Fra le case di pizzo della Val Vogna

Mapp.genItinerario a piedi in Val Vogna, laterale della Valsesia, in Piemonte. Una passeggiata in uno sperduto angolo del Piemonte dove le vecchie dimore contadine sono opere d’arte.

TACCUINO DI VIAGGIO

Itinerario circolare a piedi nella Val Vogna, tributaria della Val Grande di Valsesia, nel comune di Alagna Valsesia. 

Partenza e arrivo: Cà di Ianzo. Si raggiunge in auto, dopo aver risalito la Valsesia fino a Riva Valdobbia, con un breve tratto di strada carrozzabile che s’inoltra in Val Vogna. Dopo Cà di Ianzo la strada è chiusa al traffico, salvo i residenti. Esiste un servizio estivo di navetta che fa eventualmente risparmiare il tratto del ritorno fra S.Antonio e Ca’ di Ianzo.

Lunghezza: 10.1 km. Dislivello: 310 m. Tempo di percorrenza: 3h 30’ Condizioni del percorso: sentieri (86%) e strada consorziale.Periodo consigliato: da giugno a fine ottobre.Segnavia: CAI 210 da Cà di Ianzo a Peccia (Sentiero dell’Arte); CAI 201 e GTA, da Peccia a Ca’ di Ianzo. 

La buona tavola: Rifugio Valle Vogna, frazione Sant’Antonio, anche con alloggio, 0163.91918 – 347.3368950. 

Il buon riposo e la buona tavola: Mirtillo Alpino, Ca’ di Janzo 1, Alagna Valsesia, 016391810; Rifugio S.Antonio, frazione S.Antonio, 0163326568; Agriturismo Montana Fold, frazione S.Antonio, 0163.326493.

Indirizzi utili: Ufficio turistico di Alagna Valsesia, Piazza Grober, Alagna Valsesia VC 0163.922988.

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ALT.VALVOGNALa valle è invisibile. Come spesso accade per quelle alpine, laterali alle valli maggiori. Un gradino di roccia la nasconde. Bisogna superarlo perché poi la vista si gratifichi di un paesaggio antico, composto da prati, pascoli e piccoli villaggi, forse solo grani di case, distanti l’uno dall’altro poco più di un’ “ave maria”, come si usava dire un tempo. Sono i villaggi della Val Vogna, in Alta Valsesia, già compresi nel territorio del comune di Riva Valdobbia, oggi accorpato ad Alagna. 

Val Vogna. dimora.webSono le case di questi villaggi, ben vestite con il saldo corpo in pietra, fissato alle rocce, e l’abito in legno, tutto a pizzi, trafori, merletti, degni di una gran dama. Sono le case che la tradizione assegnerebbe ai walser, il popolo vallesano che a partire dalla metà del XIII secolo colonizzò la vicina Alagna, ma che le ricerche etnografiche più recenti tendono a sminuire, assegnando la valle a popolazioni autoctone con un marginale influsso alemannico. Si dice infatti che nel 1300 alcuni contadini walser, provenienti da Gressoney, si attestarono solo all’Alpe Peccia (alt. 1529) ottenendo una concessione di pascoli dai quali non ebbero più ragione di muoversi. In effetti i toponimi della Val Vogna non tradiscono un’origine transalpina. Gli imitatori però esistevano anche allora e, forse, vedendo l’abilità dei costruttori vallesani, ne fecero proprio lo stile. Molte guide e autori del passato hanno lodato l’integrità della valle, «tale da poter trionfalmente reggere al confronto colle più decantate della Svizzera» (E.Brusoni), e così appare fortunatamente ancora oggi, esente da quelle intromissioni che talvolta ci mettono di fronte a giudizi critici che vorremmo evitare.

1. La strada carrozzabile, ad esempio, si ferma a Cà di Ianzo (alt. 1354), poco dopo aver superato il gradino morfologico che ci separa da Riva Valdobbia e dal fondovalle. Qui si parcheggia e si può iniziare il giro dei villaggi: un’ideale passeggiata autunnale, quando i larici si tingono di giallo e le alte vette – che riveriscono i 4.000 metri del Monte Rosa, qui visibile, diversamente che ad Alagna – sono già spruzzate di neve. Lasciata la strada si sale accanto alla Casa vacanze Mirtillo Alpino e si giunge nella piazzetta dove prospettano l’oratorio di S.Antonio Abate e l’ex-Albergo Alpina, aperto nel 1871 e che ebbe ospite nel settembre 1898 la regina Margherita. Poi si comincia a salire tra faggi e abeti lungo il segnavia 10 per Selveglio.

2.È il tratto più faticoso che porta ai 1536 metri di Selveglio, un tempo villaggio dei più popolati con circa 100 residenti. Le sue case furono dilaniate da ripetuti incendi e oggi si presenta in semi-abbandono delimitato, alle estremità, da due cappelle: quella bassa intitolata alla Madonna del Carmine (1681), quella alta a S.Defendente. Di questa si apprezzano ben tre meridiane, disegnate nell’800 dall’abate Carestia, singolare figura di scienziato, nato a Riva e che abbiamo già incontrato nell’itinerario di Fobello. A Selveglio si opta per il sentiero panoramico di mezza costa che seguiremo fino a tornare in fondovalle a Peccia. In primavera abbondano le fioriture mentre non distanti dalle abitazioni si notano isolati e annosi alberi da frutta (noci, ciliegi). Una delle prime caratteristiche da annotare riguarda la distribuzione degli insediamenti in Val Vogna. Non vi sono villaggi di una certa dimensione bensì una proliferazione di minuscoli nuclei di poche case, molto aggregate, tanto che gli sporti dei tetti si combinano spesso fra loro. Ciò si deve alla necessità di ottimizzare al massimo gli spazi circostanti riservati alle colture e ai prati da foraggio senza costringere i contadini a lunghi spostamenti. Quindi ogni nucleo poteva dirsi autosufficiente e disponeva per sé di forno comunitario, fontana, cappella, mulino. In particolare, in valle, sono stati censiti dieci mulini, caduti in abbandono.

3.Il secondo villaggio che s’incontra è Oro (alt. 1500) anch’esso colpito nel 1913 da un rovinoso incendio. Qui si osservano, tra l’altro, due edifici, destinati a dispense di alimenti e granaglie, localmente detti ‘torbe’. Una serie di rastremati pilastrini di legno sorreggono l’impalcato di base e hanno la funzione di sollevare l’edificio dal terreno per assicurare aerazione e minore umidità. Si osserva anche l’oratorio di San Lorenzo, di considerevoli dimensioni, dotato di campanile, recante la data 1744. D’altra parte serviva agli abitanti dei nuclei più vicini, separati dai corsi d’acqua che solcano il versante. Ci si può anche attardare un momento per osservare come si compone l’abito forestale, qui particolarmente esuberante. Siamo ancora nell’orizzonte delle latifoglie (faggi, betulle, ontani) che marcano, poco più in alto, il limite con gli abeti rossi e i larici. Se lo sguardo si allarga sull’altro e più fresco versante della valle si noterà la predominanza del bosco di abete bianco.

4.Dopo aver superato il Rio Sasso si arriva a Cà Vescovo (alt. 1466), il cui nome fa pensare che qui vi fosse la dimora dell’amministratore delle proprietà del vescovo di Novara. Di rilievo la presenza, nel basamento di una casa, dell’antico forno per il pane, giusto lungo il sentiero. La cappella di Rabernardo (alt. 1453) – il nucleo successivo – è commovente, minuscola e stretta fra le case. Dedicata alla Madonna della Neve, possiede un campaniletto; all’interno un bell’altare policromo. Ha una meridiana che funge da vigile del tempo e un portico che dà riparo ai passanti. Rabernardo si divide in tre nuclei abitativi, posti su tre livelli altimetrici, con diverse case del ‘6 e del ‘700 ben ristrutturate. Vi sono tre fontane e ben tre forni per il pane. Vi è stato allestito, all’interno di una ‘domus nove’ (gli edifici che seguirono, a partire dal XVI sec., l’ammodernamento delle abitazioni dei primi coloni),  un Museo Etnografico, visitabile su prenotazione per conoscere gli aspetti della vita nella valle fino al XIX sec. Ogni ambiente rievoca funzioni: la dispensa per la carne, il laboratorio per confezionare le ‘scapin’ (pantofole), la stanza del telaio, l’aia interna per battere le granaglie, la falegnameria ecc. Continuando nel cammino si trascurano i sentieri che, a sinistra, puntano verso il fondovalle (a meno che non si voglia ridurre l’escursione). Si notano alcuni prati pregni di acque superficiali, chiamati ‘moie’, dove si insediano le specie tipiche di questi ambienti umidi: eriofori, carici e altre erbe palustri. Alcuni prati sono ancora irrigati con canalette in pietra che scendono dai rìali. Sui muretti a secco affiorano le pianticelle delle sassifraghe: dal latino ‘saxifraga’ (piante che sgretolano le rocce), per la loro capacità di insinuarsi e crescere fra gli interstizi delle pietre. Sorprendente la varietà di felci che coprono i prati lasciati all’abbandono.

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5.Dopo il Selletto, punto panoramico sull’arco delle montagne che delimitano la Val Vogna, si giunge a Cambiaveto (alt. 1499) e quindi a Piane, divisa in due nuclei. La sua svantaggiata posizione a ridosso del vallone del Forno l’ha resa preda dalle valanghe sebbene i suoi abitanti, nel 1560, avessero provveduto a erigere un vallo in pietrame al di sopra delle case. La valanga più devastante, nel 1986, distrusse la cappella e la casa consortile. Piane di Sopra (alt. 1511) è un incantevole insieme di strutture lignee tra le quali passa il sentiero. Si nota un tocco stilistico tipico delle case della valle, ovvero il tetto non solo a capanna ma con l’aggiunta di piccola falda triangolare in facciata. Le “tappe di legno” sono le travi orizzontali che reggono l’impiantito delle logge. Le pertiche che vi corrono tutto intorno servivano a stendere il fieno e i mazzi di spighe di grano o di segale. Difatti qui e oltre, il sentiero si dipana fra campi in parte ancora coltivati, soprattutto a patate. Molti dei ruderi isolati nel bosco o vicino al torrente Vogna furono mulini. 

Ponte napoleonico.web6.A questo punto il sentiero declina dolcemente verso Peccia (alt. 1520), lungo l’antica direttrice di fondovalle. Citata dal 1325, era la prima delle ‘alpi’ della valle, estendendosi su ambo i versanti, fondata da immigrati vallesani della Valle di Gressoney. Allora gli inverni nevosi erano molto inclementi. Le cronache riportano di case crollate sotto il peso della neve o travolte dalle valanghe, con vittime di umani e di animali. Oggi qui si trovano le diramazioni verso i valichi di crinale, soprattutto quella per il Colle Valdobbia (alt. 2480), storica comunicazione con la Valle di Gressoney, dove sorge l’Ospizio Sottile, oggi rifugio, che accolse gli emigranti stagionali in andata o nel ritorno dalla Francia o dalla Svizzera. Occorrevano 7 ore di cammino da Riva Valdobbia a Gressoney. Fu proprio una disgrazia, avvenuta nel 1820, quando due sposi furono colti dalla tormenta, che convinse il canonico Nicolao Sottile a costruire a suo spese un ricovero che divenne il più alto delle Alpi, aperto tutto l’anno. A Peccia si osservano l’oratorio di San Grato, dominante l’abitato, e una splendida casa seicentesca con logge perimetrali e copertura a padiglione. Prima di fare ritorno a Cà di Ianzo si può risalire per breve tratto la valle, vicino al corso del torrente Vogna. In breve si tocca un ponte in pietra ad arco, di epoca napoleonica, sul Rio Sulino. Perché ‘napoleonico’? Nel 1800, nel corso della seconda campagna di Bonaparte, su questo sentiero passarono prima gli austriaci in ritirata da Gressoney e quindi un corpo di soldati francesi, che si sarebbero poi scontrati con gli Asburgici alle porte di Varallo. Intraprendendo una breve esplorazione sul pendio sovrastante il ponte si potranno raggiungere i resti della Roggia d’Adam, un canale irriguo alimentato dalla cascata, detta Acqua Pendente, che scende dalla vicina frazione Montata, lungo il sentiero per l’Ospizio Sottile. Si intraprende a questo punto la via del ritorno a Ca di Ianzo, lungo la strada di fondovalle. Ospizio Sottile.Valsesia.web

7.A poco più di mezza via s’incontra la frazione S.Antonio (alt 1381), la più animata, grazie all’accogliente rifugio Punto Tappa della Grande Traversata Alpina – già residenza del citato abate Carestia – posto accanto all’oratorio intitolata al santo. L’edificio sacro risale al 1600 con aggiunte successive. «Ha la facciata dipinta a fresco e nell’interno mostra un altare antico in legno scolpito e un vecchio quadro della Vergine» annotava nel 1924 Luigi Ravelli nella sua guida della Valsesia. A pochi passi dalla chiesa si vede l’antico e restaurato forno per il pane. Prima di raggiungere Cà di Ianzo si avvicinano ancora le quattro case di Cà Verno (alt. 1387), talmente strette fra loro da sembrare una sola unica costruzione, e le otto di Cà Morca (alt. 1378), allungate a schiera per essere meglio esposte al sole. Alcune case riportano sulla trave di colmo la data di costruzione indicanti 1511 e 1580, ritenute fra le più antiche censite in valle.

8.Al ritorno dalla Val Vogna si consiglia una sosta a Riva Valdobbia, oggi frazione di Alagna, per ammirare la scenografica e colorita decorazione ad affresco della chiesa parrocchiale, ben riconoscibile per i due diversi dissonanti campanili. Il dipinto copre l’intera facciata con il Giudizio Universale e un gigantesco S.Cristoforo, dovuti alla mano di Melchiorre d’Enrico, artista alagnino vissuto a cavallo fra il ‘5 e il ‘600. Era fratello del più noto Tanzio da Varallo (Antonio d’Enrico) e di Giovanni d’Enrico. «L’assieme è armonico e suggestivo – rileva sempre Luigi Ravelli – e le figure in atteggiamenti naturali: fra tutte però si fa maggiormente osservare alla destra un voracissimo drago che azzanna la faccia ed avvinghia il corpo d’un dannato nel modo più feroce e spaventoso, e alla sinistra un altro dannato che si dibatte per terra e vi persegue da qualunque parte lo fissiate». La critica attuale vi nota delle assonanze con la pittura d’oltralpe per la disposizione dei personaggi, mentre la smisurata immagine di S.Cristoforo era un comune tratto iconografico, poiché la sua immediata riconoscibilità era una garanzia per i viandanti che si ponevano sotto la sua protezione. Sul portale si nota la data 1565 che non è quella dell’affresco, risalente al 1597, bensì della costruzione della prima parte della chiesa, poi ampliata e sopraelevata alla metà del ‘700.

 

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2 pensieri riguardo “Fra le case di pizzo della Val Vogna

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  1. Mi permetto di segnalarLe una possibile aggiunta alla sua descrizione dell’itinerario ad anello della valle Vogna: poco dopo Peccia, quasi come giro di boa prima di tornare indietro imboccando il sentiero alto, merita raggiungere e transitare sul ponticello in pietra detto di Napoleone, poiché si dice sia stato costruito da soldati napoleonici in transito nella valle. E’ un punto caratteristico, che completa la bella passeggiata (e che mi pare sia toccato dalla traccia riportata nella sua mappa).
    Cordiali saluti.
    Fabrizio Morosini

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