Facile escursione, consigliata da ERSAF (Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e Foreste) e da REGIONE LOMBARDIA, in bicicletta o in e-bike nel Pian di Spagna, nel lembo pianeggiante di territorio alla biforcazione della Valtellna e della Valchiavenna all’estremità superiore del Lago di Como. Tutta pianeggiante salvo due brevi salite al Sasso di Dascio e al Forte Lusardi, avvicina luoghi di interesse naturalistico, come la Riserva naturale del Pian di Spagna e Lago di Novate Mezzola, panoramici e storici, come l’imperdibile visita al Forte Lusardi, rara testimonianza di fortificazione bellica della Prima guerra mondiale. Adatta a tutti, l’escursione si completa con alcuni punti di ristoro, ben distribuiti a Colico, punto di partenza e di arrivo e a Dascio.
Itinerario ciclabile nel Piano di Spagna nelle provincie di Como, Lecco, Sondrio. Partenza e arrivo: Colico, raggiungibile in auto da Milano con la S.S.36 o in treno con la linea Milano-Lecco-Sondrio (servizio treno+bici).
Lunghezza: 25.6 km – Dislivello: 170 metri – Tempo di percorrenza (escluse le soste): 2 ore. – Condizioni del percorso: pista ciclabile sterrata, strade campestri sterrate, brevi tratti di strade comunali asfaltate. Asfalto: 39%.
Noleggio e-bike: Econoleggio Comolake, Via Montecchio Nord, Parco Cariboni, Colico, 347.0704434.Dove mangiare: Ristorante Pizzeria L’Ontano, Via Montecchio Nord 27, Colico, 0341.941782; Ristorante Da Lui, Via Dascio 11, Dascio, 328.7529003; Hotel Berlinghera, Via Dascio 25, Dascio, 0344.84037.Assistenza bici: For Bike, Via Nazionale Nord 47, Colico, 346.7434883.
1 – L’itinerario prende le mosse dalla stazione FS di Colico. Utilizzando il sottopasso ai binari si esce sul lato a lago. Seguendo la fronteggiante Via Costituzione si avvicinano le strutture turistiche spondali e per Via Montecchio, dopo il grande parcheggio sulla sinistra, si nota il portale che annuncia l’inizio del ‘Sentiero Valtellina’, il lungo itinerario ciclabile che conduce in 113 km a Bormio. Noi ne utilizzeremo solo una prima breve parte. Difatti dopo aver costeggiato la sponde con belle vedute panoramiche, il ‘sentiero’ si sposta sull’argine dell’Adda, nei pressi della foce del fiume nel lago. Si prosegue con perfetto rettifilo fra il fiume, a sinistra, e i ‘montecchi’ di Colico a destra.
2. Subito dopo il sottopasso con la strada statale 38 si lascia la ciclabile e si rimonta a gomito a destra sulla carreggiata stradale. Attenzione! Questo è un punto critico, dove occorre grande prudenza. Si consiglia di procedere a piedi, bici alla mano, sulla passerella accanto a ponte sull’Adda, oltre la quale, con prudenza, si deve attraversare la strada e portarsi, dopo il passaggio a livello, sulla strada che introduce (indicazioni) al Pian di Spagna. Ora si procederà con tutta tranquillità per strade campestri, a fondo naturale o sterrate. Per restare sul percorso basta seguire la segnaletica di colore ‘rosso’ con l’indicazione ‘Ponte del Passo’.
IL PIAN DI SPAGNA
Dove il lago si chiude si apre il Pian di Spagna, così chiamato per le truppe spagnole che vi ebbero stanza nei sec. XVII e XVIII. Alla fine dell’800 il suo aspetto era diverso. In epoca romana, il Lario si spingeva nella Valchiavenna (fors’anche nella Valtellina) e il lago di Mezzola – che si scopre sotto il Pizzo di Prata – ne è il residuo, separato dal bacino maggiore per l’espansione del delta dell’Adda. Fino al 1520 questo fiume sfociava a nord (nell’attuale lago di Mezzola) ma in quell’anno, a seguito di alluvioni si aprì una nuova strada verso il Lario. Non mancavano rami laterali, ora lasciati ora ripresi dalla forza delle acque, che ritagliavano isole paludose. Nel 1858, con l’inalveamento del ramo principale dell’Adda, si avviò il risanamento, iniziato con modesti risultati nel XVIII sec. Il Pian di Spagna ebbe importanza nelle vicende storiche della Lombardia. In antico, vi sorgeva il borgo di Olonio. Fino al 1797 vi passava il confine fra il Ducato di Milano e i Grigioni. Vi transitavano i traffici diretti allo Spluga e al Settimo. In un zona strategica non facevano difetto i fortilizi, fra cui il forte di Fuentes, da non confondere con l’altro forte che visiteremo alla fine dell’itinerario, costruito sul più orientale dei montecchi dall’omonimo governatore spagnolo fra il 1603 e il 1605, mai impiegato in guerre ma deterrente nel gioco politico fra Grigioni, Francia e Repubblica Veneta da una parte, Spagna e Austria dall’altra.
La Riserva naturale con il suo sfondo montuoso
Nella cartina storica, qui sotto. sono riportate alcune delle variazioni storiche nel Pian di Spagna. Con le linee rosse i principali percorsi: a) il ‘Camino di Valtelina’ o ‘Scalotta’ (tratto del nostro sentiero); b) la ‘Strada dei Cavalli’, che in Valtellina proseguiva con il nome di Via Valeriana; c) la ‘Strada Regina’; d) la ‘Via della Torre’, antica strada di collegamento fra la Valtellina e la Strada Regina attraverso il ponte del Passo. In colore rosso sono indicate le fortificazioni che, in varie epoche, vigilarono sul Pian di Spagna. In blu sono riportate le modifiche all’idrografia: I) la foce dell’Adda prima del 1520; II) la foce fra il 1520 e il 1858; III) l’attuale foce che deriva dalla bonifica di fine XIX sec. Nel 1885 fu aperta la ferrovia da Colico a Sondrio, l’anno successivo quella per Chiavenna, mentre il collegamento con Lecco entrò in esercizio solo nel 1894.
3. Giunti alle case di Ponte del Passo (Via Fabbrichetta) si giunge alla rotatoria stradale della strada statale 340dir: qui con prudenza, si deve, tenendo a sinistra, senza impegnare la rotatoria, seguire la passerella ciclabile che, dopo pochi metri, attraversa il fiume Mera, qui ormai giunto alla fine del suo corso sfociando nel Lago di Como. Attenzione! Dopo il ponte occorre attraversare, con estrema prudenza, la statale per imboccare sul lato opposto della carreggiata la Via Locofontana (indicazioni ‘Dascio’-’S.Fedelino’). Ora si percorre la sponda destra del Mera. Si ponga attenzione, dopo circa 250 metri, all’edicola sacra, risalente al 1714, che sorge sulla sinistra della strada, sotto le falde della montagna; contiene affreschi molto antichi, fra cui una Crocifissione e Anime Purganti.
Avifauna della Riserva naturale
4. Sempre costeggiando il fiume si giunge a Dascio: qui, giunti all’altezza della chiesa di S.Biagio, si piega a sinistra (indicazioni Via Bruga – ’S.Fedelino’) per salire, in circa 500 metri, al Belvedere del Sasso di Dascio. La strada è nell’ultimo tratto selciata e piuttosto ripida (si può anche procedere bici alla mano). Il Belvedere, con una cappellina, offre uno splendido punto di vista sul canneto del Pian di Spagna, sui due laghi di Novate Mezzola (a sin.) e di Dascio (a dx.), sul Monte Legnone, sul Pizzo Ligoncio e sul Pizzo di Prata. Con un buon binocolo si possono individuare i cervi che popolano la sottostante riserva.
LA RISERVA NATURALE DEL PIAN DI SPAGNA E DEL LAGO DI MEZZOLA
La sua eccezionalità sta nel fatto di essere una delle poche zone umide d’importanza internazionale racchiusa in un paesaggio alpino. Nella piatta morfologia della zona si intravedono ancora i letti fossili dell’Adda e dei canali, mentre sulle sponde del lago, dove non è mai giunta la bonifica si estendono ampi canneti (Phragmites australis) che sono ottimo rifugio di molti nidificanti come la cannaiola, il migliarino di palude, il cigno reale, la folaga. Il cigno è una presenza nobile perchè qui si trova al suo confine meridionale di nidificazione in Europa occidentale e le coppie presenti si possono sovente scorgere proprio lungo il Canale del Mera o nel piccolo laghetto di Dascio che segue quello di Mezzola. Da questa altezza gli animali sono puntini sulla superficie del lago. Ragion per cui ho preferito con un paio di acquarelli darti un’idea più precisa di almeno due dei più familiari abitanti della riserva. La cannaiola (Acrocephalus scirpaceus), nel disegno accanto, arriva ogni anno dall’Africa, imbocca il corridoio del lago, e plana nell’ambiente a lei più adatto, il canneto appunto. Difficile scorgerla per via del mimetismo e delle piccole dimensioni (più o meno una dozzina di centimetri): se ne ode però il canto continuo, ininterrotto durante tutta la giornata. Appartiene al genere dall’impegnativo nome di acrocefali, derivato loro dall’abitudine di appollaiarsi sulle canne verticali tenendo l’asse del corpo parallelo al fusto e con la testa spinta in alto. Fra le presenze invernali, stupisce per l’alto numero di esemplari la moretta (Aythya fuligula), specie di anatra tuffatrice che sosta in prossimità delle rive, vicino ai bassi fondali dove è più consistente la riserva alimentare. Il maschio, nel disegno qui a fianco, spicca per il colore bianco-nero del piumaggio e in volo si distingue bene per la banda bianca sulle ali, mentre la femmina tende al colore bruno. Si immergono completamente nell’acqua e vi nuotano a lungo differenziandosi così dalle normali anatre. Si sono adattate a questo scopo: rispetto alle cugine la loro sagoma è più massiccia, per cui la linea di galleggiamento è più bassa, la palmatura delle zampe più estesa e rinforzata per consentire una migliore propulsione subacquea. Va di contro la fatica nell’alzarsi in volo che comporta lunghe rincorse sul pelo dell’acqua e un faticoso decollo con velocissimi battiti delle ali. La riserva ospita questa e altre decine di specie animali, più o meno rare, più o meno protette. Un lontano ricordo però di quando, ancora nella seconda metà dell’Ottocento, si segnalavano «…le lontre che scorrono in gran copia i fiumi ed i laghi. Inoltre sebbene rari, trovansi nel Chiavennasco l’avoltojo barbato (Vultur barbatus) ed uno di nido ne fu preso vivo in val Codera nel 1832, e lo smeriglio dei falconieri (Falco aesalo). Gli uccelli passeggeri di qualche conto sono il pellicano, di cui tre furono presi sul lago di Mezzola nel 1830, l’ottarda maggiore (Otis tarda), il garrulo di Boemia (Ampellis garrulus) e il pivier maggiore (Charadrius major)» (G.B. Di Crollalanza, 1867).
Ecco come una guida all’inizio del XX sec. tratteggia la situazione ambientale della zona:
«Il fiume, spesso in piena enorme, e d’estate torbido e rossiccio, fugge con onde inquiete e rapidissime al lago, in un canale largo 100 m, solidamente arginato, rettilineo. (…) Allo scopo di bonificare il Piano di Spagna, spesso invaso dalle acque, di troncare gli interrimenti del Mera, il cui letto si riempie di terriccio trasportato in enorme quantità dall’Adda, di potere mantenere al tratto di Mera, fra il lago di Mezzola e il Lario, una sufficiente profondità, coll’aiuto di draghe, (cosicchè i piroscafi potessero arrivare nel lago di Mezzola e fare scalo a Riva di Chiavenna), fu scavato il canale di rettifica del corso dell’Adda. Tutto ciò è grandioso, e passando qui si pensa che, come s’inizio questo lavoro compiendone la parte fondamentale, ora occorre profittare di questo e bonificare utilmente per l’agricoltura e l’igiene quei terreni immensi, che ora furono solo redenti dalle inondazioni violente, ma non ancora l’impaludamento. Tristissime paludi infatti si presentano appena passato il ponte dell’Adda. Sono il Piano di Spagna, livellato all’archipenzolo, a uno o due metri circa sul livello del lago, in parte minore coltivato a pascolo, nella maggiore invaso dalle erbe palustri. Stupendo quadro, rinserrato dagli altissimi monti, è questo melanconico dominio di migliaia e migliaia di ranocchie, di folaghe, di anitre selvatiche, di martin pescatori, dove spesso i nebbioni sono folti e pesanti come cappa di piombo, mentre altre volte il sole limpido batte sugli stagni verdi, ravvivando riflessi d’argento sulle cupe ombre dei canneti, e lontano, nei prati, spiccano le pascenti bergamine tranquille».
La successiva parte dell’itinerario prevede il ritorno a Colico sul medesimo tracciato fatto all’andata.
5. Dopo essere usciti dal portale del Sentiero Valtellina si procede ancora per circa 150 metri e, appena superato un ponticello, si piega a sinistra su una pista ciclabile (Via alle Torri) che porta all’imbocco, a sinistra, della via d’accesso (breve tratto di salita) al Forte Lusardi, la cui visita è del massimo interesse.
IL FORTE LUSARDI
L’ opera difensiva moderna più importante nell’Alto Lario è senza dubbio il Forte (batteria corazzata) al Montecchio nord di Colico, una delle fortezze della Grande Guerra meglio conservate al mondo. Ben inserito nel sistema difensivo della Frontiera Nord, è un’opera imponente: scavato nella roccia, è caratterizzato da possenti mura in calcestruzzo rivestite esternamente di granito lavorato; presenta numerosi ambienti e profondi camminamenti sotterranei (tra cui una polveriera profonda oltre 60 metri) e conserva i serramenti e le blindature originali, l’impianto elettrico e i complessi sistemi di ventilazione e di approvvigionamento idrico. Il Forte, realizzato tra il 1912 e il 1914 sulla sommità del Montecchio nord a due chilometri in direzione ovest dal Montecchio di Fuentes, controllava la Bassa Valtellina, la Bassa Val Chiavenna e la porzione settentrionale del Lago di Como. Caso unico in Italia, è tuttora munito di una “batteria” (quattro pezzi) di cannoni di medio calibro da 149mm Schneider (149S) con affusto a deformazione, sistemati in pozzo e protetti da cupole girevoli corazzate dello spessore di 160 millimetri. Tecnicamente si tratta di una batteria corazzata “tipo Brialmont-Rocchi”, opera tipica dei due decenni a cavallo fra Otto e Novecento. Pur capaci di ruotare di 360° e colpire con efficacia qualunque bersaglio nel raggio di 12 chilometri, le armi del Forte avevano due obiettivi principali: interdire lo sbocco del nemico dalla Valchiavenna battendo il fianco della Strada dello Spluga e della ferrovia Colico-Chiavenna in corrispondenza di Novate Mezzola e bloccare l’accesso all’Alto Lario dalla Valtellina, prendendo d’infilata alle soglie di Morbegno la Strada dello Stelvio e la ferrovia proveniente da Tirano, così da impedire al nemico il transito verso Milano, per le direttrici passanti per Como e Lecco. Dopo che nell’autunno 1915, ormai dimostrata l’incapacità delle batterie corazzate di resistere al tiro piombante dei grossi e grossissimi mortai messi in servizio nei primi mesi di guerra, le potenti artiglierie del Forte al Montecchio nord furono rimosse ed inviate a combattere al fronte contro l’Austria-ungheria: il ruolo di controllo del Forte fu riassegnato ai già citati appostamenti scoperti al Montecchio est. In caso di necessità, questi erano destinati ad accogliere due batterie di pezzi da 149G: in tutto otto cannoni campali da 149mm in ghisa cerchiata in acciaio, incavalcati su affusto rigido con ruote. La ridotta gittata di questi vecchi armamenti – rispetto a quella maggiore dei modernissimi 149S del Montecchio nord – era compensata dalla posizione più avanzata del Montecchio est rispetto agli obiettivi da colpire. Durante la Prima Guerra Mondiale, probabilmente nel 1916, i due appostamenti al Montecchio est furono blindati: ciò che si osserva oggi sono due massicce opere (nord e est) realizzate in calcestruzzo e disposte a L; ognuna presenta quattro vani, o casematte, aperte posteriormente per accogliere il pezzo e munite anteriormente di un’ampia feritoia.
I quattro ‘pezzi’ del Forte LusardiL’ accesso al forteIl Pian di Spagna visto dal Forte Lusardi
L’opera nord, orientata verso Novate Mezzola, è munita di quattro riservette per le munizioni aperte sulla sinistra di ogni casamatta; l’opera est punta verso Morbegno ed è realizzata al di sopra di un ampio deposito per le munizioni, parzialmente scavato in roccia e protetto da una spessa volta a botte realizzata in calcestruzzo. Alla base del Montecchio est, in posizione ben defilata, vi sono alcune gallerie preesistenti gli appostamenti, di cui una è stata adibita a polveriera durante la Grande Guerra. Fortunatamente il territorio di Colico non subì alcun attacco e le postazioni non dovettero essere mai armate.
L’affusto del secondo pezzo d’artiglieria perfettamente conservato.
(adattamento da ERSAF-Museo della Guerra Bianca in Lombardia, Alla scoperta della Frontiera Nord, Quaderni del Museo 2 – 2013)
Conclusa la visita del Forte Lusardi si fa rapidamente ritorno alla stazione FS di Colico.
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