Passeggiata a piedi con partenza dalla stazione Fs di Alassio (linea Genova – Ventimiglia) e arrivo alla stazione Fs di Albenga.
Karl Gottlob Schelle nella sua deliziosa operetta L’arte di andare a passeggio, scrisse : «Per le nostre abituali passeggiate all’aperto, non è indispensabile una natura maestosa». Anzi essa potrebbe essere di danno perché «reclama un’attività dello spirito eccessiva, rispetto a ciò cui siamo soliti sostentarci». Insomma, abituati come siamo a convivere nella quotidianità cittadina, un tuffo improvviso fra valli e monti selvaggi potrebbe essere traumatico, soprattutto se il nostro animo è particolarmente sensibile. Meglio affrontare le cose per gradi e permetterci sì una bella escursione, ma non troppo lontana dalla civiltà, e anche non troppo faticosa.
Le riviere liguri fanno al nostro scopo perché fra un capo e l’altro, fra un litorale e l’altro, si ranicchiano ospitali località di soggiorno, punti di partenza e di arrivo di facili passeggiate che, a rigore, non richiedono neppure la pesante attrezzatura dell’escursionista di mestiere. Sono insomma una piacevole alternativa che unisce a una modesta prestazione fisica (un paio d’ore al massimo di camminata) il gusto della “flânerie”, cioè l’andare a zonzo sui lungomare fioriti fino a cedere alla tentazione di un tavolino per un caffé o di un prelibato menu ligure.
Da Alassio a Albenga, ecco un’idea per queste mini crociere di terra. Un breve itinerario lungo un’antica strada romana – la Via Julia Augusta – fra gli ambienti storici delle cittadine liguri e il paesaggio di terrazzi d’ulivi, di ombrose pinete, di boschi e di macchia, ma anche di mare che di tutto quanto fa da grande cornice. Si scivola quieti fra un luogo e l’altro, più che camminare. Si va su sentieri o, più spesso, su stradelle – o «creuse» come le chiamano qui – che cominciano dove finiscono i lunghi arenili. Il treno della costa che, ricorda Carducci, «Di lido in lido / Come di turbine / Manda il suo grido», assicura collegamenti comodi e frequenti con Genova, Torino e Milano. Perché non approfittarne?


Da Alassio ad Albenga sulla strada romana
Passeggiata a piedi con partenza dalla stazione Fs di Alassio (linea Genova – Ventimiglia) e arrivo alla stazione Fs di Albenga. Si sviluppa sulle prime alture della costa, su strade secondarie e sentieri. Non richiede equipaggiamento particolare, bastano un paio di scarpe robuste.
•Lunghezza: 8 chilometri. •Tempo di percorrenza: 2 ore e 15 minuti, più il tempo necessario per la visita di Albenga.•Dislivello: 150 metri. •Condizioni del percorso: strade sterrate o comunali asfaltate, senza traffico. •Periodo consigliato: tutto l’anno.•Dove mangiare. Lungo il percorso non si incontrano punti di ristoro, ma la brevità della passeggiata fa sì che bastino un panino o un po’ di frutta. Scorta d’acqua. •Orari di visita. Il Museo Ingauno di Albenga ha sede nel Palazzo Vecchio del Comune. Nella sala dei Consoli, al piano terreno della trecentesca torre comunale, sono esposte le testimonianze dell’antica Albingaunum romana e bizantina: è aperto dalle 10 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18, chiuso il lunedì.•Indirizzi utili. Ufficio turistico di Alassio, Via Mazzini 68, tel. 0182.647027.•Per saperne di più. N. Lamboglia, Albenga romana e medievale, Stalla, Albenga 1992 (reperibile presso il Museo Ingauno a Albenga).
Alassio e Albenga sono separate da un tratto di scogliera che prospetta sul mare e sulla vicina Isola Gallinaria. La Via Aurelia corre quasi all’altezza del mare, mentre l’originaria strada consolare romana, utilizzata fino all’inizio dell’Ottocento, si snoda poco più in alto. La si può seguire fedelmente, benché la pavimentazione originaria sia ormai perduta (ne resta un solo tratto di poche decine di metri). Si possono però osservare i notevoli reperti di tombe, edifici e altri monumenti che varie campagne archeologiche hanno riesumato lungo o nei pressi della strada.
1. Si prende avvio dalla stazione Fs di Alassio (alt. 6) scendendo verso il centro storico, con le sue strette vie allineate parallelamente alla reputata spiaggia e al mare. Seppur simpatica e allegra, la cittadina non conserva monumenti ragguardevoli. Si può tranquillamente, data un’occhiata al celebre “Muretto” costellato dagli autografi dei Vip di mezzo mondo, percorrere il ‘budello’, ovvero la centrale Via XX Settembre, dove fra le insegne dei negozi spuntano bei prospetti edilizi cinque-seicenteschi, oppure scegliere la spiaggia. La direzione è quella di levante, verso Borgo Coscia, ma potete prima permettervi una sosta alla pasticceria Sanlorenzo, alla fine di Via Torino, per la degustazione dei celebri Baci di Alassio e che ricordare che la cittadina e i dintorni sono il teatro delle indagini poliziesche del Commissario Rebaudengo, protagonista dei gialli di Cristina Fava.
Si narra che Alassio prenda il nome da Adelasia, figlia dell’imperatore Ottone I. Siamo nell’XI secolo. La leggenda parla di un amore sofferto, della fuga di Adelasia e dello scudiero Aleramo dalla Germania ai monti dell’entroterra ligure. Dopo un lungo periodo di stenti, Aleramo riscattò la sua colpa combattendo da valoroso nell’esercito imperiale. Ottone commosso e impietosito si riconciliò con i due e investì Aleramo della Marca Aleramica i cui confini vennero stabiliti sul percorso fatto da un cavaliere nell’arco di tre giorni. Versata nelle attività marinare, attiva nella pesca del tonno e del corallo, Alassio raggiunse l’età contemporanea pronta a sfruttare la sua indiscussa vocazione turistica. Furono gli inglesi a farne pacifica colonia di villeggiatura al punto da creare una sorta di comunità parallela con le sue chiese, la sua biblioteca (tutt’oggi seconda per importanza nel continente), i clubs, i centri di svago e sport.

Un tozzo torrione difensivo divide il centro storico da Borgo Coscia. Procedendo lungomare sulla Passeggiata Cadorna si inquadra l’ormai prossimo Capo Santa Croce, che dovremo superare dall’alto rinvenendo l’antica strada romana. L’itinerario si sposta pertanto verso l’interno: giunti all’altezza di Via Piave si piega a sinistra, si attraversano la Via Aurelia e la ferrovia e si imbocca, verso sinistra, Via Sant’Erasmo. Dopo il primo breve tratto di salita si piega repentinamente a destra sul viottolo che un cartello segnaletico riconosce come “Strada Romana di Santa Croce”. L’asfalto e le moderne ville che fiancheggiano la via non fanno sperare in un rapido ritorno al passato. La ripida erta ci proietta in quota: per prender fiato basta girarsi e godere un attimo del lungo profilo di Alassio, distesa a custodia del suo golfo.
2. L’apparente omogeneità del caseggiato, a una visione più attenta, si spezza in tante sue parti, differenti per età e per stile. A parte le poco consone costruzioni recenti, è ancora possibile intuire la compattezza del nucleo storico di Alassio, un tempo murato; ma anche i giardini e le ville del periodo ‘inglese’, nonché i residui terrazzi, coltivati a uliveto. Poco più in alto, sulle colline, stanno i nuclei più antichi come Castello, Moglio, Solva, mentre dei boschi che in passato hanno alimentato i cantieri navali alassini non restano che briciole, disperse sulle pendici del Monte Tirasso.
In breve si giunge a Santa Croce (alt. 105). Un piacevole parco e un belvedere circondano la chiesuola omonima e invitano alla sosta. Inoltre potrà consolarvi la notizia che non incontrerete altre salite, salvo una facoltativa diramazione alle porte di Albenga.

3. Prima di parlare della chiesa di Santa Croce è bene rammentare l’Isola Gallinaria, a cui fu legata, che si scorge bene dal belvedere. Citata da Varrone come nido di galline selvatiche, vi si stabilì la più antica sede monastica della Liguria sul ricordo dell’eremo del vescovo Martino di Tours. Ai primi monaci, forse di culto orientale, già insediati nel VI sec., seguirono i Benedettini che, come loro consuetudine, accrebbero beni e possessi, estesi alla Provenza e in Catalogna. Luci e poi ombre, poiché già nel Trecento ebbe inizio la decadenza; nel 1842 il monastero fu ceduto a privati. La chiesuola di Santa Croce fu fondata nell’XI sec. Conserva di quel periodo l’abside e i fianchi con doppi archetti e sottili lesene. Il portico è un’aggiunta posteriore ma indicativa delle funzioni di ricovero della chiesa, ad ausilio dei viandanti, e di presidio colonico nell’opera benedettina di rinascita agricola dell’entroterra costiero.
Un arco in pietra, accanto alla chiesa, invita a proseguire il cammino. La stradina, ancora asfaltata, ma priva di traffico, segue la scogliera, un centinaio di metri sopra la linea di costa. A seconda della stagione l’appassionato botanico potrà divertirsi a enumerare infinite specie: la Barba di Giove, dalle foglioline argentate e dai fiori di un giallo vivo che si aggrappa ai muri; l’euforbia, presente già a gennaio, con le foglie lunghe e strette e i fiori dai larghi petali gialli; ma anche pianticelle comunissime come la salsapariglia, la ginestra spinosa, la malva, il finocchio marino e le specie di macchia, fra cui diffusissimo il mirto.
A un tratto si affianca la chiesuola di Sant’Anna ai Monti (alt 90), pure dipendenza della Gallinaria, con annesso un piccolo romitorio (all’interno, non visitabile, notevoli affreschi della fine del XV sec.). Più avanti la strada si divide: si segue il braccio di destra (Via Julia Augusta) che ci conferma la vetustà del percorso. Finalmente si lascia l’asfalto per lo sterrato. In lontananza si configura la piana di Albenga, disseminata di serre e vivai. Il cammino si fa più solitario, aggirando poggi con ulivi e qualche improvvida recinzione. A un’altra biforcazione si imbocca la traccia di sinistra (vicino c’è uno stinto cartello che indica la strada romana) e si giunge al cospetto di un brano originario di selciato antico.
4. La Via Julia Augusta è intitolata all’imperatore Augusto a cui va dato il merito di aver consolidato la presenza romana nei territori cisalpini. Realizzata nell’anno 13-12 a.C., questa strada, partendo da Piacenza, seguiva il vecchio tracciato della Postumia e della Aemilia Scauri fino a Vada Sabatia, l’odierna Vado Ligure, e da lì proseguiva lungo costa fino al Varo e ad «Arelate» (Arles), dove si congiungeva con la Via Domitia per la Spagna.

Il piano viabile, largo poco meno di tre metri, è formato da pietre grossolanamente poligonali ed è delimitato da due cordoli (“margines”), pure in pietre rilevate. Quattro canalette, in pietre lunghe, servivano a scolare le acque. Oltre a questo, altri manufatti della via, soprattutto ponti, sono ancora visibili alla periferia nord di Albenga (il “Ponte lungo”) e nell’entroterra di Finale Ligure, nella Val Ponci.
Ma le memorie dell’antichità romana non finiscono qui, anzi s’infittiscono. Prima però si giunge dinanzi a due archi che scavalcano il Rio Colombera, linea di confine fra i comuni di Alassio e di Albenga, stabilito da Napoleone nel 1812 dopo che sulla sua definizione si erano consumate infinite liti e violenti scontri. Apprezzato un brano superstite dell’antica pavimentazione stradale si giunge nel sito della necropoli di Albenga. Si osservano soprattutto, a fianco della strada, apparati murari e resti di tombe monumentali, realizzati con la tecnica dell’”opus certum”, vale a dire con quadrelli di arenaria in qualche punto intercalati da corsi di pietre a losanga (“opus reticulatum”). Sono indicati da pannelli e classificati come ‘edifici’ distinti da una lettera dell’alfabeto. Nel complesso si tratta dei resti di sette recinti funerari, posti a breve distanza l’uno dall’altro, e di un colombario, databili tra il l° e il Il° secolo d.C.
Il più imponente è quello indicato con la lettera F, radente la strada. Si tratta di una tomba famillare della fine del I sec. d.C., formata da un semplice recinto a pianta rettangolare di m 9,30 per 7,40 (31 piedi romani per 25), al cui interno, sulla superficie scoscesa della collina, oggi spianata, erano ricavate le sepolture. Il rito funebre prevedeva, dopo la cremazione, che avveniva in un apposito spazio detto “ustrinum”, le cerimonie in onore del defunto con un banchetto consumato nei pressi della tomba. Le ceneri del defunto erano deposte in urne, collocate insieme al corredo funerario, all’interno dei loculi. Questi ultimi erano chiusi da lastre di pietra che reggevano cippi recanti i nomi dei defunti.
Alla fine strada arriva al cospetto di Albenga con la bella vista delle sue torri medievalei. Prima di scendere in città, una breve deviazione a destra per la strada privata del ristorante Punta San Martino porta in 10 minuti a osservare il Pilone, monumento funerario del II secolo d.C., integrato nel 1892, e i resti dell’anfiteatro della romana Albingaunum (Albenga). Su questo poggio, vicino alla chiesa di S. Martino si sviluppò il primitivo insediamento ligure di Albium Ingaunum.
La passeggiata potrebbe chiudersi qui, ma avendo tempo (magari nell’attesa del treno di ritorno) è piacevole attardarsi nel centro storico di Albenga, fra i più interessanti del Ponente ligure.

5. Si potrebbe visitare Albenga in superficie e in profondità, intesa nel senso proprio della parola, e scoprire la durevole impronta del suo tessuto urbano. «Il sottosuolo di Albenga vecchia – ha scritto lo studioso Nino Lamboglia – è pure un monumento e un palinsesto di età sovrapposte». Alla maglia ortogonale della città romana (II sec. a.C.) si è integrata in modo quasi calligrafico la città medievale, alle mura antiche si sono sostituite mura cinquecentesche senza che il loro perimetro si ampliasse, mentre le sedi del potere religioso e civile (a fianco della Cattedrale sta il Battistero romanico, ma stanno anche le torri civiche medievali) sono cresciute su se stesse senza quei turbamenti stilistici che attraversano velocemente i secoli.
Ma non si tratta di una forma di entropia urbanistica, al contrario è la dimostrazione della saldezza di una comunità afflitta da avversità naturali. Nel Medioevo la deviazione del corso del fiume Centa da oriente a occidente (è il torrente che si attraversa sul ponte moderno, prima di entrare nel centro storico) cagiona impensabili danni: le alluvioni invadono la cittadina, da cui il motivo delle molteplici stratificazioni edilizie, mentre il mare si allontana di quasi un chilometro privando Albenga di un porto. Eppure è proprio in questa fase che la supremazia della città, libero Comune, si estende a tutto il Ponente ligure osteggiando le mire espansionistiche di Genova e dei potentati feudali dell’entroterra. Gran parte del centro storico riflette ancora l’immagine della città turrita, degli alti edifici dalla grezza struttura in pietra o in laterizio, collocando il visitatore in un’atmosfera rarefatta.
Piazza S.Michele e la viuzza fra il Battistero e la Cattedrale sono il cuore monumentale della città e limiteremo a ciò la nostra descrizione. Innanzitutto volgendo lo sguardo alle tre alte torri che rivaleggiano fra loro in possanza e altezza: la Torre del Municipio, più rozza e apparentemente più antica, ma la trifora sul lato nord la apparenta con il vicino edificio, della seconda metà del XIII sec.; la Torre Comunale, col Campanone e l’orologio, che rivela nel duplice gusto delle aperture tonde e ogivali la transizione fra romanico e gotico (le si accosta il Palazzo Vecchio del Comune, sede del Museo Ingauno); infine, il campanile della Cattedrale, risalente al 1395, dalla base romanica, coeva alla chiesa, e l’alzato in laterizio con sei piani di bifore e trifore inghirlandate a festa dalle cornici di archetti pensili e dalla cuspide in maiolica.
La vicenda della Cattedrale è complessa per le sostituzioni e le sovrapposizioni che si sono operate nel tempo: originaria basilica paleocristiana (fine IV – inizio V sec.); riduzione del sec. VIII a unica navata; ricostruzione romanica del sec. XI che la riporta al perimetro originario a tre navate; sopraelevazione e ampliamento del XIII sec. e modifiche interne e della facciata fatte in periodi successivi. Si osservino in facciata i due archi murati ai lati del portale centrale: si riferiscono alle due navate laterali della chiesa del periodo romanico, alle sue dimensioni e, soprattutto, alla quota molto più bassa rispetto al basamento della chiesa attuale. Romaniche sono anche le sculture immorsate in facciata, fra il portale centrale e l’oculo, con figure umane in guisa di cariatidi. L’interno, dopo i restauri del 1967, è stato riportato all’aspetto medievale con la pavimentazione ribassata al livello di quel periodo.
A fianco della Cattedrale sta il battistero, rara opera assegnata al V sec., forse innalzata nella fase in cui il generale Costanzo III, marito di Galla Placidia, diede vita a un profondo rinnovamento della città romana con l’apertura del porto e la ricostruzione delle mura dopo le ondate barbare. L’edificio è di forma decagonale con un tamburo superiore ottagonale, pure ottagono è il perimetro interno. Due finestre sono chiuse da splendide transenne in arenaria a traforo con motivi naturalistici stilizzati di fattura longobarda (sec. VIII). All’interno si notano ai lati dell’ingresso due tombe: quella di destra con decori d’arte longobarda. Sopra una nicchia, è disposto un mosaico dai soggetti e dallo stile bizantino, della fine del V sec.: raffigura, nello sfondo stellato, il monogramma di Cristo attorniato da dodici colombe (gli Apostoli); in basso due agnelli si avvicinano alla croce.
Dal Battistero si può passare alla vicina Piazzetta dei leoni (per i tre leoni in pietra qui collocati nel 1608) e osservare l’abside della Cattedrale e la cortina di edifici civili, quasi tutti appartenuti alla potente famiglia Costa. Significativo dell’integrazione e della sovrapposizione edilizia locale è, ad esempio, il palazzetto di fronte all’abside, con fasi costruttive comprese fra il tardo-romanico (le basi) e il XIV secolo (le bifore e il paramento in laterizio). Da segnalare infine, sull’altro lato della piazza, il palazzo del Vescovado, costruzione del 1525, e a fianco del Battistero, il vecchio Palazzo vescovile, sede del Museo Diocesano che conserva opere d’arte di notevole interesse.
Alla fine si può raggiungere la stazione Fs percorrendo l’alberato viale Martiri della Libertà, indicativo, con le sue ville “bell’époque”, della prima fase di espansione della città, avvenuta in coincidenza con l’apertura della ferrovia nel 1872.
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