbocco della galleria Sassoldo (alt. 207) si piega verso destra sulla strada dismessa e si cerca subito un sentiero che sale sopra il portale della galleria stessa; in breve riporterà sull’originaria mulattiera che in questo tratto era venuta a mancare.

Ora il paesaggio è piacevolissimo, specie quando si apre in pianori e coltivi. Qui la riviera del lago non è più ripida e severa come nel ramo di Como, eccezion fatta per la Tremezzina, ma si presenta ammorbidita, lieve e ridente, con ripiani solivi e macchie boschive cui fanno da divisione ombrose vallette. Una situazione ideale per disperdere una miriade di nuclei abitati in piccole entità di bell’impronta urbanistica. Sono le frazioni montane del comune di S.Siro che, dal 2002, unisce i precedenti territori di S.Abbondio e S.Maria Rezzonico; si tratta di un remake poiché il fascismo lo aveva soppresso nel 1928. Sopra i villaggi più alti si stende la cornice protettiva dei castagni e poi quella degli alpeggi che si fermano prima della lunga e spoglia dorsale del Bregagno, a volte coperta di neve già a metà autunno. Lassù, in alto, stanno gli eremi di santi noti, come Domenico, Bernardino, Eufemia, o improbabili come un certo Amate.
Anche se non potremo visitare il suo eremo, posto a 1623 metri d’altezza, viene voglia di raccontare la sua storia. Intanto fu un santo molto tollerante perché lasciò che il suo vero nome, Mamete, in bocca ai rudi montanari del lago si tramutasse in Mamàa. Infine a stravolgerlo del tutto ci pensarono i topografi militari che nelle loro carte lo italianizzarono in Amate. Ma soprattutto fu un santo veramente indomabile. Perseguitato dai Romani per la sua fede fu gettato in mare con una pietra al collo, infilato vivo in una fornace ardente, liberato nell’arena assieme alle belve più feroci. Niente, neppure un graffio. Per questo le genti del lago lo hanno sempre creduto immortale. Alcuni sostengono che abiti ancora oggi nel suo eremo montano insegnando il Vangelo agli animali selvatici.
«Ove il torrente di Acqua Seria spezza con la sua furia le rupi, fornisce il Sasso Rancio», puntualizza il Bertolotti, mentre l’Amoretti aggiunge che «… dopo Gaeta non è più calcare, ma schistoso micaceo, e sovente granatifero il sasso sino a Musso» evidenziando in effetti il passaggio dal ricoprimento sedimentario prealpino all’affioramento della grande falda cristallina delle Alpi. La Valle di Acquaseria viene anche denominata Valle Feraria, per la presenza di antiche miniere di ferro. Acquaseria (alt. 219) è la prima frazione del ricostituito comune di S.Siro. Uno slargo della Strada Regina, con un lavatoio e un cippo immorsato nel muretto di cinta, precede l’oratorio di Sant’Abbondio. Lo si riconosce perché il santo vi è raffigurato sul frontone. La Regina qui è curiosamente denominata Via Regina Margherita e sfila fra le case. Più avanti transita a monte della Parrocchiale e, avanti ancora (basta seguire con un certo intuito la direzionalità della strada, sempre parallela al lago) si trascura la strada che, a sinistra, sale alla frazione Pezzo. Lasciato l’asfalto diventa piacevole camminare su un bel selciato: non è antico, ma è stato ben posato. Verso la montagna si scorgono prati con grossi castagni e le baite della frazione Mariedo. Giardini, orticelli, edicole votive arridono al cammino. Può essere interessante conoscere il nome locale di alcuni elementi caratteristici del paesaggio: come ‘agri’, o campo (derivazione dal latino ‘ager’); come ‘brei’, recinto di legni (forse dalla radice celtica ‘briu’, impalcatura, da cui sono discesi l’inglese ‘brigde’ e il tedesco ‘brücke’, ponte); come ‘barech’, recinto per le pecore; come ‘ajal’, in origine lo spiazzo della carbonaia (anch’esso dal latino ‘areola’); come ‘limida’, ovvero una lembo di terreno che circonda una proprietà (da ‘limes’, confine).

Prima di entrare fra le case di Molvedo (alt. 203) è giocoforza abbandonare la traccia storica della Regina. All’improvviso essa s’arresta di fronte al muro di cinta di Villa Zanoletti che ha incorporato la strada. Per cui, attenti al segnavia, presso una vecchia cabina elettrica occorre piegare a 90° a sinistra (Via del Murel) e salire fino al nucleo di Mastena (circa 80 metri di dislivello); da qui seguire la Via del Ponte di Mastena, gettato in pietra sulla Valle dell’Amo e poi ridiscendere a lago per Via Scellino e Via Piano. Si incrocia di nuovo la Regina a un crocicchio, presso una chiesuola, dove si scorge un cippo. Direzione vorrebbe che si girasse a sinistra, riprendendo la Regina, ma è d’uopo una breve deviazione verso il lago per ammirare un paio di cosette interessanti: una chiesa e i ruderi di un’antica fortezza. La chiesa di Santa Maria è fra le più interessanti di questo lembo di lago. Fu eretta fra il 1464 e il 1474. Il campanile presenta antiche tracce romaniche e si presume che un oratorio paleocristiano fosse inserito all’interno del recinto dell’attigua fortezza, forse sottoposto all’attuale chiesa. Nella facciata si apre un bel portale in marmi bianchi d’inizio del ’500. Nell’interno ricorre una fittissima decorazione pittorica. Vorrei però richiamare l’attenzione su una sola opera: le coloratissime Storie della Vergine, dipinte nel 1595 da Michelangelo Carminati, artista di non gran fama ma di buona mano.

Fronte alla strada lungolago si scorge un’imponente muratura in corsi di pietre e ciottoli, alta fino a 6 metri, e, dinanzi, tracce delle fondamenta di altri edifici. Sono i resti di una fortezza su cui si è spesso favoleggiato riguardo età e funzione. Ipotesi accreditate propendono per un’opera assegnabile al tardo periodo romano, preposta al controllo dei traffici per via di terra e d’acqua.
Tornati al crocicchio di prima, che fa da fedele ‘segnavia’ alla Strada Regina, si riprende il vecchio tracciato. Oltrepassata la carrozzabile per le frazioni alte (La Torre, Marena, Lucena), la strada prende il nome di Via Legnone, titolo davvero appropriato poiché «il principe di tutti i nostri monti» – con buona pace delle Grigne – inizia a mostrarsi poderoso sull’opposta sponda del lago. La Strada Regina corre fra campicelli e bordure di muri, poi insiste sulla nuda roccia, con tratti scalinati, in un varco ombroso che ascende un lieve pendio.
Sulla destra, oltre il muro, si celano strane vestigia, fra cui quelle di una torre, forse risalente all’età romana imperiale, che qui chiamano ‘Castelasc’. Vi si accede facilmente, attorno è stata impiantata un’area attrezzata con panchine. Una buona occasione per un attimo di sosta. Come ogni rude torre che si rispetti anche questa è avvolta dalla leggenda. E come molte leggende anche questa è abbastanza scontata e prevedibile: un dispotico signorotto, di nome Ficano, «il quale dilettavasi, come il falco col pulcino, a rapir le più belle ragazze…», esercitandovi il più odiato fra i suoi diritti, quello «della prima notte». Finché un giorno un giovinotto, armato di pugnale e nascosto sotto i veli della sua bella ……
A Rezzonico (alt. 224), villaggio verso il quale i nostri passi si stanno dirigendo, tutte le cronache ricordano l’avita patria della famiglia Della Torre, altresì detta ‘dei Rezonico’. Dei suoi tre rami, uno si stabilì a Como, un altro a Milano e un terzo a Venezia. Loro fu il nobilissimo palazzo sul Canal Grande, nel sestiere di Dorsoduro, impreziosito dagli affreschi del Tiepolo e oggi sede del Museo del Settecento Veneziano. Carlo Rezzonico (1691-1769) fu papa Clemente XIII, assurto al soglio pontificio quando tutti i maggiori principi italiani avevano dato il via a una serie di riforme con l’obiettivo di ridurre l’autorità del clero. A queste si oppose a suon di bolle e scomuniche ma invano, tanto che la Francia gli tolse la città di Avignone e il re di Napoli la possessione di Benevento.

Benché disdegnato dalle guide, che puntano subito verso il castello-recinto attiguo al borgo, il nucleo storico di Rezzonico possiede un forte carattere d’ambiente. Le lunghe scalinate, i vòlti e la cornice delle case che affacciano sul molo danno il soave ritratto del borgo di lago cullato dalle onde e dalla ‘breva’ pomeridiana (il vento periodico del lago). Conviene arrivarci, appoggiare i gomiti al muretto e contemplare in serenità un vero ‘quadretto’ di paesaggio.
Poi, con comodo, salire la gradonata che porta al Castello, ultima meta della nostra escursione. Essendo proprietà privata non sarà visibile all’interno ma basti sapere che si configura secondo il tipo del castello-recinto, cioè una cinta muraria racchiudente un’alta torre. Altri esempi del genere si possono osservare a Vezio e a Corenno Plinio, sulla sponda opposta del lago. In caso di pericolo le popolazioni potevano rifugiarsi all’interno delle mura e resistere per un certo tempo. L’aspetto del castello di Rezzonico tradisce un’origine trecentesca, ma si suppone eretto su basi più antiche; fu trasformato in epoca recente senza del tutto sfigurare il suo poderoso assetto.
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