Itinerario pedonale nel Chianti sulle tracce di un’antica strada romana.
Al giorno d’oggi con varianti e direttissime le vie di comunicazione tendono ad abbreviare le distanze, ma anche nel lontano passato gli ingegneri romani con gli stessi sistemi miglioravano l’efficienza della loro rete stradale. Ne è riprova la Via Cassia, la consolare che univa Roma con Fiesole e, successivamente, con Firenze. Non solo fu soggetta a continue migliorie per diminuire i tempi di percorrenza ma fu anche modificata per scegliere, fra Chiusi e Firenze, tracciati più brevi rispetto a quello originario passante per le falde del Pratomagno. L’ultimo di questi pare sia stato sostenuto dall’imperatore Adriano, fra il 119 e il 123 d.C., come riporta un miliario rinvenuto presso Montepulciano, così che da quel momento si definì ‘vetus’ la Cassia primitiva e ‘Adrianea’ la variante.

Di questa strada, eminentemente collinare e che lasciava presso Bettolle la Val di Chiana, riemergono, di tanto in tanto, brani di selciato e ponti o la si collega a fortificazioni e sedi pievane, indicatori certi della presenza di una via di comunicazione. Gli studiosi ne hanno riconosciuto il tracciato nella parte più boscosa del Chianti settentrionale, quella che meno rappresenta l’immagine a tutti nota di ridenti colline pettinate di vigne. Qui infatti, nell’intrico delle valli e delle selve, si nascondono insediamenti antichi, che partono dall’epoca etrusca per arrivare al Medioevo ed essere poi abbandonati, oppure isolati edifici di culto che raccoglievano le speranze delle popolazioni uscite dalle dispersioni barbariche. Una rete di strade selciate, adatte alle cavalcature e quasi mai ai carri, collegava tutti questi luoghi con una distribuzione che ci resta ancora per gran parte sconosciuta. Si avanzano supposizioni come, ad esempio, che le strade etrusche – le più antiche – seguissero i crinali, oppure che per le romane, tecnicamente più avanzate, gli ostacoli dell’orografia fossero meno incidenti.
Per la Cassia Adrianea, in particolare, si trattava correre al margine dei Monti del Chianti e scendere nel bacino del torrente Ema in modo da accorciare il periplo lungo il fiume Arno. Il valico, conosciuto come La Panca, a 487 metri d’altezza, offriva la miglior soluzione di passaggio ed è qui che si sviluppa la nostra escursione. In una direzione seguiremo ciò che è stato identificato come un percorso di epoca etrusca (per via dei ritrovamenti, non più ovviamente per la permanenza di manufatti stradali), mentre nell’altra ricalcheremo la Cassia Adrianea, o quantomeno la presunta tale, lungo la valle Sezzatana, fra pievi, ville e castelli. Alcuni tratti dell’antica via, con il suo selciato e diversi ponti, sono stati restaurati mentre altri, tenuto conto del generale abbandono delle vecchie strade pedonali sono stati letteralmente ingoiati dalla vegetazione. Noi ci rifaremo ai tratti accessibili considerando comunque che, in mancanza di manutenzione, è preferibile avventurarsi in questi luoghi alla fine dell’inverno quando la vegetazione è ancora a riposo e, soprattutto, quando la stagione di caccia è arrivata al termine. Durante il sopralluogo, chi vi scrive è stato preso a bersaglio!

Punto di arrivo e di partenza: Mugnana. Si raggiunge da Firenze (22 km) seguendo la strada per Greve in Chianti. Subito dopo Strada in Chianti si segue a sinistra la provinciale 66 (direzione Dudda) per Mugnana. Tempo: 4 ore e 30 minuti. Dislivello: 470 metri. Segnavia: bianco e rosso 18 (in alcuni tratti deficitario).
Condizioni del percorso: attenzione al tratto iniziale fino al ponte sul Rio di Sezzate, sassoso e infrascato in estate. Periodo consigliato: primavera, autunno; da evitare in caso di piogge recenti.
Dove mangiare: trattoria Le Cernacchie, loc. La Panca, 055.8547968.
Per saperne di più: Anna Paola Mosca, Via Cassia, un sistema stradale romano, L. Olschki, Firenze 2002.
Pubblicato su Bell’Italia nel marzo 2007 – ©Albano Marcarini
L’ itinerario prende le mosse dal castello di Mugnana (1), al km 2.9 della strada provinciale 66 ‘di Cintoia’. Lasciata l’auto si scende, sotto l’alta torre del castello, per un sassoso stradello invaso dalla ramaglia. Questo iniziale è l’unico tratto davvero difficoltoso del percorso: occorre solo un po’ di cautela nella discesa. Si arriva dopo 10 minuti nel fondovalle; si scavalca il rio di Sezzate su un ponticello entrando in una radura con un diruto cascinale; ora, tenendo verso destra, senza però seguire il corso d’acqua, si sale l’opposto versante, fra i terrazzini degli ulivi e in vista dell’altro mastio della rocca di Sezzate (2), in superba posizione a dominio della vallata.

Giunti al vialetto d’accesso si tiene a destra (con una breve deviazione a sinistra si potrebbe però visitare la vicina chiesa di S. Martino) e passati dinanzi alla villa di Borgogelli del Bianco si procede lungo uno stradello selciato che ben presto tocca una vecchia fonte, o meglio la ‘Ad Regis Fontem’. Siamo sul probabile tracciato della strada romana. Il selciato è smosso e la vegetazione preme ai lati del cammino. Pertanto è difficile risalire alla dimensione originaria della via, di certo più larga: secondo alcuni autori che la videro una decina di anni fa misurava una larghezza compresa fra 1.5 e 1.8

metri e un breve tratto arrivava fino a 2.4 metri. Quindi un percorso non agevole per i carri, ma battuto soprattutto da pedoni e animali da soma. La vegetazione circostante diventa rigogliosa e l’ambiente rivela aspetti di grande suggestione come quando la strada arriva presso la confluenza di due rivi e risale quindi con una lunga, ciclopica rampa per lambire quello che doveva essere un mulino. Fatti ancora alcuni passi si giunge a un ponticello ad arco, gettato sulla soglia che divide due cascatelle, una soprastante, una sottostante. I restauri assimilano quella che doveva essere l’antica struttura, ma un tratto originario della strada si nota subito dopo il ponte, entrando a sinistra per alcune decine di metri entro un varco nella boscaglia. Qui la strada, con il suo selciato originario, affrontava una dura salita, chiusa fra due pareti di roccia.
Ripreso il cammino segnalato si perviene a un bivio dove si segue la direzione di sinistra; poco più avanti, a un’altra biforcazione, si mantiene la sinistra (lo stradello che si lascia sale alla soglia prativa dove si trovano la sontuosa villa di Cintoia (3) e, volendo, lungo la carrozzabile, un punto di ristoro) correndo a fianco del rio di Sezzate. Dopo esser passati accanto a un mulino, ben restaurato, si raggiunge il casolare de Le Stanze, preceduto da un ponticello sul rivo. In questo modo si passa sulla sponda opposta puntando su sentiero verso un secondo cascinale, circa 150 oltre il primo, chiamato I Fabbri. Una volta raggiuntolo si piega a sinistra, risalendo i campi per tornare sul tracciato dell’antica via, qui purtroppo del tutto irriconoscibile a causa di accorpamenti e privatizzazioni dei fondi. Passando a monte di un altro casale (Casa Vittoria), modernamente restaurato, si segue una strada carrabile che scende ora a incontrare, vicino a un ponte sul Rio di Sezzate, la strada d’accesso al Castello di Cintoia (4). Una breve salita su asfalto giunge al piccolo borgo di case in pietra e mattoni che sottostavano al castello, ridotto solo a pochi ruderi del recinto murario di base. Si sottopassa un vòlto e si esce dal villaggio: qui occorre prestare attenzione per imboccare la direzione giusta. In sostanza occorre seguire non il primo, bensì il secondo sentiero che sale verso monte (il segnavia dovrebbe dare certezza). È un lungo e faticoso tratto di salita nella boscaglia, qui connotata dal corbezzolo. A questo punto abbiamo abbandonato la strada romana che doveva restare lungo l’aperto fondovalle, per rimontare il versante e accedere dall’alto al valico de La Panca. Prima di arrivarvi, sempre rispettando il segnavia bianco/rosso, si incontra la diramazione che, con poca fatica, arriva alla chiesa di Cintoia Alta.

A La Panca (5) ci si può concedere una sosta approfittando magari, se ora di pranzo, della locale osteria. Poi si riprende il cammino discendendo la valle di Sezzate, ora sull’opposto versante. Inizialmente, lasciando a sinistra il segnavia ‘OO’ diretto al Sugame, occorre salire su una larga pista sterrata in direzione delle Case Venagrossa per poi lambire la vetta del M. Collegalle nella zona da cui scaturiscono le acque minerali raccolte e imbottigliate nel sottostante stabilimento di Cintoia. Dopo buon tratto la strada spiana e raggiunge il crinale in corrispondenza di una vasta radura, sul fondo della quale si notano le rovine del complesso agricolo di Case al Monte (6). Si punta verso di esso e vi si passa a fianco seguitando poi vicino alla linea di crinale, sotto la vetta del monte che cela i resti del convento di S. Giusto. Facendo attenzione alle molte diversioni e rispettando il segnavia si inizia a scendere nella fitta boscaglia. Il percorso, su terreni argillosi, è spesso segnato dalle erosioni e arriva infine a unirsi alla strada provinciale 66, presso il civico 108. Volgendo verso sinistra si calca ora un breve tratto di asfalto che ci riporta al punto di partenza, sotto le ombre del castello di Mugnana.
LA VIA CASSIA E I SUOI ENIGMI
L’antica Via Cassia si sa dove partiva (Roma) ma non dove arrivava. Chi dice Luca, chi Fiesole, chi Firenze. Fatto è che questa importante consolare ebbe, nella sua lunga storia, diversi tracciati, anche parecchio distanti fra loro. Il primo fu forse realizzato alla metà del II sec. a.C. seguendo, oltre Bolsena, il varco naturale della Val di Chiana per dirigersi nell’Etruria settentrionale. Diversi miglioramenti furono in seguito apportati a questo tracciato, specie fra Arezzo e Firenze. Nel Medioevo l’abbandono della viabilità romana e l’impaludamento della Val di Chiana favorirono l’utilizzo di una variante che da Bolsena scendeva in Val d’Orcia e nel Senese, per poi puntare su Firenze. La denominazione di Cassia fu quindi trasferita a questa nuova arteria (e tale resta fino a oggi, come statale 2), il cui traffico fu incrementato dai flussi di pellegrinaggio della Via Francigena, confluente presso Monteriggioni.
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