Il fumo del carbone… da Polla a Petina sulla vecchia ferrovia

Itinerario lineare a piedi con partenza dalla ex-stazione Fs di Polla e arrivo alla ex-stazione Fs di Petina. Si sviluppa nella valle del fiume Tanagro, alle falde settentrionali dei Monti Alburni in provincia di Salerno, lungo un tratto della ex-ferrovia Sicignano-Lagonegro. 

Nel Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano restano le tangibili tracce di una dismessa ferrovia di montagna: la Sicignano degli Alburni-Lagonegro. C’è ancora tutto: stazioni, binari, impianti di segnalazione, gallerie e viadotti. Una splendida occasione di visita con la speranza di una rinascita. La zona interessata dal nostro itinerario occupa un tratto del varco naturale – un “corridoio tettonico” direbbero i geologi – fra la piana del Sele, il Vallo di Diano e la lieve soglia che immette sulla costiera lucana. Lo contengono due linee di rilievi, superiori ai 1500 metri d’altezza: da un lato il bastione calcareo deI Monti Alburni, eroso al suo interno da numerose cavità di natura carsica, come le note Grotte di Pertosa; dall’altro la luminosa e aperta catena dei Monti della Maddalena, pure di struttura calcarea. Il Vallo di Diano per la sua conformazione ad altopiano favorì l’insediamento antico e il passaggio di importanti strade, fra cui la romana Regio – Capuam (Reggio Calabria – Capua) di cui proprio a Polla, accanto alla Taverna del Passo, resta l’Elogium, ovvero la lapide commemorativa con l’indicazione delle distanze. Non a caso l’intuizione degli ingegneri romani, che qui abbandonarono la costa per aggirare il Cilento dall’interno, fu fatta propria dai tecnici borbonici nella progettazione della grande strada per le Calabrie, e da quelli contemporanei per l’attuale autostrada.

La ferrovia Sicignano-Lagonegro fu a lungo dibattuta e il suo compimento reso sterile dalla mancanza di uno sbocco sul Mar Tirreno. Nella seconda metà dell’Ottocento, la necessità di un collegamento fra Napoli e lo Jonio, ma soprattutto la continuità lungo il Tirreno, fece prospettare varie ipotesi di percorso fra cui uno sdoppiamento nel Cilento, con una linea costiera e una interna, passante per il Vallo di Diano. La ferrovia dello Jonio preferì la direttrice di Potenza e della valle del Basento,  e fu condotta a termine nel 1880; di quella del Vallo si intraprese la costruzione in quello stesso anno, concludendola però solo nel 1892, quasi congiuntamente alla linea costiera. Ma se quest’ultima, nel 1894, fu saldata alla ferrovia calabra, la linea proveniente da Sicignano, giunta a Lagonegro, si arrestò per sempre condannandola ad essere una Cenerentola fra le due maggiori sorelle. Sopravvissuta, forse per il suo isolamento, ai danni bellici, la Sicignano-Lagonegro si addormentò lentamente in seguito. Lungo i 78.4 chilometri del tracciato, dal punto in cui si separa dalla linea Napoli-Potenza, fino a Lagonegro, sale le colline, perfora le montagne, scavalca torrenti, incontra piccole stazioni (14 per l’esattezza) ma nessuno, dal 2 maggio 1987, aspetta più il treno. Agli appassionati farà piacere sapere che su questi binari correvano le locomotive a vapore della classe 625 e, in seguito, le automotrici diesel ALn 56 e 556, poi ALn 668.

Dalla stazione di Petina è possibile dirigersi direttamente a Battipaglia o a Salerno con vari servizi di autolinea, i cui orari sono però soggetti a molte variazioni (generalmente non effettuano servizio la domenica). E’ pertanto utile informarsi, prima di iniziare l’escursione, presso le seguenti compagnie d’esercizio: Autolinee Mansi (Salerno), tel. 089/232474; Autolinee Curcio (Polla), tel. 0975/391213, www.autolineecurcio.itLunghezza: 16 km – Dislivello: 197 metri in discesa. – Tempo medio di percorrenza: 5 ore. – Equipaggiamento: un paio di scarpe dalle suole robuste e che coprano la caviglia, un giubbetto impermeabile, una torcia elettrica e un elmetto protettivo. L’itinerario segue fedelmente la via ferrata (sono ancora posati binari e traversine) e non sono dunque necessarie molte indicazioni direzionali. Attenzione! Massima cautela nell’attraversamento di viadotti e gallerie. In estate alcuni tratti del percorso potrebbero essere invasi dalla vegetazione. Periodo consigliato: primavera, autunno. Informazioni pratiche. Polla, punto di partenza dell’itinerario si raggiunge dalla stazione Fs di Sicignano degli Alburni (linea Napoli-Potenza-Taranto) mediante un servizio di autolinea sostitutivo. Lungo tutto il percorso non vi sono acqua nè altre possibilità di ristoro (dotarsi di sufficienti provviste a Polla). Non presenta difficoltà, alla lunga può risultare un po’ defatigante; in tal caso è possibile effettuare delle piacevoli varianti lungo sentieri di recente segnalati: dalla stazione di Pertosa a ritroso a Polla (per le indicazioni vedi La Rivista del trekking, n.97, luglio 1996); dal ponte sul torrente Lontrano alla rotabile Petina-Polla, indi a Petina (vedi La Rivista del trekking, n.96, giugno 1996. Per saperne di più: A. Sica, La lotta politica del Vallo di Diano per il passaggio della ferrovia, in ‘Storia del Vallo di Diano’, vol. III, Laveglia, Salerno 1985; P. Muscolino, La ferrovia Sicignano-Lagonegro, in ‘Ingegneria ferroviaria, n.1-2, gennaio-febbraio 1986.

Petina.map

Si ringraziano per la collaborazione Antonello Sica e Nicola di Novella. Itinerario pubblicato su Amicotreno di giugno 1998 e su Guide Outdoor, Greenways in Italia, De Agostini, Novara 2003.

© 2016 Albano Marcarini.

Polla stazione
La vaporiera di Polla

Si parte dalla ex-stazione di Polla (1, km 0, alt. 446), dove campeggia una vecchia vaporiera. Le guide turistiche più accreditate parlano di Forum Popilii, l’antica Polla, come centro di traffico sulla Regio-Capuam e di colonizzazione agricola. L’Elogium sopra citato ricorda infatti che T. Annio Lusco, console nel 153 a. C., favorì il passaggio delle terre «dai pastori agli aratori». Il nucleo storico della cittadina è d’impianto medievale. Dal piazzale antistante la chiesa di Sant’Antonio di Padova si gode un vasto panorama sul Vallo di Diano. Difficile riandare nel tempo al Pleistocene (da 1 a 2 milioni di anni fa) quando questa fertile piana era ricoperta dalle acque. Le aspre montagne che la circondano paiono sprofondare nella spessa coltre dei sedimenti di pianura e anche le acque di quel lago col tempo, non trovando vie di sbocco naturali, scomparvero nel sottosuolo, divagando a lungo per comparire poi in luoghi lontanissimi. In altri casi invece, dove i deflussi sotterranei erano impediti, le acque impaludarono rendendo le condizioni di vita molto difficili. I Romani per primi avviarono la bonifica, aprendo innanzitutto una via di sbocco al fiume Tanagro che attraversa il vallo, ma i loro sforzi, per quanto ingenti, non furono mai tali da essere risolutivi. Nel Medioevo e fino all’epoca spagnola le cronache indicano la zona afflitta dalla malaria, le popolazioni costrette all’esodo abbandonando le precarie coltivazioni a favore di una pastorizia nomade. Ogni risanamento fu complicato da interessi divergenti, dalla mancanza di un piano organico cui riferirsi. Fallirono i Borboni e, in un primo tempo, anche i tecnici idraulici del Regno d’Italia. Solo dopo il 1936, con l’istituzione del Consorzio di Bonifica del Vallo di Diano, si avviò un intervento complessivo di sistemazione idraulica, con l’apertura di canali e scoli, di riforestazione montana, di appoderamento e dotazione di strutture e servizi. Oggi il Vallo è area economicamente avanzata, con un tessuto insediativo diffuso e un’attività economica orientata su più settori produttivi.

Polla-Petina (3)
Un viadotto della Sicignano-Lagonegro presso Polla

Dalla stazione di Polla si inizia a seguire l’unico binario in direzione nord (avrete le distanze progressive in senso discendente) uscendo subito dall’abitato. Il pietrisco e le traversine in legno complicano il passo, ma strada facendo il vostro incedere si adatterà meglio alla situazione. Si segue subito il Tanagro, superandolo poi su un breve viadotto reticolare in ferro. Un fiume di 72 chilometri, che possiede almeno cinque nomi (Tanagro in Campania, Calore in Basilicata, ma anche Tanager, o Nigrum, o Niger secondo i Romani), non è certo cosa da poco. Nasce sul Sirino, percorre tutto il Vallo e dove un tempo si perdeva nelle “crive”, cioè nelle cavità del terreno, i Romani invece lo portarono a sfociare nel Sele, tagliando proprio in questa zona, detta appunto l’Intagliata, la viva roccia. I cultori delle statistiche sappiano che il suo bacino imbrifero è di 1863 kmq, la sua portata media di 10,6 metri cubi al secondo. Il fiume qui corre canalizzato. La prima galleria, detta Costa Mastacello, precede un secondo ponte sul fiume e quindi un terzo. Un grosso e squadrato edificio in pietra (2, km 2.5, alt. 435) annuncia invece il passaggio dell’Intagliata. Si dice che ai tempi dei Borboni l’edificio fosse impiegato come carcere per accogliere i forzati addetti alla costruzione della vicina strada rotabile delle Calabrie. Un piccolo bacino artificiale rende il luogo gradevole nonostante l’incombente peso dei piloni del viadotto autostradale, una presenza costante anche nel prosieguo dell’itinerario. La linea presenta qui, anche se poco percettibile, un tratto di massima pendenza, circa il 25 per mille.

Più avanti, sull’altra sponda della forra si notano i tornanti e il ponte di Campostrino sulla strada statale delle Calabrie. «Questo ponte congiunge i due bracci di strada, che sulle cime de’ due opposti monti si aprono; e ben cinque volte ripiegasi prima di guadagnarne la sommità; cosicché non un ponte solo, ma un sistema di ponti ne costituisce l’insieme. Il suo fabbricato è di mattoni e travertino, e il suo disegno, benchè in miniatura, può raffigurare il tratto più elevato della salita del Mont-Cenis» (Petagna, Terrone, Tenore, Viaggio in alcuni luoghi della Basilicata…, Napoli 1827). Passo passo la veduta si apre sulla bastionata degli Alburni e sull’ondulato paesaggio collinare del Basso Tanagro. I paesi più prossimi, sull’altro lato della valle, sono Pertosa e Auletta. Le loro stazioni, che incontreremo, sono invece su questo versante e ciò costringeva i viaggiatori a faticosi tratti a piedi o a dorso di mulo. Fiancheggiata sulla sinistra una enorme dolina, ricoperta da foltissima vegetazione, ecco infatti comparire, al km 4.6, la decaduta stazione di Pertosa (3, alt. 381), ubicata un centinaio di metri sopra l’ingresso delle note grotte.

Le grotte di Pertosa. Il significato del nome è curioso: Pertosa verrebbe da «per la tosa», il luogo ricco d’acque vicino alle grotte dove i pastori portavano le pecore per la tosatura. Per altri invece, più dotti, sarebbe un espressione dialettale derivata dall’italiano «pertugio». Di fatto è una cavità carsica notevolissima, posta proprio sotto la ex-stazione di Pertosa, percorsa da acque interne con uno sviluppo complessivo di oltre 2 chilometri. La visita presenta momenti di grande effetto come l’iniziale navigazione su un lago sotterraneo che precede l’itinerario a piedi nelle sale più interne, tempestate di stalattiti e stalagmiti. 

Tunnel dopo petina
Galleria Costa Murusella

La ferrovia, dopo Pertosa, procede lungo la costa del versante. Dopo il ponte Monaco (km 5, alt. 359), il primo ad archi in pietra, il tracciato compie un ampio giro per superare la depressione della valle del torrente Lontrano. Prima si percorre la galleria di Costa Murusella, poi, dopo un’altra breve galleria, la linea inscrive un’ampia curva sul torrente mediante uno splendido viadotto di ben 30 arcate in pietra (4, km 8.1, alt. 341). Si tratta di opere realizzate intorno al 1885, come rivelano a volte le placche in marmo affisse sui parapetti, che permisero l’apertura di questo tratto di linea, da Sicignano a Sala Consilina, il 30 dicembre 1886. Dopo questo spettacolare viadotto, il cammino si fa un po’ monotono e alla lunga stancante. La stazione di Auletta (5, km 10, alt. 312) è il segno dell’incuria e del vandalismo. In seguito però la marcia si allieta dalla vista degli ulivi e dei frutteti. «Le coltivazioni – osserva ancora nel 1826 il botanico Michele Tenore assieme ai suoi compagni Terrone e Petagna – che si attraversano offrono poche vigne e moltissimi ulivi; nè siti piani il terreno è crestoso e quasi spoglio affatto di terriccio vegetale; il grano, il granone vi sono coltivati generalmente. (…) D’altronde nulla a questi abitanti può rimproverarsi per lo spirito d’industria che gli anima, e per la cura che pongono nel lavorar la terra. Le popolazioni di questi villaggi hanno spinte le coltivazioni per le più erte pendici, e per siti quasi inaccessibili, ed hanno facilitata la comunicazione colla consolare con bracci di strade rotabili di difficilissima esecuzione». Un’altra galleria ci informa dell’ultimo tratto del cammino, che torna ad essere spettacolare. All’interno di questa, in una nicchia scavata sulla parete di sinistra, si accede a un antro naturale parte del quale è stato occluso e murato con altissimi contrafforti per sostenere la galleria stessa. All’uscita invece, irrompe il ponte sul vallone di Sant’Onofrio (km 13.4, alt. 271): molto alto, a due ordini di arcate, sovrastato dal moderno viadotto autostradale. Segue la più lunga galleria del percorso (910 metri) che affaccia nei pressi di un casello, ancora abitato, e della stazione di Petina (6, km 15.6, alt. 266), termine dell’itinerario. La fermata dell’autolinea per il ritorno si trova al bivio sulla strada statale 19, in località Fontana della Regina; la si raggiunge seguendo la strada della stazione in discesa, per 400 metri circa.

UNA FERROVIA DA RICICLARE.

Lungo i 26 chilometri che corrono da Sicignano alla stazione di Polla, sotto la protettiva ombra dei Monti Alburni, si potrebbe oggi inventare qualcosa di nuovo e di bello. Persa la competizione con il trasporto privato (più per la lontananza dei centri abitati dalle stazioni che non per la scarsa funzionalità del servizio ferroviario), per questa linea si potrebbe pensare a una seconda vita come ferrovia turistica che richiami i villeggianti del litorale tirrenico o gli abitanti di Napoli e Salerno verso le bellezze naturali dell’entroterra. Almeno questa è l’idea fissa di Antonello Sica, esponente del Cai e instancabile propugnatore di iniziative per il rilancio della vecchia ferrovia. Per il momento, un tratto della linea può essere percorso a piedi in un affascinante susseguirsi di ponti e gallerie nel bucolico paesaggio della valle del Tanagro, nell’attesa si torni a udire il fischio della locomotiva. Ma non è neppure escluso che, su questi binari, vengano installati per il piacere dei turisti i vecchi carrelli a pedali che servivano per il controllo della linea: un modo simpatico, già impiegato in Francia su alcune ferrovie dismesse, per fare attività fisica e riscoprire il paesaggio.

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In Campania, qualche decina di chilometri a sud dal ‘confine’ letterario  di Ignazio Silone, due sentieri aprono le porte alla scoperta dei paesaggi del Mezzogiorno. E comincia dal fascino discreto del Cilento (da ‘cis Alentum’, al di qua del fiume Alento).  Il sentiero di Punta Tresino ha una lunghezza di 15 chilometri e si copre in bicicletta nell’arco di una sola giornata se siete un po’ allenati al fuoristrada e se la stagione si presta a questo genere di escursioni. A piedi se ne può affrontare la parte più interessante, quella che prospetta sul Tirreno, lungo uno dei pochi tratti costieri privi di strade. Il sentiero degli Alburni scala invece il possente massiccio, tesoro del Parco nazionale, alla ricerca di orchidee e boschi, sorgenti e panorami

Albano Marcarini, I Sentieri del Cilento, Alleanza Assicurazioni, Milano 2003, pag. 80, con foto, carte e acquerelli. Formato: 11 x 16 cm

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Una risposta a "Il fumo del carbone… da Polla a Petina sulla vecchia ferrovia"

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  1. Io ,che sono nata negli anni 50 ed il mio papà era un ferroviere ,l ho percorsa tutta linea , mi sono fermata a Galdo, Auletta, Padula, Montesano e Lagonegro, l ultima volta che ho preso il treno ero una giovane insegnante che era stata nominata nella commissione esaminatrice per gli esami di stato per la maturità tecnica Commerciale.Ho ancora nel cuore quei viaggi e negli occhi la bellezza di quei luoghi.

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