Itinerario in bicicletta sulle colline dell’entroterra maremmano sulle tracce di una ex-ferrovia.
Questo itinerario, disegnato fra le colline dell’entroterra maremmano, fra Campiglia Marittima e Follonica, è riservato agli appassionati di archeologia ferroviaria. Andremo alla riscoperta del tracciato di una vecchia linea ferroviaria a cavalli che servì, nel XIX secolo, al trasporto della lignite dalle miniere di Montebamboli fino allo scalo marittimo sul Tirreno. Più che un’escursione è una vera e propria esplorazione in luoghi solitari e selvaggi, circondati dalla folta macchia, alla ricerca dei pochi ma significativi manufatti di una vicenda che pur avendo avuto una breve vita (la ferrovia fu soppressa nei primi anni del nostro secolo) segnò profondamente l’economia e l’immagine di quei luoghi.
Punto di partenza: stazione Fs di Campiglia Marittima. Punto di arrivo: stazione FS di Follonica. Lunghezza: 50 km. Dislivello: 350 metri. Tempo medio di percorrenza (escluse le soste): 4-5 ore. Condizioni del percorso: strade asfaltate e secondarie sterrate; un tratto su sentiero; alcuni guadi (in genere asciutti); un duro tratto in salita fra il km 25.1 e il km 26.4, dal fondovalle Milia a Montebamboli; per la lunghezza e le sue caratteristiche l’itinerario è adatto a cicloturisti allenati. Mezzo consigliato: mountain-bike. Periodo consigliato: da novembre a maggio. Informazioni pratiche: dotarsi di provviste e di acqua alla partenza (Venturina); in seguito, possibilità di ristoro solo a San Lorenzo (km 13.8) e quindi nessuna fino a Follonica. La visita alla zona minieraria si effettua solo a piedi, l’ingresso alle miniere è precluso per ragioni di sicurezza. La cooperativa Ase Trekking di Suvereto (tel. 0565.829950) organizza per gruppi visite guidate; inoltre, ha pubblicato un fascicolo che ricostruisce con documenti originali la storia della ferrovia. Dove dormire: in caso di pernottamento si suggerisce l’ostello Massa Vecchia (tel.0566.903885), attrezzato per i cicloturisti e ubicato lungo la strada statale 439, ai piedi della collina di Massa Marittima (lo si raggiunge deviando dall’itinerario al km 33.6 e percorrendo verso sinistra, per 7 km, la provinciale Marsiliana).
L’itinerario esclude la ricognizione del primo tronco della vecchia ferrovia, da Carbonifera a Casalappi, di cui resta ormai quasi solo il segno topografico del tracciato, riconoscibile sulla carta generale qui acclusa. Il punto di partenza è dunque fissato alla stazione FS di Campiglia (km 0, altezza 8). Si raggiunge in breve Venturina (km 2.4, alt. 12) e si imbocca, verso destra, la strada statale 1 Aurelia (attenzione! traffico intenso) percorrendola per circa 3 chilometri fino alla località Banditelle (km 6, alt. 13). Si imbocca qui, verso sinistra, una strada secondaria in direzione di Casalappi: è un lungo rettifilo che attraversa la piana del fiume Cornia, segnata dai lavori di bonifica condotti a partire dalla seconda metà del XIX secolo.
1. Casalappi (km 10.1, m 44). È un nucleo di antica fondazione (in origine il romano ‘Castrum Appi’), elevato su un rilievo per proteggersi dalle paludi che invadevano la zona. Era importante sito di commerci e di contrabbando al vertice fra i territori di Piombino, dal 1399 autonomo in qualità di Principato, di Massa Marittima e di Siena. Vi sorgono un possente maniero, case coloniche e una chiesuola dedicata a San Bartolomeo, di origine rinascimentale ma ripresa nel corso del XIX secolo.

Si continua ora in direzione di San Lorenzo, avvicinando le colline e raggiungendo finalmente il tracciato della ferrovia, ora coperto da quello della strada, chiamata Via Carbonifera. Nulla di particolare per il momento. Superata però San Lorenzo (km 13.8, alt. 35, bar) la strada si insinua in un varco, detto ‘il Foro’, attraverso le pendici della collina e si protende quindi su un rettifilo piuttosto sopraelevato sul piano della campagna. Tale soluzione consentiva alla linea di mantenere una leggera pendenza per evitare di affaticare cavalli e muli. Incrociata la strada Montioni-Suvereto (km 15.5, alt. 48, fontana), si continua a seguire il rettifilo stradale attraverso la Piana della Calzalunga: prestando attenzione si possono osservare, sotto il piano stradale, due ponti in laterizio dell’originaria ferrovia (sono indicati in rosso sulla carta).

Quasi al termine del rettifilo, un centinaio di metri prima del Podere Sant’Andrea (km 18.5, alt. 65), si lascia la rotabile per una sterrata (non segnalata) che scende, verso sinistra, al letto del torrente Milia. Qui si incontrano i poderosi avanzi di un ponte in muratura e ciottoli, in origine a tre archi, utilizzato dalla ferrovia per scavalcare il corso d’acqua. In questo punto i carrelli, carichi di carbone, provenienti dalle miniere e spinti dalla forza di gravità finivano la loro corsa e venivano agganciati ai cavalli per la restante parte del tragitto. Si passa a guado il torrente e si prosegue, sempre sulla dismessa sede, risalendo il fondovalle del Milia, fra campi e lembi di bosco di querce e lecci. Spesso il tracciato è alto su un terrapieno: si notano anche residui tratti del selciato e, di nuovo, vari ponti, cui si passa accanto a guado.
La pista sterrata termina sul greto del Milia (km 23.6, alt. 122). Qui occorre procedere bicicletta alla mano, passare il torrente e risalire la ripa opposta, tagliando così un’ansa, per ripassarlo poco oltre fino a individuare fra i cespugli una traccia che via via si fa sempre più consistente (vedere la cartina con l’ingrandimento A). In breve si giunge a un crocicchio di percorsi campestri, segnalati da un cartello della Comunità Montana delle Colline Metallifere (km 25.1, alt. 133). Si segue la direzione indicata con il numero 18 e si varca nuovamente a guado, dapprima il Milia e poi il Fosso Ritorto.
2. Le miniere di Montebamboli. Risalendo a questo punto il fosso per circa 1500 metri si raggiungono finalmente le miniere abbandonate di Montebamboli. Fra la vegetazione si individuano tre pozzi di escavazione e i ruderi del villaggio minerario. Smuovendo la cotica erbosa si possono raccogliere campioni di lignite e di litantrace. I più ardimentosi possono proseguire ancora per circa un chilometro, fino allo stretto botro di Rio Piastrello, dove si trovavano i pozzi più ricchi di minerale (se ne individua ancora uno a pianta ottagona oltre a vari depositi di stoccaggio) e dove era il punto di partenza della ferrovia (si scorge un altro ponte mentre la sede viabile è ormai ridotta a un sentiero). Negli strati di carbon fossile si rinvennero, nel 1869, i resti di una scimmia antropomorfa (Oreopithecus bambolii), vissuta fra 8 e 12 milioni di anni or sono.
Al termine della visita si fa ritorno al guado a valle e si affronta, verso sinistra, un durissimo tratto su sterrato in salita (1,3 km) fino a raggiungere la soglia della collina di Montebamboli (km 27.2, alt. 334, fontana) con le sue solitarie case. Si riprende la strada asfaltata che si annuncia con una breve discesa e con un rettifilo che corre sulla dorsale, aperta a larghe vedute panoramiche. Poco più avanti si lascia però questa strada piegando a destra su sterrato; si affiancano alcuni isolati poderi e si inizia una lunga, riposante discesa all’interno del bosco di macchia, in direzione del fondovalle del fiume Pecora. Non è raro imbattersi in qualche cinghiale che grufola ai margini della strada. Al km 33.6 si sbocca sulla provinciale Marsiliana che si segue verso destra; aggirando alcune colline si perviene alla congiunzione con la provinciale 33 di Montioni (km 37.5, alt. 52) che si impegna verso sinistra.
3. La Riserva naturale integrale di Poggio Tre Cancelli. Il percorso ne affianca il limite meridionale. Si tratta di un’area protetta della dimensione di 50 ettari, dove è vietata ogni manomissione dell’ambiente. In questo modo si intende riformare l’originaria foresta mediterranea a lecceta che in altri luoghi, per gli usi secolari dell’uomo (legna, pascolo) e per i frequenti incendi, si è ridotta a macchia arbustiva.
La strada sbocca infine sulla statale 439 Volterrana. Per evitare di percorrerne l’ultimo, trafficato tratto in direzione di Follonica è possibile deviare su un percorso alternativo che lambisce, su strade sterrate, il piede delle colline di Poggio Tre Cancelli (vedi la carta con l’ingrandimento B). Poche decine di metri prima di arrivare al bivio, si imbocca, a destra, un rettifilo alberato verso il Podere Pecora vecchia (km 41.8, alt. 39) che si attraversa continuando tra le colline fra cipressi. Giunti all’inizio della macchia si incontra uno sterrato: lo si segue a sinistra per lungo tratto fino a raggiungere il ponte che scavalca la nuova variante della statale 1 (km 45.1, alt. 55). Appena dopo il ponte, si piega a destra, si costeggia per un tratto la variante e si torna poi nella campagna fino a raggiungere il canile Enpa dove si imbocca, verso sinistra, un viale di eucalipti, ormai in vista di Follonica (km 50, alt. 10).
La storia della linea
In Toscana una vecchia linea ferroviaria a cavalli servì, nel XIX secolo, al trasporto della lignite dalle miniere di Montebamboli fino allo scalo marittimo sul Mar Tirreno. Circondati dalla folta macchia, rimangono pochi ma significativi manufatti di una opera che pur avendo avuto una breve vita (la ferrovia fu soppressa nei primi anni del Novecento) segnò l’economia e l’immagine di quei luoghi. All’inizio dell’800 la Maremma era una terra di frontiera, inospitale e pervasa dalle febbri malariche. I corsi d’acqua provenienti dalle colline si impaludavano nella pianura costiera, a poca distanza dal mare, formando stagni e lagune. Ci si domandava come risanarla e come valorizzare le risorse agricole e minerarie. Per Leopoldo II, Granduca di Toscana dal 1824, passato alla storia per il suo governo saggio e illuminato, la rinascita della Maremma fu un obbiettivo a cui dedicò enormi sforzi. «Nell’animo mio – egli scrisse – era rimasta compassione profonda di Maremma. Figlia mia bella languente da tutti abbandonata, viveva vita da non dirsi tale. Visitata da me pareva a me avesse volto gli occhi con amore e stese le braccia scarne quasi a volesse dire: tu non mi vorrai abbandonare…»
Il Granduca, nel ventennio fra il 1828 e il 1848, avviò bonifiche idrauliche, stabilì case coloniche e convinse i contadini a risiedervi, aprì strade e ferrovie, rimboschì le colline. Con grande speranza guardò anche all’industria mineraria, già attiva nella vicina isola d’Elba, il cui sviluppo in terraferma era però legato alla costruzione di un’efficiente rete infrastrutturale tale da collegare le lontane e quasi inaccessibili miniere con i porti e gli impianti di trattamento del minerale, cioè con i forni fusori e con le ferriere. Follonica, negli intenti, doveva divenire il centro dell’industria del ferro nella Toscana granducale. L’invenzione della ferrovia aprì nuove prospettive e il governo lepoldino fu fra i primi in Italia a intuirle promuovendo fin dagli anni ‘40 la costruzione di alcune linee. In quel periodo si avviarono gli studi per la linea tirrenica, da Livorno a Civitavecchia (realizzata però solo dopo l’Unità d’Italia), e per una serie di altre linee complementari fra cui la carbonifera di cui ci stiamo occupando. Nel 1838 infatti, nella valle del torrente Milia, qualche decina di chilometri nell’entroterra costiero, si scoprirono diversi banchi di lignite picea. Per il loro razionale sfruttamento emerse l’esigenza di una via di comunicazione con la costa, ove il materiale estratto potesse essere imbarcato (si pensi che nelle vicine miniere d’allume di Montioni si era addirittura sperimentato, pochi anni prima, il trasporto mediante cammelli!). Si richiese così l’autorizzazione per la costruzione di una ferrovia a cavalli fra Montebamboli, ove sono le miniere, e Carbonifera, lo scalo a mare, posto nei pressi di Vignale. Nel volgere di pochi anni, fra il 1843 e il 1845, si approvò il progetto, si costituì la società esercente e si diede inizio ai lavori. Il tracciato fu ultimato nel 1846, ma si attesero ancora tre anni prima di attivare l’esercizio. É interessante riportare alcuni passi del manifesto relativo all’approvazione della linea. Vi si espongono le ragioni della sua utilità: «Assai considerevoli sono le quantità di legname da costruzione, legna da ardere, scorze, doghe, potasse, carbon vegetale e altri prodotti dell’agricoltura, pastorizia, etc. che annualmente si trasportano da quelle vallate al mare, e specialmente considerevoli sono le spedizioni di Carbon vegetale sia per i Regi Stabilimenti per la fusione e fabbricazione del ferro alla Follonica, sia per la esportazione che se ne fà col destino di Livorno, Genova e sua Riviera. La quantità di generi da trasportarsi al mare dovrà accrescersi grandemente col mezzo di una Strada ferrata, la quale internandosi di almeno 20 miglia nel cuore della Toscana a traverso valli prive di qualunque siasi commoda Strada estenderà la sua sfera d’attività a molti luoghi interni ravvicinandoli al mare alla distanza di alcune ore di Viaggio, mentre che s’impiegano attualmente diversi giorni per giungervi percorrendo la sola Via rotabile che vi esiste, cioè quella di Volterra a Massa, e alla Follonica». Sebbene fosse destinata al trasporto minerario, si prese pure in considerazione la possibilità di un servizio passeggeri, poi non attuato. Singolare il fatto che, a causa della mancanza di strade nella zona, fu ammesso lungo la ferrovia il transito dei pedoni e delle cavalcature. La linea, studiata dall’ingegner Baldassarre Marchi, aveva una lunghezza di 26 chilometri con curve di raggio comprese fra 233 e 612 metri, pendenze del 4 per mille con punte del 13 per mille nel tratto prossimo alle miniere. Per questo motivo si adottò una trazione mista: a gravità nel tratto di maggior pendenza, e con forza animale nel restante dove si pensò anche a un servizio passeggeri. Si gettarono quattro ponti sul torrente Milia, di cui la linea seguiva fedelmente la valle, si impiegarono 52 mila traverse in legno, 120 mila caviglie e chiavarde, 104 mila cuscinetti d’appoggio per un preventivo complessivo di quasi 4 milioni di lire dell’epoca e una concessione della durata di 100 anni. Un previsto prolungamento verso Massa Marittima rimase inattuato. Nel 1854 vi transitarono 7000 tonnellate di carbon fossile, estratte in durissime condizione di lavoro da circa 300 scavatori. Nel 1887 le miniere furono abbandonate per le frequenti infiltrazioni d’acqua; la ferrovia fu riconvertita al trasporto di legname fino al 1903, data in cui l’esercizio fu sospeso. Ripreso durante gli anni della prima guerra mondiale, durante un illusorio rilancio dell’attività mineraria, la linea sarà smantellata durante gli anni Venti.
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La Toscana che trovate in queste pagine non è esattamente quella della torre di Pisa o della cupola di Santa Maria del Fiore, ma è la Toscana dei cipressi e dei cinghiali, dei castagni e della macchia, delle crete e delle faggete appenniniche.
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