Più o meno come per il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump che vorrebbe annettersi Canada e Groenlandia, anche Benito Mussolini, nel suo piccolo, accarezzava l’idea di invadere il Canton Ticino per unirlo al Regno d’Italia. L’intento sfocerà nel 1939 nell’allestimento di piani operativi militari di invasione del Ticino, del Grigioni e del Vallese: una fissazione che Mussolini porterà avanti fino alla fine. Ma già all’inizio degli anni Trenta vi furono mascherati tentativi italiani di avvicinarsi pericolosamente al confine elvetico. Uno di questi fu la costruzione della strada per il Passo San Giacomo, in alta Val Formazza.

Non si trattava di una semplice rotabile, bensì, secondo il linguaggio magniloquente del regime, di un’autostrada a carattere internazionale, prolungamento della già realizzata Milano-Laghi, che avrebbe aperto una nuova direttrice commerciale nelle Alpi, a metà fra il Passo del Sempione a ovest e il Passo del Gottardo a est. Almeno queste le intenzioni dichiarate, sulle non dichiarate le autorità militari di Berna non ebbero dubbi e fin dall’inizio contrastarono duramente il progetto così che, ancora oggi, il collegamento dal versante ticinese non esiste. Eppure, il 1 luglio 1930, con un laconico comunicato il Governo italiano annunciava che era «ammesso il transito internazionale con passaporto attraverso il Passo San Giacomo». Complice la società Edison che, giusto in quel periodo, stava portando a termine le gigantesche opere di sfruttamento idroelettrico dei bacini formazzini, iniziate già nel 1901 per opera del magnate d’industria Ettore Conti. Oltre alle sontuose centrali elettriche di fondovalle, simboleggianti nello stile le enormi potenzialità della nuova fonte di energia, tanto da essere definite “cattedrali di pietra”, l’alta Val Formazza vide la creazione di ben 32 laghi artificiali, fra i quali, lungo la strada per San Giacomo, il Lago Kastel e del Lago della Toggia con le relative dighe. Erano i luoghi dove, fino a quel momento, pascevano le bovine il cui latte dava il prelibato formaggio Bettelmatt, un prodotto di scambio attraverso i valichi alpini, noto fin dal XIII secolo.

Il Passo San Giacomo collega la valle Bedretto (e l’alto Vallese attraverso il valico della Novena) alla Val Formazza. Conobbe una fioritura di traffici tra la fine del XIII e la fine del XV sec. Nel XIV sec. corporazioni di somieri delle valli Bedretto e Formazza erano attive nel trasporto di merci attraverso il Gries e il San Giacomo. Curiosamente la pratica dello sci fu introdotta in Formazza proprio attraverso questo valico. Si dice che nel 1903 tre uomini, provenienti da Airolo, giunsero a Canza di Formazza con strani pezzi di legno ai piedi immediatamente adottati dagli alpigiani per i loro spostamenti.
La strada, iniziata nel 1928 e inaugurata il 15 agosto 1929, prendeva avvio dai 1675 metri del pianoro della Frua, a poca distanza dalla celebre cascata del Toce e, dopo aver toccato la frazione Riale, giungeva dopo 12.7 km ai 2306 metri del valico. A seguito della sua realizzazione gli svizzeri, che fin dall’ottobre 1927 con ricognizioni aeree avevano fotografato lo stato d’avanzamento dei lavori, pensarono bene di anteporre non la parte di stradale loro spettante bensì alcuni sbarramenti anticarro a cui seguirono postazioni per mitragliere, il forte d’artiglieria ‘Grandinagia’ e il fortino corazzato ‘San Giacomo’, oltre a ricoveri e funivie per gli approvvigionamenti. Per la verità, se poi si guarda alla storia, furono maggiori le aggressioni provenienti dalla Svizzera che non viceversa. A partire dal 1410, i cantoni di Uri e Obvaldo, ai quali si aggiungerà Lucerna, effettuarono ripetute scorribande nell’Ossola, giungendovi dal San Gottardo per il San Giacomo. Tentarono di occupare per ben tre volte Domodossola, ma invano. Nel 1426 si giunse a un accordo di reciproco interesse: i Confederati avrebbero rinunciato all’Ossola, dietro una ricompensa di 51.200 fiorini, corrispondenti all’epoca a circa 400 kg di oro.

Comunque per dissimulare intenzioni bellicose, gli italiani nel 1930 sistemarono lungo la strada un singolare quanto bizzarro rifugio composto da due vagoni ferroviari – una carrozza letto e una ristorante – sostenuti da pilastri in cemento e uniti al centro da un edificio, poi non realizzato, a forma di torre che ricordasse la figura di S. Giacomo pescatore. L’installazione, detta Wagristoratore, ebbe la firma di un celebre architetto dell’epoca Piero Portaluppi, autore anche del grande albergo alla cascata della Frua, e, secondo le intenzioni avrebbe incentivato, a tre ore d’auto da Milano, il turismo di alto livello, contraddistinto da «abbondanza, qualità e signorilità del servizio», come sottolineavano le relative réclame pubblicitarie. Frequentato fino all’inizio della guerra, nel 1940 fu utilizzato da un presidio fascista e infine dato alle fiamme per evitare che, durante la Resistenza, divenisse un rifugio partigiano. Nel dopoguerra e fin oltre gli anni Settanta del secolo scorso rimase viva, sia da parte formazzina sia da parte ticinese, l’intento di dare finalmente vita a una strada turistica per il San Giacomo, intento sempre ostacolato dai militari elvetici che, fino alla caduta del Muro di Berlino, seguitarono a vigilare e ad attuare difese sul confine fra il Monte Rosa e il Passo del Bernina. Così la strada del San Giacomo è rimasta la sola strada statale italiana che non ha sbocco confinario.
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Attualmente la strada del Passo San Giacomo è classificata come “Nuova strada ANAS 424 ex SS 659 di Valle Antigorio e Val Formazza”. Sterrata e preclusa alle auto, è divenuta un ‘must’ del cicloturismo montano. Sul valico, al posto dell’ex-caserma della Guardia di Finanza è stato realizzato un Bicigrill. La struttura si qualifica per le sue caratteristiche di alta sostenibilità e del parte integrante dei percorsi cicloturistici transfrontalieri con ristorante, alloggio, assistenza tecnica, noleggio bici.
BIBLIOGRAFIA: Gualtiero Laeng, La nuova strada del Passo di S.Giacomo, in ‘Le Vie d’Italia’, agosto 1930, Touring Club Italiano; Francesco Vicari, Itinerari militari in Val Bedretto, ForTi, Bellinzona 2016; Paolo Germann, Il dispositivo del San Giacomo, ForTi, Bellinzona 2016.
FOTO DI COPERTINA: courtesy Komoot

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