Nella terra del riso, da Santhià a Vercelli

Itinerario in bicicletta con partenza dalla stazione Fs di Santhià (linea Milano-Torino) e arrivo alla stazione Fs di Vercelli.

La fertile terra del riso copre una vasta porzione di pianura fra Piemonte e Lombardia. Il suo paesaggio è mutevole a seconda delle stagioni, durante lo svolgersi delle fasi di coltivazione. Cambia quattro volte l’anno e quattro sono i suoi colori dominanti: nella primavera, per circa 40 giorni, è il colore del cielo che si specchia nelle risaie allagate, popolate da stormi di uccelli di passo; nell’estate, è il verde brillante delle tenere piantine, vivificate dal terreno sempre umido; nell’autunno è la tinta dorata del riso maturo, pronto per la raccolta; l’inverno, infine, è il tempo del riposo con il colore cupo dei solchi arati o con quello stinto delle stoppie abbandonate. Così un’escursione come questa, nelle risaie del Vercellese, cioè nel cuore della ‘terra del riso’, dovrebbe essere ripetuta più volte, per cogliere suggestioni sempre diverse. La primavera regala però le sorprese più inattese, gli aspetti più originali di un paesaggio sospeso fra acque e cielo. Pare di galleggiare, così come gli alberi, le cascine, le lontane montagne che fanno da scolta alla pianura. Le immagini, riflesse nell’acqua, coprono lo svelto zigzagare dei ranocchi e delle carpe. Strani trattori, con le ruote a dente di sega, s’immergono intorbidendo l’acqua e versando la semenza. Esili steli piano piano emergeranno dalla lucida distesa. La bicicletta è il mezzo ideale per queste zone di pianura. Da soli o in compagnia, si coprono chilometri senza fatica pedalando veloci sui lunghi rettifili delle strade campestri, lungo gli argini dei canali irrigui, fra cascinali un po’ addormentati nell’inerzia delle lunghe giornate di lavoro sui campi. Questo itinerario vi terrà impegnati per un’intera giornata destinando parte del tempo alla visita di numerose attrattive, fra cui l’abbazia di Lucedio, il luogo da cui si iniziò nel Medioevo la progressiva colonizzazione agricola di questo territorio, e il Bosco della Partecipanza di Trino, area naturale protetta, eredità di un uso collettivo delle risorse. Unito al precedente, questo itinerario forma un percorso cicloturistico continuo dal Canavese alla pianura del riso, non molto distante dalle tracce di quella strada romana, e poi medievale, che conduceva i pellegrini dalle Alpi agli Appennini, nella direzione di Roma.

Da Santhià a Vercelli Lunghezza: 54 km. Dislivello: insensibile. • Tempo di percorrenza: 3 ore e 30 minuti. Condizioni del percorso: pianeggiante con lievissimi saliscendi nel Bosco della Partecipanza; percorso su strade asfaltate (per 37 km) e sterrate (per 15 km); un tratto di sentiero nel bosco per circa 2 km. Mezzo consigliato: bicicletta da turismo con battistrada rinforzato o mountain-bike, casco di protezione. • Periodo consigliato: dalla primavera all’autunno inoltrato. • Dove mangiare. Nessuna possibilità di ristoro da Tronzano (km 3) a Tricerro (km 34.7). A Tricerro, ristorante Corona, corso Marconi 54, tel. 0161.807388; a Asigliano Vercellese, San Rocco, via Costanzana 6, tel. 0161.36385. • Altre informazioni utili. Fontane scarse. Provvedere agli utensili per le forature. In caso di necessità si trovano ciclisti a Tronzano, Trino, Tricerro (chiedere del signor Antonio). Utile un binocolo per osservare l’avifauna delle risaie.

Itinerario pubblicato su Piemonte, Gli itinerari di Amicotreno, Leonardo International, Milano 2001. © 2016 Albano Marcarini.

Risaie.map2. Le risaie. La coltivazione del riso è una pratica agricola che si avvale di tecniche di produzione sempre più aggiornate. Esse hanno portato, nel volgere di pochi decenni, a incredibili aumenti nella resa, pari oggi a circa 60 quintali per ettaro, contro i 20-25 dell’inizio del secolo. La modernizzazione ha fatto scomparire figure, come le mondariso, che ancora nel dopoguerra, erano le protagoniste di vicende sociali narrate nella letteratura e nel cinema, e certamente ha impoverito il paesaggio lasciando in abbandono molte cascine per la minor necessità di manodopera. L’introduzione di diserbanti chimici ha eliminato il lavoro manuale ma ha anche minacciato l’ecosistema naturale che si era creato nelle risaie con la presenza di numerose specie botaniche e faunistiche. Oggi le tecniche più avanzate riducono l’impiego di fertilizzanti e diserbanti; in alcuni casi, si constata addirittura il ritorno alle pratiche tradizionali di coltivazione biologica. L’attuale produzione italiana di riso si aggira attorno ai 13 milioni di quintali annui (di cui quasi 7 nel Vercellese): ben poca cosa contro i 5 miliardi prodotti ogni anno nel mondo, per gran parte nei paesi asiatici. Il riso italiano è però migliore per qualità. Dal risone, vale a dire dal chicco ancora rivestito dalla sua glumetta, si ricavano, dopo l’essicatura e dopo altre operazioni industriali (sbramatura, brillatura), riso commestibile e derivati. L’introduzione di questo cereale tropicale – chiamato in termini botanici Oryza sativa – pare sia stata promossa nel 1474 da Galeazzo Maria Sforza nella sua tenuta di Villanova Lomellina crescendo rapidamente nonostante l’opposizione di coloro che temevano il diffondersi di malattie legate al paludismo.

La monocoltura del riso (i 4/5 della pianura vercellese sono coltivati a riso) divide la terra in campi di grandi dimensioni, delimitati da fossi e da argini che formano un articolato sistema di drenaggio: sfruttando una quasi insensibile pendenza, le acque possono scorrere di continuo da una risaia all’altra. I terreni si allagano fra marzo e aprile e sono subito seminati. L’acqua viene lasciata fino a maturazione avvenuta, vale a dire fino a settembre, dopo di che, all’asciutto, si miete. La pratica del trapianto, abbandonata dopo gli anni ‘60, consisteva invece nell’allevare piantine in vivaio collocandole in risaia solo in un secondo tempo; in questo modo si ottenevano, sullo stesso terreno, due coltivazioni: frumento o prato in giugno, riso in settembre.

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Il portale della corte di Darola

Tenuta Gardina (km 11.5, alt. 163). Si arriva a una stradina asfaltata che si segue verso sinistra e che collega, a breve distanza fra loro, una serie di cascine. A fianco della tenuta Riotta (km 13.2), con un bel giardino di alberi esotici, si scorge una vecchia ghiacciaia seminterrata.

Molinetto (km 14.8, alt. 154). La strada, bordata dai fossi, prosegue sinuosa fra le risaie. A un tratto occorre prestare attenzione al percorso. Circa 200 metri prima di uno ‘stop’, si prende a destra un rettifilo sterrato che porta, poco più avanti, all’incrocio con la strada provinciale Vercelli – Crescentino: la si attraversa e si continua seguendo i cartelli per Darola e Lucedio. Verso destra si scorgono le due torri di raffreddamento della centrale idroelettrica policombustibile di Crescentino.

Darola (km 19.4, alt. 150). Se ne consiglia la visita, entrando nella grande corte rurale.

3. Le cascine del riso. Fra le risaie si trovano, a una certa distanza l’uno dall’altro, grandi cascinali che sono il centro produttivo di altrettanto grandi proprietà agricole. Erano nuclei un tempo dotati di tutti i servizi per essere autosufficienti compresi il mulino, il forno, la scuola e la chiesa. Gli ampi cortili, usati per l’essicazione dei prodotti agricoli, sono circondati da porticati e dalle basse case a schiera dei contadini. A Darola, cascinale costruito nel 1901 attorno a una torre già appartenuta a un castello della prima metà del XV secolo, attorno alle corti (la più piccola era quella riservata alla famiglia del mezzadro), osserverete stalle, fienili, legnaie, porcilaie, magazzini e essicatoi coperti per il riso.

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La grangia di Lucedio

Un breve rettifilo, inframmezzato da un tetro cimitero dove fra l’intrico della vegetazione spiccano alcune guglie goticheggianti, separa Darola da Lucedio (km 21, alt. 149).

4. Lucedio. In questo grosso cascinale sono inglobati i resti di un’abbazia cistercense del XII secolo alla quale si assegna gran parte della colonizzazione agricola del basso Vercellese. Secondo lo schema tipico degli insediamenti monastici, alla sede  facevano corona nei dintorni le cosiddette ‘grange’, ovvero cascine dipendenti ove dimoravano i coloni. A Lucedio ne spettavano sei (Montarolo, Montarucco, Leri, Darola, Castelmerlino, Ramezzana) che nell’insieme formavano una tenuta vastissima. L’abbazia fu contesa fra i Marchesi del Monferrato e i Savoia. Dopo la cessione a quest’ultimi, nel 1707, fu trasformata in commenda e per gran parte ricostruita, fra il 1767 e il 1769, come rivelano le linee barocche della chiesa. Durante l’occupazione napoleonica, Lucedio passò al principe Borghese, cognato dell’imperatore. La singolare dicitura ‘Principato di Lucedio’, apposta sul portone d’accesso, ne ricorda l’evento. Dell’impianto originario dell’abbazia restano una torre ottagonale e la sala capitolare.

La strada affronta ora una lieve salita (si tratta di un’ondulazione collinare che fa da preludio al Monferrato, ma che da questo è separata dal corso del Po) raggiungendo, al colmo, un piccolo cimitero. Voltando a destra su sterrato, si arriva in breve all’isolata chiesa della Madonna delle Vigne (km 23.6, alt. 183), costruita fra il 1696 e il 1716 secondo un’insolita pianta ottagonale.

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Si torna al cimitero e si prosegue sullo sterrato che si diparte dall’altro lato della strada. Tenete ora sotto gli occhi l’ingrandimento B della cartina a pagina 66 che vi indica l’attraversamento del Bosco della Partecipanza. Nel primo tratto, seguite verso sinistra la direzione del crinale lungo un’evidente traccia erbosa. Poi fate attenzione: a circa metà del secondo tratto in discesa, lasciate la traccia principale e seguite a sinistra una carrabile arrivando, dopo circa 200 metri, all’altezza di una curva fra campi e boscaglia, all’imbocco di un sentiero che si inoltra nel fitto del bosco. Seguitelo. È il sentiero delle Divisioni che, alla fine, vi porterà all’ingresso Ramezzana (km 26.5). Si riprende di nuovo fra le risaie per imboccare la prima strada sterrata verso sinistra che torna nel bosco all’altezza dell’ingresso Ponte delle Assi (km 27.6).

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Chiesa della Madonna delle Vigne

5. Il Bosco della Partecipanza di Trino. Lo hanno definito un’isola nel mare delle risaie. Come mai in un territorio così trasformato dall’uomo abbia potuto resistere un’oasi vegetale di questo genere? In questo bosco di 560 ettari, oggi parco naturale regionale, vige dal XIII secolo una gestione comunitaria che oltre a proteggerlo ne promuove lo sfruttamento secondo criteri antichi e singolari. Ogni anno una porzione di bosco è soggetta al taglio del ceduo, preservando le fustaie; essa viene divisa e assegnata a sorte ai vari soci proprietari. La vegetazione è costituita da farnia, roverella e, negli strati più bassi, da carpino, ontano, robinia, nocciolo, tiglio ecc.

Seguendo sempre la cartina, l’itinerario attraversa il cuore dell’area protetta uscendo all’altezza di una paratoia sul Cavo Comunale del Bosco (km 30.2; l’ultimo tratto del percorso è invaso da fogliame e da sterpi; si consiglia di procedere a piedi). Si passa accanto a una ruota a pale, usata per il sollevamento delle acque, e si continua sulla bordura di un fosso (100 metri) per poi scavalcarlo e imboccare una strada campestre in direzione di Tricerro.

Tricerro (km 34.7, alt. 140). La pianta quadrangolare di questo paese è collegata alle sue origini medievali (1218) come borgo franco del Comune di Vercelli in funzione militare.

L’ultima parte dell’itinerario si svolge su strade asfaltate e potrebbe risultare un po’ noiosa. Un lungo e trafficato rettifilo (strada statale 455 ‘di Pontestura’) collega Tricerro a Vercelli. Più variato, e non molto più lungo, è il percorso proposto in alternativa e che tocca in successione, su strade secondarie, Costanzana (km 38.8, alt. 129), Asigliano (km 43, alt. 127) e, infine, Vercelli (km 54, alt. 130). La stazione Fs si trova all’esatto opposto della direzione da cui entrerete in città. Puntate verso il centro, fra le sue strette e pittoresche viuzze, giungendo infine in piazza Roma, la piazza della stazione. Non mancate però di gettare uno sguardo alla vicina e bellissima basilica di Sant’Andrea: eventualmente di recarle visita se i tempi di attesa del treno di ritorno lo consentiranno.


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