La Via Imperiale d’Alemagna e la Maestra d’Umbrail

Se volessimo prendere a esempio una cittadina delle Alpi che ha fatto dei commerci la fonte del suo sviluppo nei secoli non si potrebbe fare a meno di pensare a Bormio. A partire dal XIV sec. e fino alle trasformazioni in senso turistico del secolo scorso, il capoluogo dell’alta valle dell’Adda è stata il fulcro di frequentate vie di comunicazione fra il sud e il nord delle Alpi, fra la Lombardia, i Grigioni, il Tirolo e la Baviera. La regione intorno a Bormio, nel mezzo di fertili pascoli, fu florida e produttiva, non a caso detta “Magnifica Terra”. Vi si trovavano miniere di ferro, si fabbricavano panni e stoffe, ma soprattutto vi transitava il vino valtellinese verso nord e il sale delle miniere di Hallstadt verso sud. E ciò nonostante la sua posizione orografica, ai piedi dell’Ortles-Cevedale, fra i più elevati e perennemente innevati massicci montuosi dell’intero arco alpino, con i relativi valichi. 

Prima della costruzione della strada dello Stelvio nel 1825 (e alla quale dedicheremo una tavola), da Bormio le due principali direttrici di traffico somiero si dirigevano verso la Val Monastero e il Passo Resia: una, orientale, detta Strada Corta per Venosta, attraverso il Passo Umbrail (o Ombraglio); l’altra, occidentale, detta Strada Lunga per Venosta, attraverso S. Giacomo di Fraele. Erano due vie mercantili, di pertinenza ‘imperiale’ (ovvero, per fare un paragone, simili alle nostre strade statali), fra loro concorrenti e con caratteristiche diverse, evidenti già dalle denominazioni, ma entrambe utilizzate. La rivalità ‘stradale’ era ovunque un fatto usuale scatenando litigi e ostilità fra le comunità che dalle strade traevano interessi. Una strada ‘commerciale’ garantiva buoni introiti ai portatori, ai locandieri, a coloro che ne curavano la manutenzione, specie in tarda primavera quando i cosiddetti ‘rottieri’ erano chiamati a sgombrare la neve dal tracciato. E soprattutto a coloro che vi imponevano dazi di transito. Secondo gli ‘Statuti bormini’, all’inizio del XVI sec., ogni carico trasportato era gravato di una tassa di 12 denari. Si pensi che per evitare il monopolio dei portatori di una sola comunità e far sì che le merci passassero di mano in mano, con evidente dispendio di tempi nelle operazione di carico e scarico, si usava l’espediente di variare la larghezza delle mulattiere di modo da dover forzatamente sostituire ogni volta il mezzo di trasporto.

Il lago artificiale di S.Giacomo nella Valle di Fraele

La Strada Corta fu la rotta più antica benché avesse il culmine al Passo Umbrail (o Ombraglio) a 2503 metri d’altitudine. Risaliva la valle del Braulio, sulla falsariga della strada rotabile attuale e non mancava di avere dei punti salienti come le ‘forche’, ovvero il luogo deputato per le esecuzioni, appena fuori Bormio. Ai tempi dell’Inquisizione ne fecero le spese 120 donne, presunte streghe. Superati i Bagni e la scomparsa torre di Serra Frontis, scendeva a varcare il torrente Braulio per risalire di petto la Valle della Forcola, svalicare l’omonimo colle, seguitare ad alta quota il versante del Braulio fino al Passo Ombraglio e quindi discendere la Val Muranza fino a Santa Maria in Val Monastero (Müstair). Alla fine del Settecento, complice una recrudescenza del clima, fu decretato l’abbandono di questa strada a favore di quella di Fraele, ritenuta più comoda e sicura.

Difatti la Strada Lunga divenne una valida alternativa già a partire dalla prima metà del XIV secolo perché meglio accessibile in inverno salvo il problematico passaggio alle Scale di Fraele, vero punto topico dell’itinerario, percepibile ancora oggi. Infatti, nel 1357 si ha notizia della costruzione di ‘scale’ sopra un profondo abisso. Lungo il bastione di rocce delle Cime di Platòr e del Monte delle Scale, che delimitano a nord la Val Viola, si apre un intaglio, forse il capriccio di un sovrumano scalpellino. Qui per superare il naturale ostacolo fu necessario fissare alla roccia dei gradini pensili di legno. Su questa ardita struttura aiuta la descrizione di uno storico valtellinese nel 1755: «Le scale di Fraello sono un meraviglioso spettacolo da vedere, poiché una gran parte di essa è in aria, sostenuto per traverso da grossi travi incastrati dentro il dirupo, e tuttavia così fortemente e bene lavorata che cavalli carichi e carra vi camminano con sicurezza». Giudizio ottimistico poiché nella realtà i viandanti avevano il terrore a percorrerla. «È una salita lunga e dura – dicevano – attraverso massi enormi, scale, rocce asperrime per i cavalieri, davvero un baratro e vertiginoso per chi non è avvezzo». Va detto che percorsi pensili, ancorati con catene alla roccia, non erano rari lungo le strade alpine a causa dei frequenti impedimenti naturali, come gole o rupi precipitevoli. Un altro esempio famoso, tuttora visibile, è il rischioso passaggio lungo la forra di Schöllenen lungo la via del Gottardo. Occorre anche dire che la precarietà di questi passaggi favoriva il loro controllo poiché in caso di presenze nemiche era facile troncarli di netto. Si dice che le Scale di Fraele si celassero alla vista con trabocchetti di vario genere, in modo da far precipitare nel vuoto gli ignari assalitori. La leggenda, che coglie spesso gli attimi più cruenti di una vicenda, narra di fiotti di sangue mescolati alle fredde acque del sottostante torrente mentre nel buio «della notte e ancora alle prime luci dell’alba urla strazianti e gemiti di morte di cavalieri finiti a colpi di mazza rompevano gli echi agghiaccianti di quei picchi scoscesi». Inoltre, a ulteriore difesa, in cima alle scale nel 1391 furono erette dai bormini due torri, ancora ben evidenti. Una volta superato questo ostacolo, la strada spianava. Non esistevano ancora i bacini artificiali di Cancano e incontrava a S. Giacomo, oggi sommersa, un provvidenziale ‘ospizio’, attivo fin dal 1287. Infine si protendeva nella valle di Fraele in direzione di valichi di moderata altitudine, mai superiore ai 2000 metri: il Passo di Fraele a 1952 m, il Passo di Val Mora a 1934. 

Le torri di Fraele lungo la Via Imperiale d’Alemagna

Nel XVII e XVIII secolo queste strade ebbero una speciale importanza poiché costituivano, con il favore della Repubblica delle Tre Leghe Grigie (che deteneva la Valtellina), il tramite diretto dei possedimenti asburgici, fra la casa madre di Vienna e il Milanese. Già nel 1496 Ludovico il Moro si era recato per la via dell’Ombraglio a Mals, in Val Venosta, per ricevere degnamente l’imperatore Massimiliano I e pare che Leonardo fosse stato al suo seguito evocando, in una nota del Codice Atlantico, «le montagne di Borme, terribili e sempre piene di neve» dove «nasce ermellini». Tre anni prima, fu Bianca Maria Sforza ad andare qui incontro al suo sposo Massimiliano. Nel 1633 invece fu il Duca spagnolo di Feria a essere trasportato «in sedietta» sopra l’Ombraglio. Al proposito sono curiose le versioni sul significato di Ombraglio. Quando era detto Nombraglio si pensava che il termine fosse dipeso dal fatto di poter numerare le «persone che l’una dopo l’altra si vanno perdendo in quel cammino, massime d’inverno» ricorda Gioachino Alberti, il quale aggiunge pure una seconda spiegazione e cioè che «dicesi Ombraglio stante per l’altezza dei monti si cammina all’ombra».

L’alta valle del Braulio vista dalla mulattiera dell’Umbrail

Se la strada dello Stelvio si percorre oggi in auto, o più audacemente in bicicletta, le antiche vie dell’Ombraglio e di Fraele sono invece una lunga traccia pedonale fra remote montagne sul confine fra Italia e Svizzera. Luoghi di somma bellezza, fra il sibilo del vento e gli acuti fischi delle marmotte, fra le acque cristalline dei rivi che danno acqua all’Adda e le ultime nevi che cedono ai tepori dell’estate.  

©AlbanoMarcarini2025

PRATICA – A piedi o in mountain-bike si possono affrontare ancora lunghe porzioni delle strade storiche bormine, dentro il perimetro del Parco nazionale dello Stelvio. I tratti iniziali, oltre alla moderna viabilità, sono stati sostituiti all’inizio del XX secolo dalle carrabili di servizio agli impianti idroelettrici dei laghi di Cancano nel caso della via di Fraele e dalle strade militari alpine verso le fortificazioni della Forcola di Rims nel caso della Via dell’Ombraglio. Oltre questi capisaldi, vale a dire, vicino e oltre i 2000 metri, i tracciati per sentieri sono praticamente quelli originari. Superati valichi sommitali e il confine di Stato i percorsi pedonali proseguono lungo la Val Mora o la Val Muranza per confluire a Santa Maria Val Müstair.

BIBLIOGRAFIA

Gioachino Alberti, Antichità di Bormio, Ostinelli, Como 1890.; Cristina Pedrana, Sentieri e strade storiche in Valtellina e nei Grigioni – Dalla preistoria all’epoca austro-ungarica, 2004.; Francesco Saverio Quadrio, Dissertazioni storico-critiche intorno alla Rezia di qua salle Alpi (1757), Milano 1960 (ristampa). ; Ilario Silvestri, Le strade dell’Umbrail e dello Stelvio, Parco nazionale dello Stelvio, Bormio 2001. 


Albano Marcarini, Il Sentiero della Regina, 168 pag., 3a edizione, 2022.

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