Itinerario lineare a piedi con partenza dalla stazione Fs di Chiavenna (linea Colico – Chiavenna) e arrivo a Santa Croce, frazione di Piuro.
La porzione della Val Bregaglia appartenente all’Italia è paragonabile a una piccola Yosemite Yalley per l’incredibile numero di attrattive naturali che si affollano, in una dozzina di chilometri, da Chiavenna al confine svizzero di Castasegna. Più che nei selvaggi paesaggi dell’Ovest americano, la nostra millenaria civiltà ha saputo accostare qui alla dimensione naturale episodi d’arte che accrescono l’interesse del visitatore. Gli esiti, come spesso accade nelle Alpi, furono alterni perchè la forza degli elementi ha talvolta prevalso sulla volontà dell’uomo; proprio qui rivivrete la tragica vicenda di una città sepolta da una frana.
Fate un passo e camminerete fra antichi splendori (Piuro, la città colpita, era nel XVII secolo fra le più ricche delle Alpi); ne fate un secondo e vi ritroverete dinanzi a una delle più spettacolose cascate delle Alpi; girandovi scorgerete delle curiose cavità, dette ‘marmitte,’ a cui si è pensato di dedicare un parco; alla fine vi fermerete nella frescura di un ‘crotto’, il tipico ambiente di ristoro dove si propongono vino corposo e buoni cibi.
La Mera, il fiume che percorre la valle, ha formato nei millenni un paesaggio di ineguagliabile bellezza. Nei giardini di Chiavenna stupiscono le palme e le magnolie, all’imbocco della valle campeggiano le vigne, sotto la cornice dei castagni; ma, se si puntano gli occhi al cielo, furoreggiano il biancore dei ghiacciai e l’energia delle pareti di granito. Insomma lo spirito delle Alpi in uno scampolo di clima mediterraneo.
«Mai avevo raggiunto l’Italia su un percorso più bello», ebbe a dire Hermann Hesse scendendo un giorno da questa valle. Un bel sentiero, ritracciato su un’antica via di comunicazione, parte dalla stazione di Chiavenna e arriva al confine svizzero. Non arriveremo a presentare i nostri passaporti ai doganieri perché le tante cose da vedere riempiranno una giornata già a metà cammino. Vi resterà certamente la voglia, in un’altra occasione, di proseguire oltre, nel tratto di valle che appartiene alla Svizzera, ma che è di espressione e cultura italiane.
Itinerario lineare a piedi con partenza dalla stazione Fs di Chiavenna (linea Colico – Chiavenna) e arrivo a Santa Croce, frazione di Piuro. Per il ritorno si può utilizzare l’autolinea STPS Villa di Chiavenna – Chiavenna: passaggi da Santa Croce alle ore 15.32 e 17.37 (feriale); arrivo a Chiavenna dopo 13 minuti.• Tempo di percorrenza: 2 ore e 30 minuti, escluse le soste.• Dislivello: 210 metri.• Condizioni del percorso: sentieri, mulattiere e tratti di strade secondarie asfaltate. Non sono necessari scarponi da montagna. • Segnavia: tacche gialle e frecce metalliche dalla Comunità Montana.• Periodo consigliato: estate, autunno (in particolare, la prima domenica di settembre quando a Chiavenna si tiene l’annuale Sagra dei Crotti).• Dove mangiare. Lungo il percorso si incontrano i crotti chiavennaschi. Consigliata la sosta. Si suggeriscono: a Prosto, Crotto Belvedere, tel. 0343.33589, chiuso martedì; a Sant’Abbondio di Piuro, Crotto dei Fuin, tel. 0343.33284; a Santa Croce, Crotto Quartino, tel. 0343.35305, chiuso mercoledì. Non dimenticate a Prosto, i biscottini: Del Curto, tel. 0343.32733; e il laboratorio di pietra ollare di Roberto Lucchinetti, tel. 0343.35905.• Orari di visita dei monumenti. Palazzo Vertemate a Piuro: aperto da marzo a ottobre, il sabato dalle 15 alle 18, la domenica dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18; su prenotazione negli altri giorni, tel. 0343.34121.• Indirizzi Internet: http://www.valchiavenna.com (sito informativo della vallata con pagine dedicate al turismo, alle tradizioni, alla gastronomia).
1. Chiavenna. Nonostante l’opinione contraria dei più recenti studi di toponomastica, la derivazione di Chiavenna dal latino ‘clavis’, cioè chiave, appare ancora la più appropriata, perché la cittadina è al punto di incontro di due vallate alpine, la Val San Giacomo e la Val Bregaglia. La Mera, che scende da quest’ultima valle, confluisce nel Lario dopo aver attraversato tutto il piano a meridione di Chiavenna, fino al punto d’incontro con la Valtellina. Dunque snodo, o chiave, di importanti strade per i passi alpini (Spluga e Maloja) e verso le città padane. Di conseguenza, in ogni momento, centro di raccolta e smistamento dei commerci. All’inizio del X secolo Chiavenna è nominata fra le 10 ‘chiuse’ del Regno Italico, sorta di dogane ante-litteram, mentre nel 1030 ottiene le libertà comunali. La sua peculiarità mercantile si tradurrà, sul piano urbanistico, in una configurazione funzionale di spazi pubblici, privati e produttivi (con un quartiere, la Bottonera, riservato all’attività manifatturiera), e su quello sociale, in un’apertura al dialogo fra genti di provenienze e fedi diverse, soprattutto in un atteggiamento di equiparazione fra cattolici e riformati.

Possiamo dedicare due momenti alla visita della città, iniziando con le attrattive che si trovano lungo il percorso. Si esce dalla stazione e si prende la direzione di destra (corso Vittorio Emanuele I) passando accanto all’Ufficio turistico e alla stazione delle autolinee. Attraversato il binario morto della ferrovia si raggiunge lo slargo di Pratogiano, ombreggiato da platani secolari. Su un lato, addossate alla montagna, scorgerete le tradizionali insegne dei ‘crotti’, tipiche istituzioni conviviali chiavennasche.

2. I crotti. Sotto gli ammassi franosi, depositati in tempi remoti, si trovano anfratti e fessure percorse da correnti d’aria a temperatura costante (fra i 4° e gli 8° C). L’uomo li ha utilizzati come magazzini per la conservazione di vino, salumi, formaggi. Col tempo sono divenuti luoghi per l’incontro, dove intercalare la conversazione con banchetti a base di ‘brisàola’, costine di maiale cotte sulla pietra, buon vino della valle. Mimetizzati nella vegetazione, raccolti a gruppi nei siti più idonei (ben 18 nel solo comune di Chiavenna), abbelliti con avancorpi rustici, panchine e tavoli in sasso, appartengono a privati o a più privati che rivaleggiano fra loro nell’offrire ospitalità. Sono un singolare esempio di fratellanza fra uomo e natura, evoluto fino a vera e propria istituzione sociale. Alcuni crotti, trasformati in ristoranti, conservano il fascino del passato quando la vita trascorreva più quieta e si usava, come è scritto al Crotto Ombra di Pratogiano, fra un calice e l’altro, «tenere scuola di umanità».
Oltre Pratogiano si imbocca via Picchi. Dopo poche decine di metri, sulla sinistra, si accede alla Collegiata di San Lorenzo.
3. La Collegiata di San Lorenzo. È il complesso religioso più importante di Chiavenna. Si compone della chiesa, ricostruita dopo l’incendio del 1538, del battistero, del chiostro (1698) con la torre campanaria. Sotto il porticato di quest’ultimo si osservano le lapidi con le insegne delle famiglie gentilizie: fino al 1820, tutto lo spazio interno era adibito a camposanto. Sulla porta del campanile, eretto fra il 1597 e il 1603, si nota lo stemma della città (due chiavi incrociate sormontate da un’aquila). Il battistero romanico è stato sostituito, nel ‘700, da una costruzione ottagona che della precedente conserva, all’interno, il fonte battesimale, opera del 1156, ricavata da un monolito di pietra ollare. Gli altorilievi che lo adornano aiutano a conoscere la società chiavennasca nel Medioevo. Nella scena – una processione battesimale – figurano diversi personaggi: un uomo a cavallo con un falco, simbolo del diritto di caccia, prerogativa dei nobili; un fabbro chino sull’incudine, simbolo della classe artigianale; un uomo che si sporge da un muro merlato, simbolo degli abitanti del borgo. Il Tesoro della Collegiata conserva, fra paramenti e ricchi arredi sacri, la celebre pace, ovvero la copertina di un evangeliario del XII secolo composta di lamine d’oro, perle, gemme e smalti.
Tornati su via Picchi si raggiunge, in breve, piazza Castello.
4. Il Castello. Chiavenna è condizionata dall’ambiente naturale: alte montagne la stringono nel solco della Mera, detriti di frane preistoriche ne limitano lo sviluppo sui versanti. Il caseggiato antico si allunga con la sua strada più nobile (via Dolzino, che termina in piazza Castello) sulla sponda sinistra del fiume. Il nucleo fortificato di Colle Paradiso, a ridosso della piazza, risulta citato nel XI secolo e fu potenziato nel XV con il taglio di una prominenza rocciosa, la cosiddetta Caurga, antica cava romana di pietra ollare. A ciò si aggiunsero il castello (la cui sola facciata, dell’intero edificio, prospetta oggi sulla piazza) e le mura che cinsero l’abitato di allora, già allungato a fianco della Mera, integrando le due porte turrite medievali, dove si esigevano i pedaggi di transito delle merci.
Infilata la stretta via Quadrio (semaforo) e lambito l’accesso al ‘Paradiso’, parco archeologico e botanico, che occupa l’omonimo colle, si devìa a destra per la strada pedonale di Poiatengo, uscendo dall’abitato, a breve distanza dalla Mera.

I muri che delimitano il cammino custodiscono vecchi impianti produttivi che utilizzavano la forza idrica del fiume. Al fondo del primo tratto di strada si giunge ai Crotti di Poiatengo (alt. 339), riparati da enormi ippocastani. Un sentiero rimonta una rupe che si frappone al cammino. Sul versante si affastellano imponenti massi di frana. Dopo qualche curva si giunge a una selletta (alt. 375): si lascia a destra il sentiero per il Parco delle marmitte dei giganti, e si prosegue a sinistra verso un cascinale e verdi lembi di prato. Il sentiero continua in lieve discesa, lambisce un’umida parete di serpentino e ritorna lungo la Mera, ormai in prossimità dei Crotti di Prosto, particolarmente piacevoli con i loro caselli, sporti, balconi e terrazzini con sedili. La vegetazione assume l’aspetto tipico degli ambienti fluviali, con frassini, ontani, pioppi e quale annoso platano.
Più avanti si perviene al cospetto dell’Ospedale dei Poveri, bel palazzetto del 1684, e della chiesa di Prosto (alt. 370), dedicata all’Assunta, di linee settecentesche. Sostate un momento nella vicina piazzetta (fontana): un pannello illustra la particolarità geomorfologica del luogo – le marmitte dei giganti – per le quali si dipartono da qui alcuni sentieri di visita.
5. Le marmitte dei giganti. Sono fenomeni erosivi dovuti all’acqua di fusione dei ghiacciai che percorsero la valle circa 10-12 mila anni or sono. La sabbia, i ciottoli, le pietre racchiuse nei vortici d’acqua hanno scavato la superficie tenera della roccia formando curiose cavità concave o cilindriche, dalle forme bizzarre e fantasione, da cui appunto il nome di marmitte. Il parco, dotato di numerosi sentieri di visita, propone l’osservazione anche di altri fenomeni glaciali, cave di pietra ollare, incisioni rupestri.
Sulla piazzetta prospetta un negozietto di alimentari. Se aperto entrate, vi troverete i prelibati ‘biscottini di Prosto’.

6. I biscottini e la pietra ollare di Prosto. Gli ingredienti sono semplici: farina, zucchero, burro. Ma sono le dosi e l’impasto che fanno di questi dolcetti una tentazione per la gola. La famiglia Del Curto tiene la ricetta segreta. Confeziona i biscotti artigianalmente e li offre ai clienti in pacchettini di carta fantasia, da un chilo o da mezzo. Ma è lo stesso negozietto che allieta il palato: una stanzetta, al piano rialzato, con tante mensole, vetrinette e cassettoni, dove con ordine ormai raro si palesano i vari generi alimentari, in scatolette, barattoli o vasetti che siano.
Nella frazione si trova anche lo studio di Roberto Lucchinetti, abilissimo nella lavorazione artistica della pietra ollare. Si tratta di una varietà di serpentino molto duttile, destinata alla produzione di utensili da cucina, recipienti da forno, piastre di cottura dopo un accurato trattamento al tornio. È singolare poi che con gli scarti della lavorazione – i ‘boton’ – si usino pavimentare le strade pedonali.
L’itinerario riprende passando il ponte sulla Mera e continua oltre fino a incontrare e attraversare la strada statale 37 (attenzione!). Si segue ora via dei Cenni, una stradina asfaltata, in lieve ascesa. Si avvicinano vecchie borgate, ognuna aggregata attorno a una casa patriarcale, tanto che i toponimi usano il nome della famiglia originaria (Cenni, Bassani ecc.). La leggera pendice, posta al sole, ha favorito anche nuove costruzioni che occupano spazi un tempo riservati al vigneto o al prato da fieno. Si tratta, negli scampoli ancora rimasti, di piccoli capolavori di paesaggio dove all’elemento naturale si aggiunge la sapienza e la creatività contadina: spalliere e pergole di vigna puntellate sulla viva roccia; caselli e baite con ingegnosi sistemi d’accesso, fatti di grate scorrevoli in pietra, serrature in legno; rampe e scale di varia foggia e dimensione.
Rispettando il segnavia del Sentiero storico, arriverete alle case di Cortinaccio (alt. 405), poste al cospetto del palazzo Vertemate-Franchi.
7. Il palazzo Vertemate-Franchi. Non è facile trovare nelle Alpi un esempio di dimora nobiliare, affine alle ville sei-settecentesche dei laghi o delle colline lombarde. Il palazzo Vertemate-Franchi fa da eccezione e merita una visita per ammirare gli arredi e gli ambienti rivestiti da affreschi rinascimentali a soggetto mitologico. Era la residenza di una delle maggiori famiglie di Piuro, costruita intorno al 1577 e dotata di un giardino a terrazze, di una peschiera, di un bosco a terrazze, di una cappella (la si nota subito all’ingresso) e di tutti gli annessi, dalle cantine alle ghiacciaie, dalle cucine alle dispense, che rendevano agiata la vita di questi signori. Marte, Pallade, Atena, Orfeo vi attenderanno compiacenti sul soffitto della grande sala al piano rialzato; nella sala dello Zodiaco i padroni erano invece usi tenere dotte conversazioni con filosofi e astrologi; nella sala di Giunone, dalle pareti in ‘boiserie’, si accoglievano i vescovi di passaggio; le tre salette superiori, chiamate delle Cariatidi, delle Muse, degli Amorini, erano invece riservate alla frenesia delle passioni. Si narra che da una botola, aperta sul soffitto affrescato, venisse calata nottetempo un’altalena fiorita sulla quale sedevano giovani fanciulle pronte ad appagare i più nascosti desideri degli illustri ospiti.

Fatto qualche passo a ritroso, dal cancello del palazzo, si riprende l’itinerario lungo la strada che costeggia il muro di cinta del giardino. Più avanti, sulla sinistra, una stradina entra nel bosco. Questa è per intero delimitata da alti muri a secco che, a loro volta, dividono lotti di coltivo, oggi abbandonati e invasi dalla vegetazione. È l’impronta di un paesaggio agrario fossilizzato, ma di straordinaria bellezza. Di tanto in tanto, qualche vigna, ancora tenuta, e qualche lingua di prato; sullo sfondo spiccano le pareti del Pizzo Badile. D’improvviso appare il desolato alveo di Valle Drana (alt. 420), aggredito da rovinose alluvioni: un mutilo campanile, affogato fra i ciottoli dal lontano 1663, ne è segno evidente e ammonitore. Si passa il torrente e si torna nel rifiorire dei prati, di fronte alla chiesuola di Sant’Abbondio, oggi riconvertita a museo degli scavi di Piuro.
8. Il museo di Piuro. Piuro era nel ‘600 cittadina nobile e agiata. I suoi abitanti traevano ricchezza dal commercio delle pietra ollare. Aveva sontuosi edifici, ornati e abbelliti da pitture, insegne e motti. Aveva ameni giardini e ortaglie in quantità. «Ma nell’anno 1618, per la sventura più funesta, tutte queste bellezze furono seppellite. Il 25 agosto – narra una cronaca del tempo – la montagna chiamata Cont si staccò e cadendo inopinatamente su questa sventurata città la distrusse interamente, di modo che non ne sfuggì nemmeno una persona, per portare la notizia di questo disastro. Vi perirono 1500 anime, altri dicono 2000. Quelli di Chiavenna, benchè vicini molto prossimi, non ne seppero niente fin quando non videro esaurirsi il loro fiume, perché per tre ore non giunse loro una goccia d’acqua, avendo la montagna che era caduta trattenuto e fatto prendere corso diverso al fiume». Forse anche allora si maledissero i governanti o i cavatori di pietra ollare che avevano reso debole la montagna, forse anche allora si pensò a una tragedia annunciata o a una maledizione di Dio. Oggi sotto un tappeto di prati e pascoli, con qualche strano monticolo o avvallamento, residui dell’antica frana, sta un’intera città con i suoi abitanti e le loro ricchezze. Sugli scavi, iniziati subito dopo la disgrazia, fiorirono strane storie. Si dice di scavatori tirolesi, arruolati per riportare alla luce quanto possibile, che scomparvero il giorno successivo. Rintracciati dopo diversi anni, vivevano da agiati nel loro paese e a Piuro dicevano di non esserci mai stati. Il museo raccoglie alcuni reperti della città e documenta con pannelli le drammatiche fasi dell’evento.
Il nucleo dietro la chiesa ha begli esempi di case rustiche della valle; il cammino scende poi su asfalto, verso valle, fino a incontrare il passaggio pubblico che, attraverso il caratteristico Crotto dei Fuin, conduce sotto la cascata dell’Acquafraggia (alt. 418, area sosta).
9. La cascata dell’Acquafraggia. Nell’Ottocento cascate, orridi, gole, belvedere erano vere meraviglie per i turisti romantici. Sentiamo come ci presenta l’Acquafraggia uno di loro: «Un grosso rivo precipita lungo le pareti di puro scoglio. Veduto da lungi presenta due distinte cascate, superiori l’una all’altra. Cadon dapprima le acque raccolte in un piccol seno, d’onde poi sbalzano verticalmente e diffuse a comporre la principal cascata. Allora poi che recenti piogge accrescono la massa di quelle acque, la cascata assume le forme di fiume che largo si rovesci da alta vetta. N’è maestoso in quel momento l’aspetto; e tale è il fragore che all’intorno si spande, che il vicino non può intendere l’altro. Tanta massa d’acqua, la quale piomba giù con somma velocità, rimbalza dilatandosi in sottilissimo denso vapore che alto si solleva e si diffonde a guisa di nube. Convien tenersi a discreta distanza ove puranche nel volgere di brevissimo momento l’osservatore si trova ammollato, come se all’improvviso fosse stato colpito da dirotta pioggia».

Dal piede della cascata si segue l’argine destro del torrente e si torna sulla strada di Sant’Abbondio lasciandola subito, verso sinistra, in direzione del cimitero e di Borgonuovo (alt. 422). Qui si esce sulla statale, la si attraversa passando la Mera, proseguendo verso Scilano (una diversione, a destra dopo il ponte, porta a Prati Ruina – della Rovina – dove sono gli scavi dell’antica Piuro). Al primo crocevia si tiene a sinistra. In lieve ascesa si giunge a Vignola (alt. 452) dopo aver passato il torrente Scilano. Qui si lascia l’asfalto e si imbocca il selciato di una vecchia strada, detta ‘Salavra’.
10. Gli antichi percorsi. Più in su nella valle, sulle rampe del passo del Maloia, sono stati trovati dei solchi incisi nella roccia, lasciati dai carri da trasporto romani. La via della Bregaglia, con quella dello Spluga, fu frequentata da tempi remoti, come riporta la Tabula Peutingeriana, documento fondamentale per la conoscenza degli antichi itinerari stradali. Risalito il lago di Como, arrivati a Chiavenna, si potevano scegliere queste due direzioni per passare le Alpi e giungere a Coira. La strada della Val Bregaglia, a Casaccia si divideva in due rami, uno diretto al Maloia, l’altro al passo del Settimo. Nel 1387 quest’ultimo tronco fu rifatto da Giacobbe da Castelmur, su invito del vescovo di Coira, iniziando così la concorrenza fra questo valico e quello dello Spluga. A seconda dello stato della strada, della sicurezza, dell’onere dei pedaggi e delle tariffe di trasporto era possibile propendere ora per l’una, ora per l’altra via, valutando con attenzione ragionieresca le economie. In questo tratto, il vecchio percorso è in parte coincidente con quello della statale, realizzata nel 1839. Alcuni spezzoni però sono sopravvissuti, come questo bellissimo, da Borgonuovo a Aurogo. È un esemplare modello di ‘strecia’, come si chiamano qui le mulattiere, rinserrata fra muri a secco e gradonata, che sale a larghe svolte nel castagneto.
Quando compaiono le prime case si è sul pianoro di Aurogo (alt. 452), cosparso di enormi castagni. Ci si riporta sulla strada e, in breve, si arriva a un villaggio con una bella chiesa romanica.
11. San Martino di Aurogo. Appoggiato sul primo gradino di valle, Aurogo si raggruppa nei pressi di un edificio romanico, cui fanno da fondale uno spumeggiante torrente, il chiaro granito, i castagni e i prati. Intitolata a San Martino, già nominata nel 1178, figura come la più antica chiesa della zona. Accanto alla navata originaria, fu accostata nel ‘700 una cappella, così da racchiudere il bel campanile a cinque piani di bifore. Spero vivamente che la troviate aperta: all’interno si trovano le più antiche raffigurazioni ad affresco della zona, coeve all’edificio.

Si scavalca il torrente Orgina e si perviene a Quartini (alt. 448). Dietro le case, nelle prime ombre del bosco, ci cela il crotto omonimo dove poter lietamente concludere l’itinerario. Prima però, o dopo, se volete, in attesa dell’autobus, visitate anche la piccola frazione Santa Croce (alt. 448), al di là della Mera, per un paio di cose interessanti.
12. La chiesa dell’Invenzione della Croce e il torchio consortile. È un edificio del XII secolo, a pianta rotonda. Oltre alla forma, è noto per la splendida ancona lignea, conservata all’interno, opera di maestro tedesco, datata 1499.
I torchi rimasti, fra Valtellina e Valchiavenna, si contano sulle dita di una mano. Sono macchinari a struttura lignea, impiegati per la pigiatura del vino, utilizzati in comunità. Così grandi da occupare un intero edificio, talmente robusti da lavorare per secoli. Uno di questi giganti si trova a Santa Croce. È composto da un fascio di tronchi, lunghi oltre dieci metri, detto ‘pesantuur’: una sua estremità è trapassata da un meccanismo a vite, in legno di noce, appesantito da un masso di granito, mentre l’altra poggia su un castello di travetti di altezza variabile. Il gioco della vite faceva muovere la trave orizzontale che, all’estremità opposta, premeva sulle vinacce.
Una volta fatto ritorno a Chiavenna, l’attesa del treno di ritorno può essere spesa lungo la centrale via Dolzino, che alterna decorose facciatine e scorci di cortili fioriti con piazzette e con i lunghi anditi dei vecchi magazzini commerciali. Si può arrivare fino al Cantòn, ovvero piazza Pestalozzi, da cui orginavano le vie delle valli: per Como, per lo Spluga, per la Bregaglia; e affacciarsi al parapetto del ponte sulla Mera, dove godere di un bel colpo d’occhio sulle case affacciate all’alta sponda del fiume.
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