Itinerario circolare in mountain-bike o a piedi con partenza e arrivo alla stazione di San Giovanni d’Asso (linea Siena-Asciano-Monte Antico), provincia di Siena.
Una ferrovia non muore mai. Può scomparire per un certo tempo, schernita per la sua lentezza o per la sua presunta scomodità. Può restare nella memoria di pochi a ricordare tempi in cui le auto non la facevano ancora da padrone, quando la gente abitava ancora le campagne e apprezzava la sbuffante macchina a vapore come segno di un progresso ancora positivo senza i controproducenti effetti della nostra moderna civiltà.
Talvolta la traccia di una vecchia ferrovia può dileguarsi e la vegetazione rinvenire sui suoi impianti. Ma resta sempre qualche indizio, qualche segnale. Proprio come la linea Asciano-Monte Antico in provincia di Siena. Data per dispersa fra le pagine dell’Orario Ufficiale, finita fra le moribonde per i dirigenti aziendali, infine chiusa al traffico nel 1994 oggi essa rivive come ferrovia turistica, adibita al trasporto non più di merci e carbone, ma di ciclisti, camminatori, canoisti, naturalisti ecc. ecc.
Una scelta coraggiosa e gradita a quanti desiderano conoscere da vicino e con tranquillità le bellezza dello splendido paesaggio senese. Nei finesettimana durante la bella stagione, secondo il calendario che pubblichiamo in margine a questo itinerario, piccoli convogli tornano a percorrere la zona delle Crete e la valle dell’Asso con un variato programma di proposte escursionistiche.
Da San Giovanni d’Asso a Monte Oliveto Maggiore
Lunghezza: km 19,5. Dislivello: 650 metri. Tempo medio di percorrenza: 3/4 ore. Condizioni del percorso: strade carrabili sterrate; nessuna difficoltà, sconsigliabili solo in caso di piogge recenti. Ristoro a Chiusure (bar) e a Monte Oliveto. Altre informazioni utili. Ristoranti: a Monte Oliveto, La Torre, tel. 0577/707022. In caso di pernottamento si consigliano le seguenti aziende agrituristiche: Bandini, a Lucignano d’Asso, tel. 0577/803068, www.borgolucignanello.com ; La Canonica, a 5 km da San Giovanni d’Asso, tel. 0577/834244-834359, www.canonicaholiday.com ; Bagnacci, a 6 km da San Giovanni d’Asso, tel. 0577/803151, www.bagnacci.com. L’abbazia di Monte Oliveto Maggiore (tel. 0577.707611) è visitabile in estate dalle 9.15 alle 12 e dalle 15.15 alle 18; in inverno, chiusura alle 17, www.monteolivetomaggiore.it. Direzione Trasporto Locale Toscana FS, tel. 055/2356194. Apt di Siena, Informazioni Turistiche I.A.T. Siena, Santa Maria della Scala, Palazzo Squarcialupi, Piazza Duomo 1, Siena, tel. 0577 280551, www.terresiena.it. – Periodo consigliato: primavera, autunno.
La traccia gps di questo itinerario è disponibile richiedendola a info@guidedautore.it specificando il titolo dell’itinerario.
Itinerario pubblicato su GLI ITINERARI DI AMICOTRENO, TOSCANA, Leonardo Periodici, Milano 1998. – Aggiornato gennaio 2016. – © 2016, Albano Marcarini.

La stazione di San Giovanni d’Asso (km 0, alt.271) si trova ai piedi del colle ove si distende l’abitato. Si sale brevemente fino alla piazza Gramsci, antistante il castello.
1. San Giovanni d’Asso. L’anima del paese sta tutta nel suo poderoso castello, insieme di articolati corpi di fabbrica, riuniti nel corso del tempo. In realtà è anche definibile come ‘grancia’, vale a dire come una fattoria fortificata, dove accanto alla parte nobile residenziale sussistevano attività di deposito, di trattamento o di smercio dei prodotti agricoli. Con questa funzione appartenne ad esempio, nel XIV secolo, allo Spedale senese di Santa Maria della Scala.
Sulla piazza sorge anche un piccolo, prezioso edificio romanico annoverato fra i più significativi dell’epoca per quanto attiene al senese. Si tratta della chiesa di San Pietro in Villore, originaria del XI o dell’inizio del XII secolo. Nella forme e nei decori dei capitelli della facciata, gli storici hanno riconosciuto influenze di scuola lombarda e motivi affini a quelli presenti nella non lontana Sant’Antimo. Nel XIII secolo fu ricostruita la parte superiore della facciata e innalzato il caratteristico campanile in laterizio, a vela. All’interno si cela una cripta a tre navatelle e sette colonne.
Dalla piazza Gramsci l’itinerario scende per poche decine di metri su via Roma, piega a destra e, fatti pochi altri passi, di nuovo a destra imboccando uno stradello sterrato. Lasciate le ultime case ci si addentra in aperta campagna. Alla prima biforcazione si tiene a sinistra iniziando a scendere verso il Fosso Mabbione.
2. Le crete. Il paesaggio è quello delle ‘crete senesi’, una porzione di territorio che copre un’ampia mezzaluna a sud-est di Siena, composto di materiali argillosi, biancastri, teneri e incoerenti, frammisti a sabbie, di antica origine pliocenica (da 4 a 1,7 milioni di anni fa). Un suolo avaro per la coltivazione ma incredibilmente suggestivo per il modellamento delle forme: qui morbide e spoglie groppe quasi graffiate in geometriche tessiture dalle macchine agricole, là lunghe creste giallastre o naturali impluvi dove il maggior spessore di sabbie ha favorito la crescita della vegetazione arborea, altrove quasi assente. Infine, dove l’equilibrio fra gli elementi è più instabile, la fantastica immagine dei calanchi, caotico scenario di terre sbrecciate e sfaldate, ma prezioso microambiente di studio sui dinamismi della crosta terrestre.
In un ambiente così stranito, dalle sensazioni opposte di armonia o desolazione, il cipresso, l’albero principe della Toscana, sembra quasi il tocco di penna di un poeta della natura. Edith Wharton, scrittrice americana, viaggiando da queste parti, riveriva “le loro guglie intessute di velluto color nero sbiadito”, richiamandone la preziosa funzione con una bella immagine figurata: “disseminati dalla mano parsimoniosa con cui lo scrittore esperto traccia i punti esclamativi”. Messo lì a coppie, a capannelli, a filari singoli o doppi esemplifica il gesto, il segno umano nella costruzione del paesaggio.
Nel boschetto di pioppi che rasenta il fosso è stata istituita una riserva per la riproduzione spontanea del tartufo bianco delle Crete senesi. San Giovanni ha la più alta percentuale di tartufai in Italia: 60 cercatori abilitati su 900 abitanti; ed è qui che a novembre di ogni anno si tiene, ma sarebbe meglio dire si celebra, la Mostra Mercato del tartufo bianco.
Superato il Fosso Mabbione la stradina sale ripida e, lambito un pino secolare, tocca in successione il podere Selva (km 1.9, alt.310) e il podere Poggio Boldrini (km 2.6, alt.338) prima di pianeggiare, ormai quasi sull’alto del crinale dei colli. Si affronta un’ultima erta per guadagnare la sella più alta (km 3.5, alt.393) da cui verso sinistra si stacca una stradina che si seguirà nel percorso di ritorno.
La nostra strada per ora prosegue diritta e scende di qualche passo fino a regalarci, poco prima di un altro bivio (tenere a destra), una splendida veduta panoramica sui calanchi e sul sovrastante terrazzo naturale che sostiene, in una cornice di pini e di cipressi, la storica abbazia di Monte Oliveto Maggiore, la meta principale del nostro itinerario. Prima di arrivarvi il percorso però indugia ancora passando per il villaggio di Chiusure (km 5.8, alt.376, fontana), raccolto sulla cima di un colle.
Per raggiungere l’abbazia seguono ora due chilometri di strada asfaltata che consentono però altri splendidi colpi d’occhio sulle erosioni provocate dai calanchi.
3. I calanchi. Il meccanismo di formazione dei calanchi è semplice: sono il risultato di un fenomeno di ruscellamento lungo strati di materiale argilloso. L’acqua piovana, non trattenuta dalla vegetazione e impedita dall’argilla a penetrare in profondità, defluisce in superficie erodendo i versanti e dividendoli in profondi solchi. I calanchi sono più diffusi sui versanti rivolti al sole perché la resistenza all’erosione è anche determinata dall’energia solare. Qui, dopo la pioggia, il sole asciuga in fretta l’argilla, fratturandola in piccole forme reticolari. La pioggia successiva, penetra nelle fessure e facilita l’asporto dello strato fratturato. In un ambiente così arido la vegetazione è scarsa, quasi inesistente. Sopravvivono solo alcune pianticelle alofite, cioè ‘amanti del sale’, in grado di accumulare questa sostanza nelle cellule per trarre con sufficiente forza la poca acqua dal suolo. La più caratteristica è Artemisia cretacea, una pianticella che nella specie volgare risulta comune in tutta Italia.
Ancora pochi passi e quindi, entrando nella pineta, si accede all’area dell’abbazia (km 7.8, alt.272)
4. L’abbazia di Monte Oliveto Maggiore. Era il 1313 quando Giovanni Tolomei, dottore in ‘utroque juri’, cavaliere dagli sproni d’oro investito da Rodolfo I d’Asburgo, capo dei ghibellini di Siena, si ritirò in totale penitenza sul poggio detto ‘deserto d’Accona’. Di lì a poco, sul luogo che prese il nuovo nome di Monte Uliveto, convennero altri monaci; nel 1319 Giovanni XXII approvò la regola del nuovo ordine dando il via alla costruzione del convento.
Centocinquanta anni dopo, Pio II Piccolomini visitandolo così lo descrisse: «Se domandi qual’è la forma del colle in cui risiede, osserva la foglia di un castagno. Rovinose scoscese rupi e profondissimi baratri, la cui vista incute ribrezzo ed orrore, ne impediscono da ogni parte l’accesso, salvo un’angusta lingua di terra, sull’ingresso della quale sta a difesa una solida torre, munita di un antifosso ripieno d’acqua e cavalcato da un ponte levatoio. Declive è il ripiano del colle, nel cui centro si inalza un nobile tempio, e contiguo ad esso il portico, i corridoi, i refettori ed ogni genere di officine necessarie alla vita e agli usi religiosi. Non vi ha nulla che non possa dirsi egregio, niente che non sia nitido, e che non si osservi con ansietà». Certo ai suoi tempi mancavano ancora le opere d’arte che avrebbero dovuto conferire a Monte Oliveto il rango che oggi le spetta, ma la sensazione d’ambiente è la stessa anche oggi.
La visita è d’obbligo e l’appassionato d’arte sa già come destinare il suo tempo. Dedicarlo quasi interamente all’osservazione delle Storie di San Benedetto, famosi affreschi di Luca Signorelli e del Sodoma che ricoprono le pareti del Chiostro Grande. Ma anche il profano ne è attratto, soprattutto per la composizione e il carattere figurativo dei soggetti, poco comuni all’iconografia classica, geniali ideazioni dei due artisti, soprattutto del Sodoma, definito Mattozzo dal Vasari, biografo dei pittori del Rinascimento. La sempiterna tentazione del male, contro la quale il Santo vigila, combatte, vince è tradotta in scene di minima quotidianità. Il diavolo agisce come un discolo, pronto a dispetti, mezzucci, buffe scaramucce nei confronti di poveri fraticelli che attendono il liberatorio intervento di San Benedetto. Quasi fumetti, se il termine non suonasse offensivo per due dei maggiori maestri del nostro Rinascimento, con tanto di accurate ambientazioni di paesaggio, dettagli, didascalie, contorni, allegorie varie.
Conclusa la visita al convento, occorre fare ritorno a Chiusure per la stessa strada dell’andata e proseguire ancora su di essa fino al bivio che vi avevo precedentemente segnalato (km 12, alt.393). Qui si abbandona la strada già fatta e si volge verso destra per una breve diversione.
Il percorso aggira dall’alto il solco di Vallesanta, toponimo che ricorda i primordi dell’evangelizzazione di questa zona, legata alle gesta di San Marcellino di Pava, martire vissuto nella seconda metà del sec. III. Il suo sepolcro si trovava lungo una strada romana, forse proprio sul poggio coronato da cipressi ove sorge l’attuale cappella, lambita poco oltre dal nostro itinerario (km 13, alt.354)
Attraversate le case del podere Borghe (km 13.5, alt.330) occorre prestare attenzione: percorsi altri 300 metri, all’altezza di una grossa quercia che divide le vie, si lascia la maggiore per una secondaria, sulla destra (c’è un piccolo cartellino con il numero 5). E’ un tratto ombroso che sbocca poco oltre sulla strada per Monterongriffoli (km 14.9, alt.302),cui si accede volgendo a destra per circa 500 metri.
5. Monterongriffoli. Minuscolo grappolo di case in fiammeggiante laterizio dove si erge l’immancabile castello, un edificio questo eretto nel XIII secolo quando il borgo aveva una certa importanza anche per la vicina presenza dell’antichissima chiesa battesimale di Pava, nominata fin dal 714.
Lasciato il pittoresco villaggio si torna sulla strada d’accesso, si lascia il bivio da cui si era pervenuti e si continua sulla via principale in ripida discesa fino a confluire nella strada provinciale della valle dell’Asso (km 16.5, alt.266), ormai in vista di San Giovanni. Seguendo la provinciale verso sinistra si giunge, dopo poco più di un chilometro, alla stazione ferroviaria da cui si era partiti (km 18).
LA FERROVIA DELLE CRETE
Il problema ferroviario a Siena fu affrontato verso la metà dell’Ottocento con grande pragmatismo. Senza attendere contributi pubblici, un gruppo di cittadini nel 1845 diede vita alla Società per la Strada Ferrata Centrale Toscana. Nel giro di un ventennio essa realizzò un collegamento dorsale fra Empoli (1849) e Chiusi (1862) passando per Siena, poi prolungato a Orte nel 1874. Nel 1859, il Governo provvisorio della Toscana nell’intento di promuovere il risanamento ambientale e lo sviluppo della Maremma conferì alla Società senese lo studio per una linea in direzione di Grosseto. Nel primo tratto essa avrebbe utilizzato il tronco già esistente Siena-Asciano per poi instradarsi lungo le vallate dell’Asso e dell’Orcia e sfociare infine nella piana grossetana.
Il primo tronco da Asciano a Torrenieri (21 km) fu aperto il 14 maggio 1865, il secondo fino a Monte Amiata (12,9 km) il 14 agosto 1871, il terzo fino a Montepescali (49,7 km) il 27 maggio 1872. Nell’ultimo tratto la linea si raccordava alla già esistente tirrenica. Il ritardo nella costruzione fu dovuto ai grandi rivolgimenti politici in atto in quel momento nel Paese; nel 1865 poi, la Centrale Toscana fu inglobata nella Società per le Strade Ferrate Romane che per cause di bilancio non attuò subito il progetto. Nel 1927 fu aperta la quasi parallela linea Siena-Buonconvento-Monte Antico, tutt’ora in esercizio, primo avvio di un più ampio progetto di connessione fra Siena, Viterbo e Roma, rimasto però irrealizzato.
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