ITINERARIO a piedi nelle Cinque Terre, sulla Riviera ligure di Levante, nel comune di Monterosso al Mare.
Le Cinque Terre, un luogo dove l’uomo si è abbarbicato come un falco sulla scogliera, là dove la roccia s’innalza dal mare e si riveste di vigne, di carrubi, ulivi, limonaie, agavi, pini, palmizi. In un paesaggio di fatiche, costruito generazione dopo generazione non potevano mancare i luoghi della fede, posti spesso nei punti più eminenti della costiera, lungo i crinali, di modo che chiunque, contadino o pescatore, potesse vederli e rivolgere loro una prece. Nelle Cinque Terre esiste oggi un percorso chiamato ‘Via dei santuari’. Collega cinque edifici di culto posti a una certa distanza dai cinque rispettivi borghi del territorio. In quest’anno giubilare sarà uno dei tanti sentieri riscoperti da quei pellegrini che privilegiano il cammino a piedi, esattamente come si faceva secoli fa. Lo si può infatti percorrere a tappe secondo le proprie forze e si può anche pernottare con modiche cifre nelle case religiose di ospitalità. Noi faremo un assaggio della Via dei santuari, salendo da Monterosso al santuario di Soviore, lungo la mulattiera calcata dai fedeli ogni anno il 14 agosto, giorno della ricorrenza religiosa. Poi, per non ripetere la via dell’andata, il nostro itinerario si sposterà verso ponente per raggiungere la Colla di Gritta, dove passa la rotabile per Levanto, e quindi ridiscendere al mare lungo la Cresta di S.Antonio, che mutua il nome da una chiesuola eremitica situata sopra Punta Mesco.

Partenza e arrivo: Monterosso al Mare (alt. 10). Si raggiunge in auto da Genova (a 99 km) seguendo l’autostrada A12, utilizzando l’uscita Carrodano e le indicazioni in loco. Tempo di percorrenza: 3 ore. Dislivello: 550 metri.
Condizioni del percorso: mulattiere e sentieri, un tratto su asfalto da Soviore alla Colla di Gritta. Periodo indicato: in ogni stagione, in estate evitare le ore più calde. Indirizzi utili: Centro informazioni del Parco nazionale delle Cinque Terre, presso la stazione FS di Monterosso al Mare, tel. 0187.817059.
Alberghi e ristoranti. Ristorante e Casa religiosa santuario di Soviore (loc. Soviore, 0187.817385, www.soviore.it). Il menù del pellegrino costa 30 euro, la Casa religiosa dispone di 50 camere per un pernottamento o per periodi di ritiro. Camera doppia da 50 a 70 euro a notte. Ristorante Belvedere (piazza Garibaldi 38, 0187.817033, http://www.ristorante-belvedere.it) dove si serve l’Anfora, rivisitazione della classica zuppa di pesce ligure, a 48 Euro. Hotel Monterosso Alto (località Colla di Gritta, Monterosso al Mare, 0187.801220), giusto lungo il sentiero e lontano dall’affollamento di Monterosso, camera doppia a 130 Euro a notte con colazione. B&B Casa dei Limoni, (Via Soviore, loc. Balanello, Monterosso al Mare, 0187.819243, http://www.casadeilimoni.it) casa colonica alle porte di Monterosso, sul sentiero per Soviore, con 6 camere, terrazza e limonaia, camera doppia a 160 Euro a notte con colazione.
©Albano Marcarini 2017 – Pubblicato su Bell’Italia nel 2015.
Di Monterosso al Mare, dice una monografia di fine Ottocento: «Quinta delle Cinque Terre partendo da Portovenere, è paese più delizioso ed ameno degli altri quattro, sparso di bei giardini di agrumi, oliveti e vigne che danno squisiti frutti. Una spiaggia offre passeggio agli abitanti e comodità ai pescatori di tonni e acciughe. (…) Si commercia molto in vino, agrumi, olio, pesce preparato e salato». Quest’ultimo è l’acciuga che ai giorni nostri, per la sua qualità, ha ottenuto il titolo di ‘Presidio Slow Food’. Monterosso è spesso invasa dai turisti ma non si è persa l’atmosfera del borgo peschereccio. Basta aggirarsi fra i labirintici carrugi, sotto gli archi, salire le scalinate, attardarsi di fronte alla chiesa a fasce di marmo bianco e pietra nera, sostare sotto il campanile che fu in origine torre di guardia delle fortificazioni di Genova, fermarsi dinanzi agli oratori dei ‘bianchi’ e dei ‘neri’ dipendenti dalle storiche e contrapposte confraternite liguri.
Seguendo il ‘carrugio’ principale (Via Roma) si avvicina la montagna. A fianco del parcheggio coperto, un cartello segnala la meta, il santuario di Soviore. La salita, su duri gradoni, si accompagna ai terrazzini degli ulivi. Spuntano gli spadoni dell’agave – l’«erba spâ» dei liguri. «Riviere, / bastano pochi stocchi d’erbaspada / penduli da un ciglione / sul delirio del mare…» scrisse Eugenio Montale. L’agave è una pianta strana: fiorisce una sola volta nella sua vita e poi muore.
EUGENIO MONTALE. Poeta di grande rigore morale, antiretorico e severo, Eugenio Montale (Genova 1896 – Milano 1981) è il cantore della Liguria, dei paesaggi aridi e dirupati, sventagliati dal sole e dal mare. Sono i luoghi delle Cinque Terre dove l’uomo e il poeta si sono abbarbicati come i falchi sulla scogliera, fermi contro le insidie di un mondo in cambiamento. Non so dire esattamente quale fosse la musa ispiratrice di Montale. Dico però che questo incredibile pezzo di scoglio ligure è fatto apposta per la poesia. Nel villaggio di Monterosso la famiglia di Montale possedeva una dimora, con accanto un giardino. Qui, egli trascorse la giovinezza. Probabilmente calcando i sentieri fra il monte e il mare. Gli stessi di questo itinerario.

Occorre superare un dislivello di 450 metri per accedere alla terrazza del santuario. Ne vale la pena. Il luogo è quieto, lontano dalla folla, il panorama sul mare arriva fino alle isole della Toscana. Nella chiesa, citata dal 1244, si produssero miracoli come piovesse: guarigioni inattese, pescatori scampati ai naufragi, malviventi ravveduti, repentine conversioni, contadini salvati da animali impazziti. Lo si legge nelle ingenui pitture degli ex-voto che ricoprono le pareti. I monterossini sono molto legati al santuario. Pare infatti che il borgo marinaro fu fondato, nei primi decenni del XI secolo, da genti scese dalle pendici del Monte Soviore, sovrastante l’attuale santuario, e originarie dell’antichissimo villaggio di Albareto, distrutto nel VII secolo durante l’invasione del re longobardo Rotari.
Il nostro percorso, dopo la visita del santuario e un eventuale pausa presso il locale ristorante, riprende seguendo il segnavia 1. È un obbligato tratto di asfalto che scende alla Colla di Gritta, punto di valico fra Monterosso e Levanto. Poi si abbandona l’asfalto e si prosegue sul sentiero. Ben presto ci si attesta lungo il contrafforte montuoso che scende in direzione di Punta Mesco. La vegetazione si sta riprendendo dopo il devastante incendio di alcuni anni fa. Il sentiero s’immerge nella pineta e offre scorci sempre nuovi sulla baia di Monterosso e, sull’altro lato, su quella di Levanto.
All’incrocio di diversi sentieri, presso una insellatura a quota 325, il nostro piega deciso verso levante per scendere a Monterosso. Prima però si può effettuare una breve deviazione, continuando sulla linea del crinale per

raggiungere, dopo pochi passi, la chiesa di S.Antonio. Si tratta della parte superstite di un antico romitorio. Gli eremiti vivevano in un luogo di pace e tranquillità, contemplando il mare in compagnia degli uccelli marini, ma non è escluso che la loro funzione fosse anche di sorveglianza in aiuto alle popolazioni della costa. Il Tirreno fu a lungo insidiato dalle scorrerie dei pirati saraceni. Sui promontori si costruivano torri di guardia e mediante fuochi si segnalavano agli abitanti gli imminenti pericoli predisponendo le difesa. Quando l’attacco era particolarmente furioso non vi era scampo per nessuno e gli abitanti, soprattutto gli adulti e le giovani donne venivano deportati per essere venduti come schiavi sulle coste della Barbaria, l’attuale Algeria. Il panorama si apre sulla costa delle Cinque Terre fino a Portovenere e alle isole Palmaria e del Tino. Della chiesa, risalente al XV secolo, restano un portale, un brano di parete e l’abside con belle lesene in arenaria e archetti retti da mensolini con figure antropomorfe. «Alla mattina presto salgo al Mesco per patire a fin di bene i 568 scalini che separano il Gigante dal Telegrafo. Là mi soffermo a considerare la riva estrema del mondo…» annota non più Montale, il poeta, ma uno scrittore, Maurizio Maggiani. È la medesima scalinata che faremo al contrario, discendendo fino a lambire la torre di Fegina e la statua del Gigante, sulla riva del mare.
Il Gigante è una curiosa statua che nelle intenzioni iniziali, intorno al 1910, doveva raffigurare Nettuno con il tridente e in posizione tale da reggere una grande conchiglia facente funzione di terrazzo aperto sul mare. Tridente e conchiglia sono andati perduti mentre nel Ventennio il volto di Nettuno fu modificato per farlo assomigliare a quello di Mussolini, con scarsi risultati. Triste destino per un gigante. L’escursione si chiude e prende l’aspetto della passeggiata lungomare giù per la spiaggia di Fegina e dietro Torre Aurora, che ci separano da Monterosso.
IL SANTUARIO DI SOVIORE. Risale al 1244 il primo documento che dice di un luogo sacro a Soviore, lungo una ‘strada corriera’, battuta da pellegrini e mercanti. Una targa nella chiesa attesta l’edificio al 1300, poi ampliato, soprattutto nel Settecento quando il culto mariano – il santuario è intitolato alla Vergine – prese grande fervore. Il papa concesse addirittura la facoltà di porre sulla venerata statua della Vergine due corone dorate. Sullo spalto che guarda il mare, accanto all’edificio sacro si trova il lungo e caratteristico corpo di fabbrica della Casa religiosa, ricovero dei fedeli da epoca immemorabile. Merita di ricordare l’usanza delle donne di Monterosso quando il giorno dell’Assunta si dedicano alla preparazione della torta di riso rosso da consumare durante il pellegrinaggio. È una variante delle classiche torte salate liguri, con qualche uovo in meno, un impasto di sugo e funghi porcini mescolato al riso, il tutto deposto nella sfoglia di farina e acqua
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Albano Marcarini, LA CICLABILE DELLA RIVIERA DI PONENTE, Ediz. 2, 32 pag., Alzani 2016,
La più bella e frequentata ciclabile della Liguria, da S.Lorenzo al Mare a Ospedaletti passando per Sanremo: un balcone sul mare sul tracciato della vecchia ferrovia litoranea. E, in più, gli altri tratti ciclabili della Riviera di Ponente a Varazze, Albisola, Cogoleto.
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