«Fummo costretti a camminare per vie anguste…»

Itinerario pedonale circolare nel comune di Cerignale, in Val Trebbia, provincia di Piacenza. 

Federico_Barbarossa
Federico Barbarossa

Questo itinerario, senza la pretesa di dare delle certezze, intende evocare il passaggio in Val Trebbia dell’imperatore Federico Barbarossa avvenuto nel 1167 in un momento di sua grande difficoltà, minacciato dalle truppe della Lega Lombarda mentre con la consorte e la sua corte stava facendo ritorno in Germania proveniente da Roma. La memoria di questa faticosa traversata non si è ancora cancellata in alcuni luoghi dell’Appennino fra Pontremoli e Pavia, ma è così tenue da impedire l’esatta ricostruzione dell’itinerario. Gli fu da guida Obizzo Malaspina, fedele feudatario. Un luogo, più di altri, ricorda la presenza dell’imperatore. Si tratta di Cariseto e del suo castello, abbarbicato su un contrafforte della dorsale dividente la Val Trebbia dalla Val d’Aveto. Arriveremo al castello partendo da Cerignale ripercorrendo le vecchie vie di comunicazione della montagna, probabilmente le stesse che si usavano anche nel lontano Medioevo.

Partenza e arrivo a Cerignale (44°40’43.68”N – 9°21’06.48”E), raggiungibile da Piacenza (68 km) percorrendo la strada statale 45 della Val Trebbia. Superato il ponte del Lenzino e poco prima di Ponte Organasco si stacca dalla statale la diramazione di 4.3 km per Cerignale (provinciale 171). Lunghezza: 13.7 km Dislivello: 766 metri – Tempo di percorrenza: 5 ore e 30 minuti. – Condizioni del percorso: sentieri, strade forestali sterrate. – Periodo consigliato: dalla primavera all’autunno.- Segnavia: da Cerignale alla pozza sotto il M. delle Tane non segnalato (ma ex-sentiero FIE 67 per M. Dego); quindi con segnavia 177 bianco/rosso fino al bivio con il sentiero 133; quindi con segnavia 133 fino a Cariseto; quindi con segnavia 135 nel tratto di ritorno a Cerignale. Dove mangiare e dormire: a Cerignale, Albergo ristorante Del Pino, tel. 0523.939215, www.hotelalbergodelpino.it – B&B Lo sguardo sul ponte, Località Poggiolo, 1, Bobbio, 0523.933371, silviapecora.wix.com/losguardosulponte – Indirizzi utili: Comune di Cerignale, tel. 0523.939210, www.comune.cerignale.pc.it – Cartografia: CTR Emilia Romagna (1:10.000), sezioni 197090 – 197130. Per saperne di più: Momigliano E., Federico Barbarossa, Milano, 1953; Morena (Ottone e Acerbo) e Anonimo, La storia di Federico I, in Cronache medievali, a cura di A. Cutolo, Milano, 1943; C. Artocchini, Cariseto in Val d’Aveto e il suo castello, in Bollettino Storico Piacentino, n.4, Piacenza 1954

Cergnale.mapItinerario pubblicato su: A.Marcarini, M.L.Pagliani (a cura di -), Route 45: Val Trebbia, Diabasis, Reggio Emilia 2009. © 2016 Albano Marcarini.

Si parte da Cerignale (alt. 715, 1), dopo un caffè all’unico bar-albergo-ristorante dell’abitato. Prima dell’Unità nazionale questo villaggio era luogo di frontiera e vi sorgeva l’edificio della dogana del Re di Sardegna. Il fondovalle dell’Aveto faceva da confine fra lo Stato Sardo e il Ducato di Parma e Piacenza. Ci si porta dinanzi al municipio, in cima alla via principale, si piega a sinistra e si cerca il primo segnavia bianco/rosso che accompagnerà gran parte della nostra escursione. Dopo un sottoportico, si passano le altre case del paese e si esce per una viuzza selciata che, fra le ortaglie, porta al vecchio mulino. Non a caso la zona si chiama Piano dei Mulini ed è solcata da vari rivi oltre a essere luogo di sorgenti perenni. Si lascia il mulino sulla destra e si continua praticando uno stradello sempre più incerto, segnato da due esili strisce di terra battuta.  Dopo una rampa in salita si accede e si attraversa la strada rotabile (alt. 770; quella che collega Cerignale a Cariseto) per riprendere il cammino su un’altra rampa di pietre smosse. Attenzione però, dopo pochi passi vi consiglio di lasciare la via segnata e piegare a destra lungo un sentiero, pure in salita, ma meno frequentato. Fa la stessa funzione, cioè di arrivare sotto il Monte delle Tane, ma lo fa in modo più gradevole e solitario. L’altra via corre su una pista gippabile, sempre esposta al sole e decisamente più noiosa. Saprete di essere sulla via giusta passando alcuni pini e due grossi castagni dal tronco rinsecchito. Questi alberi, un po’ sinistri, sono in realtà una manna per molte specie di uccelli che cercano cavità per costruire il loro nido, come le cince o i rampichini. Inoltre questi tronchi una volta abbattuti e marcescenti diventano una vera miniera organica che consente la vita a migliaia di funghi, muschi, invertebrati. Per gli amanti di sentieristica questo era, in origine, il sentiero 67 della FIE (Federazione Italiana Escursionismo), diretto al M. Dego, poi sostituito dal segnavia CAI 179 che segue l’altra direzione. Segue il Fosso della Ravascella fino alle sue sorgenti, sul pianoro sottostante il Monte delle Tane.

Rocce a Cariseto copia
Paesaggio della Val Trebbia a Cariseto

Tutta la zona fa parte di un SIC, abbreviazione che significa ‘zona di interesse comunitario’ per il suo valore naturalistico. Si passa una prima volta a guado il fosso e con un tornante si guadagna quota in un bel bosco dove i castagni man mano che si sale cedono ai faggi. Vicino all’impluvio ecco invece gli ontani. Più in alto, un tratto di pendice scoperta, sulla sinistra, lascia intuire la natura del suolo, composta da argille scagliose, molto friabili. Ma neppure mancano, come vedremo più avanti, estesi affioramenti di ofioliti. Dopo una buona ora di cammino si guadagna una vasta radura, situata sotto la scabra parete del M. delle Tane. Qui si riconoscerà una vasta pozza d’acqua (alt. 1053, 2) circondata da prati umidi che sono l’habitat prediletto di alcune specie di orchidee. Sarà però molto difficile riconoscere l’Elleborine piacentina (Epipactis placentina), orchidea endemica di queste valli, talmente rara da essere stata riconosciuta in sole altre due stazioni oltre a quella del Monte delle Tane. In passato la zona doveva essere molto più boscata come ricorda il toponimo locale Selvarezza. La forma arcuata di questo altopiano e la sua esposizione a nord rende probabile la sua lontana origine glaciale – si tratta di fenomeni molto rari in questa parte dell’Appennino – forse un piccolo ghiacciaio o, più presumibilmente un nevaio di età quaternaria. Al margine occidentale della radura ci sono i resti, forse di una fornace di epoca romana.

Epipactis.orchidea
Epipactis

Se vogliamo prenderci un momento di respiro possiamo farlo introducendo la vicenda storica che accompagna questo itinerario. Occorre riandare indietro nel tempo, fino al 1167. Negli anni appena precedenti Federico Barbarossa aveva già più volte tentato di piegare il potere spirituale della Chiesa di Roma e di unire nelle sue sole mani il diritto di essere imperatore e principe della cristianità.  Nell’estate del 1167 egli era riuscito a insediare sul soglio di S. Pietro l’antipapa Pasquale III. L’operazione era culminata a Roma con la sua seconda incoronazione. Sembrava dunque sul punto di trionfare, con il vero papa Alessandro III, suo tenace oppositore, umiliato e profugo a Benevento. All’improvviso però un epidemia – interpretata subito come presagio di sventura – si abbattè sul suo seguito. Si disse che il castigo divino fosse finalmente caduto sull’imperatore, nemico delle libertà comunali.  Era necessario ripiegare in patria abbandonando l’altro ambizioso progetto di contrastare i Normanni in Italia meridionale. Risale dunque la penisola, giunto però a Malnido, presso Villafranca in Lunigiana, viene avvertito che la via di Montebardone – la principale e più agevole direttrice per le comunicazioni fra il nord e il centro d’Italia, utilizzata da mercanti e pellegrini – risultava presidiata dalle truppe della Lega dei comuni lombardi, frattanto costituita a Pontida il 7 aprile 1167, a difesa dei diritti municipali. La situazione sembra precipitare, ma come in tutti i thriller che si rispettano posticipiamo l’epilogo della vicenda e rimettiamoci in cammino, di nuovo, ora, con il segnavia Cai 179. Manca ancora un tratto di salita per raggiungere quell’insellatura che si nota fra la vetta del Monte delle Tane a sinistra e il Monte Bellocchio a destra. Il sentiero lo affronta a balzi, transitando accanto a un altro pianoro occupato da una bella distesa di eriofori. In primavera qui spuntano decine e decine di orchidee. Alla fine della stagione invece, e fino a tutto agosto, è il momento del botton d’oro, dai brillanti fiori gialli a batuffolo. Il bosco frattanto si rinforza e con poca altra fatica si arriva sulla linea di crinale incontrando i pini neri, qui e altrove lungamente usati per il rimboschimento. La visuale traguarda ora la cuspide di M. Alfeo, sul versante sinistro della Val Trebbia.

Alla congiunzione dei sentieri (alt. 1124, 3) si piega a sinistra, seguendo la linea di cresta che s’innalza verso il Monte delle Tane. Non si raggiunge però la vetta, a 1197 metri, la si contorna poco più in basso sul suo versante di sud-ovest divallando poi, sul versante della Val d’Aveto a quota 1168 e continuando sempre vicino alla dorsale. Ora l’itinerario si fa altamente panoramico con scorci alterni sulla Val Trebbia (a destra) e sulla Val d’Aveto (a sinistra), ma si scorgono anche i rilievi che stanno oltre queste vallate, le loro forme arrotondate o abrupte a seconda della loro struttura litologica. Si nota soprattutto come la Val d’Aveto sia profondamente scavata con versanti ripidi fino a una certa altezza e poi, segno probabile di un’antica ‘pausa’ nei processi erosivi, con più distesi penepiani, o ‘paleosuperfici’, il più importante del quale è giusto quello di Cariseto, che sarà fra poco la nostra meta. Raggiunta infatti la quota 1077 (erroneamente indicata 977 sulle vecchie ‘tavolette Igm’), corrispondente al passo di Cariseto, s’incontra la vecchia mulattiera trasversale di collegamento fra Cariseto stessa e Ottone (oggi sentiero Cai 133). Seguendola verso sinistra e, a questo punto, abbandonando il crinale, si scende verso l’abitato raccordandoci però prima con la rotabile asfaltata.

Castello di Cariseto
Il castello di Cariseto.

Le case di Cariseto, frazione di Cerignale (alt. 982, 4), si radunano sotto la rupe del castello. I ruderi di questa importante fortificazione malaspiniana sono stati di recente restaurati ed è possibile, con poca fatica, salire per avvicinarli passando fra le viuzze del villaggio. Alcuni pannelli raccontano le vicende del maniero che si possono sintetizzare così: 1052, prime notizie del castello concesso da Enrico III al monastero di Mezzano; 1164, concessione del feudo di Cariseto a Obizzo Malaspina da parte di Federico Barbarossa; in seguito tentativi di conquista del castello da parte di vari potentati, fra cui il Comune di Piacenza, di nuovo il monastero di Mezzano e alcuni piccoli feudatari di Val d’Aveto; 1266, dopo la divisione della famiglia Malaspina, Cariseto passa al ramo di Mulazzo; 1540, vendita del castello a Gian Luigi Fieschi per la somma di 9633 scudi d’oro; 1547, rovina del castello sotto i colpi di bombarda dei genovesi, guidati dai Doria.

A questo punto, appollaiati sulle murature del castello, possiamo riprendere la narrazione delle vicende del Barbarossa. Frattanto avete saputo che questo castello, assieme ad altri territori delle valli Trebbia, Staffora e Taro, erano stati concessi in feudo dal Barbarossa a Obizzo Malaspina «pro suo magnifico et preclaro servitio…». L’imperatore svevo era inflessibile e duro con i nemici, così come era generoso e riconoscente con i suoi servitori. Il Malaspina era uno di questi ultimi e contava, con questa benevola concessione, di affermare un vero e proprio staterello in un territorio montano e difficile che andava dal margine della piana tortonese alla Lunigiana toscana. L’infeodazione era avvenuta tre anni prima che il Barbarossa si trovasse in grande affanno sulla via di Montebardone (oggi della Cisa), chiuso in una ‘sacca’, minacciato dalle truppe lombarde. E fu proprio il riconoscente Malaspina, a quel punto, a trarlo in salvo. Gli propose seduta stante un cammino alternativo, su per i monti dell’Appennino e per le valli traverse del Taro, del Ceno, dell’Aveto, del Trebbia per riparare infine nella fidata Pavia aggirando le insidie nemiche. Ma lo avvertì pure che la via sarebbe stata malagevole,  con pochi rifornimenti e nessun agio salvo il fatto di restare sempre in terre proprie, dentro il grande feudo di famiglia. Il Barbarossa, avvezzo alle fatiche, vide di buon grado l’idea temendo tuttavia per la regina, Beatrice di Borgogna, meno abituata a così forti disagi. E il viaggio fu duro, durissimo. Lo stesso imperatore, colpito dallo stato selvaggio dei luoghi, chiese più volte al Malaspina di cosa vivesse la gente in simili posti ricevendo sempre la stessa risposta: «… togliendo agli altri, Sire». Alla fine – il 12 settembre 1167 – riuscì con i pochi soldati rimasti e con il resto della corte a riparare a Pavia, ma le traversie sopportate in quel viaggio rimasero scolpite nella sua mente. Anni dopo, nel 1185, inviando un monito ai Cremonesi addossò loro le cause, poiché essi avevano chiuso la via di Montebardone: «Noi fummo costretti di camminare per vie anguste e tortuose con grande pericolo della nostra persona, di un così grande esercito, di nostra moglie, dei nostri figli… per cui perdono a tutti, ma non a voi perfidi Cremonesi». Riguardo al cammino seguito da quella sfinita comitiva, gli storici hanno avanzato supposizioni, ma si sa che in almeno due castelli l’imperatore fu ospitato: uno fu Oramala, sopra Varzi; l’altro, giustappunto, Cariseto.

Ora non ci resta che ritornare a Cerignale seguendo una mulattiera lungo la costa del versante. Si tratta del vecchio collegamento pedonale fra Confiente, nel fondovalle del Trebbia, e i villaggi del versante sinistro della valle dell’Aveto. È indicato dal segnavia Cai 135 e prende avvio poche decine di metri dopo aver lasciato il villaggio dalla parte della rotabile per Cerignale: un viottolo, a destra, scende per i campi. Sono gli esili lembi coltivati un tempo dagli abitanti di Cariseto; la via è ancora bordata da muretti che designano le estremità dei coltivi. Si aggira dall’alto il Canale dei Ghiacci, un brusco e aspro vallone che precipita nel letto dell’Aveto. Gli anziani di Cariseto narrano di una galleria sotterranea che dal castello avrebbe raggiunto il Canale dei Ghiacci e lungo il quale si sarebbe messa in salvo la guarnigione assediata dalle truppe genovesi dei Doria nel 1547. Si attraversa un pendio brullo, instabile, disseminato di massi e di alberi divelti dalle frane. L’ombra di alcuni pini neri conclude questo tratto, poco invitante. Il sentiero scorre per buon tratto una cinquantina di metri sotto la carrozzabile poi, dopo un bivio (il cui ramo di sinistra porta in breve alla strada stessa), perde rapidamente di quota per raggiungere, fra i castagni, l’isolatissimo villaggio di Casale (alt. 623, 5). A questo punto si possono suggerire due soluzioni per raggiungere Cerignale: o il più diretto, ma faticoso, sentiero 135/A che sale alla rotabile, a 907 metri d’altezza, e poi scende al capoluogo passando per il campeggio de Le Piane; o la più tranquilla, ma più lunga, stradina d’accesso a Casale che contorna la vetta di M. Cerello, con splendide vedute sui meandri del Trebbia, e arriva a Cerignale da nord. La cosa da ricordare è non seguire oltre il segnavia 135 che, a questo punto, da Casale scende al Trebbia.

garmin-basecamp-86La traccia GPS e altri contenuti sono disponibili su GARMIN ADVENTURES all’indirizzo: http://adventures.garmin.com/it-IT/by/marcarini/barbarossa-in-val-trebbia-by-www-guidedautore-it/#.VpD1AIQ_m8s

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Albano Marcarini, Sentieri nel tempo, Federico Motta Editore, 2005, pag. 192, con foto di Luca Merisio. Formato: 26 x 28 cm – 18,00 € – Acquista su www.guidedautore.it

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